Notifica via pec non andata a buon fine per “casella piena” del destinatario: effetti

La Corte Suprema di Cassazione nell’ordinanza n. 16125/2023 chiarisce quali oneri abbia il notificante nel caso in cui la notifica via pec dell’appello non vada a buon fine a causa della casella piena del destinatario.

Il caso: Tizio, quale attore nell’ambito di un procedimento avanti alla sezione specializzata in materia di impresa, chiedeva al Tribunale adito di accertare la sua titolarità delle quote societarie di due società di famiglia nelle misure rispettivamente del 50% e 33% del capitale sociale; nonché di accertare l’illegittimità del comportamento dei convenuti (parenti dell’attore) e la lesione del suo diritto di prelazione e, per l’effetto, la condanna delle controparti alla restituzione a suo favore delle quote societarie in questione, nella misura rispettivamente di € 103,29 e di € 20.650,00 istando al contempo per la sua reintegrazione nelle compagini sociali.

Il Tribunale rigettava le domande di Tizio; Caio, quale erede di Tizio, nel frattempo deceduto, proponeva appello con atto notificato il 5 ottobre 2017; la Corte d’Appello dichiarava inammissibile il proposto appello per tardività della notificazione dell’impugnazione per decorso inutile del termine breve:

  • la notificazione dell’impugnazione si era perfezionata il 5 ottobre 2017; la notificazione della sentenza impugnata era avvenuta via pec il 13.4.2017 al difensore costituito dell’appellante;
  • a sostegno dell’avvenuta notifica della sentenza di primo grado la Corte aveva acquisito il messaggio di mancata consegna per casella postale piena.

Caio ricorre alla Corte Suprema di Cassazione, deducendo come terzo motivo la nullità della sentenza impugnata in relazione all’articolo 360, n. 4, c.p.c. per violazione degli artt. 3-bis l. 21 gennaio 1994, n. 53, 16, 16- sexies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179: sul punto la ricorrente eccepisce che:

  1. la Corte territoriale ha ritenuto erroneamente inammissibile per tardività l’appello sul presupposto che si sarebbe perfezionata la notificazione via PEC ad opera delle parti convenute della sentenza di primo grado, ancorché il sistema non avesse generato la ricevuta di “avvenuta consegna” ed avesse invece generato una ricevuta di “mancata consegna” per casella pec piena;
  2. tale situazione non può essere omologata come pretende la Corte territoriale al rifiuto del destinatario di ricevere copia dell’atto da notificare, nel qual caso la notifica si considera fatta a mani proprie, perché, nel caso di specie, il destinatario nulla sa della eseguita notificazione via pec;
  3. non potendo dirsi perfezionata la notifica via pec della sentenza di primo grado, non ha iniziato a decorrere il termine breve per l’appello ex art. 325 c.p.c. pertanto l’appello di Caio avrebbe dovuto essere considerato tempestivo ed ammissibile.

La Corte Suprema di Cassazione, nel ritenere fondata la censura, riguardo alla questione del perfezionamento (o meno) della notifica a mezzo PEC, nel caso in cui la casella digitale del destinatario risulti piena, e ribadisce quanto segue:

  1. si ritiene di dare continuità all’orientamento per cui “ove vi sia la dichiarazione di domicilio “fisico” (nella specie risultante ex actis) in caso di casella piena del soggetto destinatario, è insufficiente per il notificante depositare la relativa comunicazione del gestore della casella, dovendosi quest’ultimo attivare, per effettuare la notifica, a tentare di eseguire l’adempimento al domicilio fisico del destinatario, precedentemente eletto;
  2. pertanto, “in caso di notificazione a mezzo PEC non andata a buon fine, ancorché per causa imputabile al destinatario (nella specie per “casella piena”), ove concorra una specifica elezione di domicilio fisico – eventualmente in associazione al domicilio digitale – il notificante ha il più composito onere di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domiciliatario fisico eletto in un tempo adeguatamente contenuto, non potendosi, invece, ritenere la notifica perfezionata in ogni caso con il primo invio telematico”.

Leggi: Cassazione-civile-ordinanza-16125-2023


Notifiche PEC e riforma Cartabia: sospesi i commi 2 e 3 della L. n. 53/1994

La legge 3 luglio 2023 n. 87, di conversione del DL. 51/2023, pubblicata in G.U. il 5 luglio 2023, reca novità anche in tema di notifiche PEC ai sensi della legge n. 53/1994.

Il primo marzo 2023 è entrato in vigore il nuovo art. 3 ter della L. n. 53/1994, così come disposto dal decreto legislativo n. 149/2022:

Legge n. 53/1994 – Art. 3-ter

  1. L’avvocato esegue la notificazione degli atti giudiziali in materia civile e degli atti stragiudiziali a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando il destinatario:
  2. è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi;
  3. ha eletto domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 6-quater del medesimo decreto.
  4. Nei casi previsti dal comma 1, quando per causa imputabile al destinatario la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato non è possibile o non ha esito positivo:
  5. se il destinatario è un’impresa o un professionista iscritto nell’indice INI-PEC di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l’inserimento; la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l’inserimento;
  6. se il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto il domicilio digitale di cui all’articolo 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie.
  7. Quando per causa non imputabile al destinatario la notificazione di cui al comma 1 non è possibile o non ha esito positivo, si esegue con le modalità ordinarie.

[Disposizione in vigore dal 28 febbraio 2023 di applicazione ai procedimenti civili instaurati successivamente a tale data (1° marzo 2023). Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti (art. 35 comma 1)].

Si è già a conoscenza del fatto che, le più importanti e significative novità introdotte da tale articolo, pur formalmente entrate in vigore dal 1 marzo 2023 in realtà non hanno potuto produrre i propri effetti; questo perché sia il pubblico elenco INAD (previsto dal primo comma lettera b dell’art. 3 ter l. 53/1994) sia l’area web ex art. 359 del codice dell’impresa e dell’insolvenza (prevista dal secondo comma lettera a dell’art. 3 ter l. 53/1994), in realtà non erano ancora presenti ed utilizzabili.

Quanto al pubblico elenco INAD, l’Agenzia per l’Italia Digitale ha reso noto, lo scorso 6 giugno 2023, che lo stesso sarebbe stato consultabile dal 6 luglio 2023 mentre, quanto all’area web prevista dall’art. 359 del codice dell’impresa e dell’insolvenza, nessuna novità fino alla pubblicazione della legge 3 luglio 2023 n. 87.

L’articolo 4 ter, a tal proposito, adesso dispone così:

Art. 4 ter

(Proroga in materia di disciplina delle notificazioni eseguite dagli avvocati ai sensi dell’articolo 3-ter della legge 21 gennaio 1994, n. 53).

  1. L’efficacia delle disposizioni dei commi 2 e 3 dell’articolo 3-ter della legge 21 gennaio 1994, n. 53, introdotto dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, è sospesa fino al 31 dicembre 2023. Fino a tale data, quando la notificazione ai sensi del comma 1 dell’articolo 3-ter della citata legge n. 53 del 1994 non è possibile o non ha esito positivo, essa è eseguita con le modalità ordinarie e si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione della notificazione dallo stesso inviata mediante posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato.

E così una delle novità della riforma Cartabia che avrebbero potuto (forse) rendere più rapido e sicuro il procedimento di notifica tramite PEC ai sensi della L. n. 53/1994 quando la stessa non si concludeva per causa imputabile al destinatario, non solo di fatto non è mai entrata in vigore causa l’inesistenza di tale area ma, con la disposizione sopra trascritta, viene sospesa fino al 31 dicembre 2023.

Si riporta, quindi, il nuovo articolo 3 ter della legge 53/1994 in vigore dal 6 luglio 2023:

Legge n. 53/1994 – Art. 3-ter

  1. L’avvocato esegue la notificazione degli atti giudiziali in materia civile e degli atti stragiudiziali a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando il destinatario:
  2. è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi;
  3. ha eletto domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 6-quater del medesimo decreto.

Per effetto delle modifiche apportate si ricorda quindi che, dal 6 luglio 2023 e fino al 31 dicembre 2023, quando la notificazione ai sensi del comma 1 dell’articolo 3-ter della citata legge n. 53 del 1994 non è possibile o non ha esito positivo, essa è eseguita con le modalità ordinarie e si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione della notificazione dallo stesso inviata mediante posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato.


Pec obbligatoria nelle comunicazioni tra l’amministrazione e l’impresa

Sussiste l’obbligo giuridico di utilizzare, in via esclusiva, nelle comunicazioni tra p.a. e imprese, la Pec, Posta elettronica certificata.

Lo ha sancito il Consiglio di stato, sez. VI con la sentenza del 6 giugno 2023 n. 5534.

La controversia in esame verte sul principio della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. e più precisamente se operi la presunzione di ricezione della Pec. Una ditta aveva impugnato il fatto che la notifica della comunicazione di avvio dell’istruttoria di un procedimento amministrativo era stata ritenuta rituale nonostante l’amministrazione avesse ricevuto l’avviso di mancata consegna. I giudici amministrativi respingono la doglianza e precisano che non può avere alcun rilievo il fatto che la Pec dalla società appellante sia temporaneamente fuori servizio.
La Pec, infatti, costituisce ormai mezzo ordinario (nonché esclusivo) per le comunicazioni tra p.a. e imprese. Il dpcm 22 luglio 2011, contenente le “Comunicazioni con strumenti informatici tra imprese e amministrazioni pubbliche” ed adottato in attuazione proprio del menzionato art. 5-bis, comma 2, Cad, prevede, peraltro, al suo art. 3, che, a decorrere dal 1° luglio 2013, “le pubbliche amministrazioni non possono accettare o effettuare in forma cartacea le comunicazioni” (comma 1) e che “in tutti i casi in cui non è prevista una diversa modalità di comunicazione telematica, le comunicazioni avvengono mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata”, ai sensi degli artt. 48 e 65, comma 1, lett. c-bis, Cad. Sulla base del combinato disposto degli artt. 5, comma 1, dl 179 del 2012 (convertito con modificazioni dalla l. n. 221 del 2012) e 16, comma 6, del dl 185 del 2008 e ss.mm., ogni impresa individuale o collettiva ha l’obbligo di essere titolare di Pec ed ha, di riflesso, l’onere di mantenere la stessa in condizioni di efficienza, adottando ogni accorgimento idoneo a garantirne l’ordinaria operatività (ad esempio con lo spostamento o eliminazione dei messaggi per prevenire l’esaurimento della capacità di ricezione ovvero, per quanto qui più di interesse, col regolare adempimento delle eventuali obbligazioni assunte nei confronti del gestore del servizio).
V’è pertanto l’obbligo giuridico dell’impresa di rendersi reperibile con Pec e l’obbligo della p.a. di impiegarla quale unico strumento di comunicazione.

Leggi anche: Attivazione dell’Indice Nazionale dei Domicili Digitali (INAD) 2023


Tfr è la svolta: sentenza storica della Corte Costituzionale.

Incompatibili con la Costituzione le norme che prevedono di corrispondere in ritardo il trattamento di fine servizio. Per la Corte Costituzionale spetta dunque al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico finanziaria.

A stabilirlo è la Corte Costituzionale con la sentenza n. 130 del 23 giugno 2023.

Incompatibili con la Costituzione le norme che prevedono di corrispondere in ritardo il trattamento di fine servizio. Il differimento della corresponsione dei Tfs ai dipendenti pubblici cessati dall’impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta infatti con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione.

Si tratta di un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana.

La Corte costituzionale dice stop quindi alle attese di anni per ottenere la liquidazione, ma l’imperativo vale solo per i dipendenti Pa che vanno in pensione di vecchiaia, a esclusione quindi delle altre formule di pensione anticipata e di anzianità. Il governo guidato da Giorgia Meloni dovrà pertanto mettere mano alla legislazione sul Trattamento di fine rapporto (Tfr) o Trattamento di fine servizio (Tfs), assicurando nuove regole che possano tener conto delle modifiche richieste dalla Corte costituzionale, senza pesare tuttavia sui conti pubblici.

Adesso tocca al legislatore sanare la materia

Per la Corte Costituzionale spetta dunque al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria.

La sentenza ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, e dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione delle prestazioni.

Tuttavia, la discrezionalità del legislatore al riguardo – ha chiarito la Corte – non è temporalmente illimitata. E non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che con la sentenza n.159 del 2019, era già stato rivolto un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame. La Corte ha poi rilevato che la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio prevede temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati. Comunque, concludono i giudici delle leggi, tale normativa era connessa a esigenze contingenti di consolidamento dei conti pubblici.


Per multe e cartelle notifica digitale a metà fino al 30 novembre

Emendamento del Governo al decreto Pa-omnibus. Fino al 30 novembre le notifiche digitali a metà per gli atti della Pubblica amministrazione. In pratica, le notifiche digitali saranno accompagnate dalla loro copia analogica, per rispondere ad una doppia esigenza: quella di non escludere i cittadini ancora poco pratici con gli strumenti digitali, e quella di consentire alla Pa di completare la propria organizzazione in vista del passaggio informatico. La misura nasce per contrastare i rischi di non centrare un obiettivo Pnrr, indicato alla missione 1, componente 1-128, che prevede l’avvio delle notifiche digitali in almeno 800 amministrazioni centrali e Comuni entro la fine di quest’anno.


Nasce INAD, l’Indice Nazionale dei Domicili Digitali

Da oggi i cittadini possono eleggere il proprio domicilio digitale, indicando un indirizzo PEC dove ricevere le comunicazioni della PA

Al via l’Indice Nazionale dei Domicili Digitali (INAD): da oggi i cittadini possono registrare su INAD il proprio domicilio digitale, come per esempio un indirizzo PEC attivato in precedenza, dove ricevere tutte le comunicazioni ufficiali da parte della Pubblica Amministrazione. Farlo è molto semplice: basta collegarsi al sito domiciliodigitale.gov.it, accedendo con SPID, CIE o CNS, e inserire il proprio recapito certificato.

Inad nasce dalla collaborazione fra Agid, il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio e Infocamere, la società delle Camere di commercio per l’innovazione digitale, che ha realizzato la piattaforma.

Si tratta di un progresso importante. Il domicilio digitale, insieme alla Piattaforma Notifiche, ci consentirà di compiere un passo avanti fondamentale per la digitalizzazione del Paese e la semplificazione dei rapporti tra cittadini, imprese e Pubblica Amministrazione. Attraverso il domicilio digitale, infatti, cittadini, professionisti e aziende potranno beneficiare di un canale semplice e immediato per ricevere le comunicazioni ufficiali da parte della PA, con un risparmio significativo di tempi e costi” dichiara il Sottosegretario di Stato con delega all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti.

Cos’è il domicilio digitale e chi può registrarlo

Il domicilio digitale è l’indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata, come definito dal Regolamento eIDAS, valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale.

Possono eleggere il proprio domicilio digitale:

  • le persone fisiche che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età;
  • professionisti che svolgono una professione non organizzata in ordini, albi o collegi ai sensi della legge n. 4/2013;
  • gli enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione nell’INI-PEC.

Dal 6 luglio 2023 le Pubbliche Amministrazioni utilizzeranno, se presente nell’elenco, il domicilio digitale per tutte le comunicazioni con valenza legale e, a partire dalla stessa data, chiunque potrà consultarlo liberamente dall’area pubblica del sito, senza necessità di autenticazione, inserendo semplicemente il codice fiscale della persona di cui si vuol conoscere il domicilio digitale.

Sempre dal 6 luglio le Pubbliche Amministrazioni, i gestori di pubblico servizio e i soggetti privati aventi diritto potranno consultare INAD in modalità applicativa, attraverso apposite interfacce dedicate, rese fruibili mediante la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), già disponibili in ambiente di test.

Inoltre, dalla stessa data potranno eleggere il proprio domicilio digitale anche professionisti non iscritti in albi ed elenchi ed enti di diritto privato non presenti in INI-PEC.

Quali sono i vantaggi di INAD

Grazie a INAD, tutte le comunicazioni della Pubblica Amministrazione con valore legale, come ad esempio rimborsi fiscali e detrazioni d’imposta, accertamenti, verbali di sanzioni amministrative, e così via, vengono inviate direttamente nella casella di posta indicata dal cittadino, che può gestire in autonomia il proprio domicilio digitale.

Dopo aver registrato il proprio domicilio digitale su INAD, le notifiche arriveranno in tempo reale, senza ritardi o problemi relativi al mancato recapito, con notevoli risparmi legati al minore utilizzo della carta e all’azzeramento dei costi di invio tramite servizi postali. Inoltre il cittadino avrà immediatamente a disposizione la documentazione, senza l’incombenza di spostarsi fisicamente per recuperarla, mentre la Pubblica Amministrazione avrà un sistema di comunicazione centralizzato più efficiente, automatizzato e sicuro.

Come registrarsi

Per eleggere il proprio domicilio digitale è necessario accedere al portale domiciliodigitale.gov.it e registrarsi al servizio utilizzando il Sistema Pubblico d’Identità Digitale (SPID), la Carta d’Identità Elettronica (CIE) o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS). Una volta effettuata la registrazione, il sistema chiederà di inserire il proprio indirizzo PEC da eleggere come domicilio digitale. A partire dal 6 luglio 2023, il domicilio digitale eletto sarà attivo e consultabile.

Cosa cambia per i professionisti iscritti a INI-PEC

Il Codice dell’Amministrazione Digitale prevede che il domicilio digitale dei professionisti iscritti in INI-PEC, l’indice nazionale degli Indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti, venga importato automaticamente su INAD in qualità di persona fisica, restando salva la possibilità di modificarlo, indicando un altro indirizzo Pec.


La banca dati ANPR apre agli uffici comunali

I servizi sono disponibili aderendo alla Piattaforma Digitale Nazionale Dati

L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) apre agli uffici comunali. Con la pubblicazione delle Linee Guida del Ministero dell’Interno (Circolare 073 del 31-05-2023), l’accesso ai dati ANPR tramite la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) sarà possibile non solo per gli uffici anagrafici, ma verrà esteso a tutti gli uffici dei Comuni.

Dallo Sportello Unico delle Attività Produttive alla Scuola, dai Servizi socio sanitari ai Tributi, fino agli uffici della Polizia locale: da oggi le strutture comunali, in relazione alle funzioni istituzionali esercitate, potranno consultare direttamente i servizi, chiamati tecnicamente e-service, messi a disposizione da ANPR e raggruppabili in quattro categorie: notifiche, comunicazioni, verifiche e accertamenti.

I Comuni potranno avere accesso ai dati ANPR aderendo alla PDND, la Piattaforma, realizzata e gestita da pagoPA per conto del Dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che abilita lo scambio dati fra le amministrazioni, con l’obiettivo di valorizzare il capitale informativo della PA. Una volta aderito alla Piattaforma Digitale Nazionale Dati, le Amministrazioni dovranno sviluppare delle interfacce applicative (le cosiddette API, application programming interface) per interrogare la banca dati ANPR, seguendo le indicazioni contenute nelle Linee Guida fornite dal Ministero dell’Interno.


2 giugno 2023: Festa della Repubblica


Sottoscrizione autografa degli atti amministrativi

Il Consiglio di Stato con sentenza emessa in data 17 aprile 2023 ha rigettato il motivo di gravame con il quale l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto infondata la doglianza afferente alla mancanza della sottoscrizione autografa del Responsabile Area Urbanistica Edilizia del Comune del provvedimento di rigetto della domanda in sanatoria evidenziando come la giustificazione addotta dal Comune, in ordine alle procedure utilizzate per la formazione degli originali e delle copie conformi all’epoca dell’adozione dell’atto, non potesse ritenersi sufficiente ai fini della totale irrilevanza della firma.

Ad avviso dell’appellante sarebbe stata necessaria, infatti, almeno un’attestazione di conformità della copia all’originale ad opera di un pubblico ufficiale autorizzato, non potendo ritenersi sufficiente l’apposizione della dicitura “firmato” sul duplicato del provvedimento.

In replica a quanto dedotto dalla parte appellante, l’Amministrazione comunale ha ribadito quanto già esposto in primo grado in ordine alle procedure informatiche in uso all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato, che avrebbero consentito la stampa di un unico originale cartaceo e di una pluralità di copie, la cui conformità sarebbe stata attestata dal funzionario, in qualità di autore dell’atto.

Il Consiglio di Stato ritiene corretto il ragionamento logico-giuridico proposto dal T.A.R. a sostegno della reiezione del motivo “in quanto l’assenza di sottoscrizione non può ritenersi invalidante qualora risulti possibile e inequivocabile l’accertamento circa la concreta riconducibilità dell’atto al suo autore.

Invero, in virtù del principio di correttezza e buona fede cui devono essere improntati i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, l’autografia della sottoscrizione non può essere qualificata in termini di requisito di esistenza o validità giuridica degli atti amministrativi ove concorrano ulteriori elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che lo ha adottato), emergenti anche dal contesto documentativo dell’atto, che consentano di individuare la sicura provenienza e l’attribuibilità dell’atto al suo autore (Consiglio di Stato, sez. II, 24/01/2023, n. 793; Consiglio di Stato, sez. V, 28/5/2012, n. 3119; Consiglio di Stato, sez. IV, 11/5/2007, n. 2325).

Inoltre, come già affermato, anche qualora si ritenesse che l’atto fosse inesistente, ci si troverebbe comunque al cospetto di un’ipotesi di silenzio-diniego prevista ex lege, atteso che l’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dispone che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncino sulla richiesta di permesso in sanatoria entro il termine di sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata.(…)”.


Notifica ex art. 140 c.p.c. se la moglie convivente rifiuta di firmare l’atto

Per la Cassazione, il rifiuto della moglie convivente di firmare l’atto obbliga ad eseguire la notifica ex art. 140 c.p.c.
Scatta la notifica ex art. 140 c.p.c. se la moglie convivente si rifiuta di firmare la cartella esattoriale. Lo ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 10805/2023 accogliendo il ricorso di un contribuente contro l’Agenzia delle Entrate che aveva notificato intimazione di pagamento per oltre 185mila euro per l’anno di imposta 1996.
Nella vicenda, la notifica era stata effettuata presso l’abitazione del destinatario della cartella ma, in sua assenza, la moglie convivente si era rifiutata di firmare. In tal caso, ricorre l’ipotesi del rifiuto, l’agente notificatore avrebbe dovuto procedere con l’affissione dell’avviso presso l’abitazione ed il deposito presso la casa comunale come è prescritto dall’articolo 140 c.p.c., ma la procedura tuttavia non veniva tentata.
A fronte dell’art. 139, comma 2, c.p.c., secondo cui se il destinatario non viene trovato in uno dei luoghi ove deve essere ricercato, l’ufficiale giudiziario/Messo Comunale consegna copia dell’atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché non minore di 14 anni o non palesemente incapace afferma la Corte Suprema di Cassazione, nella specie, trova applicazione l’art. 140 c.p.c. secondo cui “se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”.
Per cui la sentenza impugnata va annullata e cancellata senza rinvio.


Solidarietà alla popolazione romagnola

L’Associazione A.N.N.A. esprime dolore e solidarietà alle popolazioni dei territori della Romagna colpite dall’evento calamitoso del 2 maggio scorso.

La nostra vicinanza è particolarmente rivolta alle persone che hanno subito gravissime perdite negli affetti e nei beni materiali.

Si esprime, altresì, la nostra vicinanza particolare ai nostri iscritti dei comuni della zona particolarmente colpiti.

Quanto accaduto nella Regione Emilia-Romagna è un fenomeno che ci porta tutti a interrogarci su come gli eventi naturali possano diventare anche catastrofici per molteplici responsabilità.


Legittima la notifica della multa presso la dimora

Per la Corte Suprema di Cassazione, la notifica della multa è legittima se eseguita presso la dimora e non presso la residenza anagrafica

È legittima la notifica della multa presso la dimora del destinatario e non presso la residenza anagrafica. Così la Corte Suprema di Cassazione nella  sentenza n. 12613/2023 .

Nella vicenda, un automobilista ricorreva alla Corte Suprema di Cassazione avverso la sentenza del tribunale di Castrovillari che, confermando la decisione di primo grado di rigetto dell’opposizione avverso l’ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative per violazione del Codice della Strada, aveva dichiarato valida la notifica del verbale di contestazione eseguita presso il luogo di dimora, seppur diverso dalla sua residenza anagrafica.

In particolare, il tribunale aveva rilevato che il verbale era stato ricevuto da persona qualificatasi come convivente presso il luogo dove erano state effettuate anche le successive notifiche.

Per la Corte Suprema di Cassazione, il ricorso è inammissibile.

Il tribunale ha ritenuto che non fosse causa di nullità della notifica che la stessa non fosse stata eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario, essendo comunque stata ricevuta presso il suo luogo di dimora.

l principio di diritto applicato dalla corte distrettuale, per la S.C., “è conforme all’art. 201, comma 3, Cds che richiama, a tal fine, le modalità previste dal Codice di procedura civile, secondo cui se la notificazione non è fatta a mani proprie va fatta presso il luogo di residenza, dimora o domicilio del destinatario” nonché al costante orientamento della corte di legittimità, secondo cui “ai fini della corretta determinazione del luogo di residenza o di dimora del destinatario, assume rilevanza esclusiva il luogo ove questi dimori di fatto in via abituale, con la conseguenza che le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento, e quindi, anche mediante presunzioni (Cass. n. 9049/2020).


Fissate le spese di notifica poste a carico dei contribuenti

Fissato l’importo delle spese di notifica degli atti emanati dagli enti locali e dai concessionari affidatari del servizio di accertamento e riscossione, il cui costo è posto a carico dei contribuenti. Il compenso è stabilito in modo forfettario per ogni tipologia di notifica

Fissato l’importo delle spese di notifica degli atti impositivi, degli atti di contestazione delle sanzioni e di sollecito di pagamento, emanati dagli enti locali e dai concessionari affidatari del servizio di accertamento e riscossione, il cui costo è posto a carico dei contribuenti. Il compenso è stabilito in modo forfettario per ogni tipologia di notifica, a seconda che venga effettuata tramite ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore o a mezzo del servizio postale. Non sono ripetibili, invece, le spese per la notifica degli atti istruttori e degli atti amministrativi emanati su richiesta dell’interessato. Queste nuove disposizioni sono contenute nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze del 14 aprile 2023.

Il decreto ministeriale ridetermina gli importi delle spese addebitabili ai contribuenti destinatari degli avvisi di accertamento esecutivi, degli atti di contestazione delle sanzioni, delle ingiunzioni e dei solleciti di pagamento, notificati dalle amministrazioni locali o dai concessionari con le diverse modalità consentite dalle norme di legge. In particolare, è stabilito che per gli atti impositivi, di irrogazione delle sanzioni e di sollecito di pagamento, le spese sostenute sono dovute dai destinatari nella misura di euro 7,83 per le notifiche effettuate mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, di euro 6,51 per le raccomandate semplici, di euro 2 per le notifiche effettuate mediante l’invio a mezzo posta elettronica certificata, di euro 11,55 per le notifiche degli avvisi ai contribuenti, ai sensi degli articoli 60 del dpr 600/1973 e 14 della legge 890/1982, vale a dire tramite il procedimento previsto per gli atti giudiziari, con la cosiddetta busta verde. Infine, per i solleciti di pagamento inviati a mezzo posta ordinaria la misura del compenso si riduce a 1,33 euro. Un costo maggiore è addebitato per le notifiche eseguite all’estero, il cui importo è fissato nella misura unitaria di euro 12,19, “fatto salvo quanto diversamente previsto dalle disposizioni contenute nelle convenzioni internazionali”. L’articolo 3 del decreto esclude espressamente la ripetibilità delle spese per la notifica “di atti istruttori e di atti amministrativi alla cui emanazione l’amministrazione è tenuta su richiesta”. Per esempio, in caso di accoglimento dell’istanza di rimborso del tributo o di autotutela, per vizi o errori contenuti negli atti emanati.

In merito alla notifica degli atti impositivi degli enti locali è stato chiarito, con recenti interventi giurisprudenziali, che le amministrazioni possono fare ricorso al servizio postale ordinario. Gli atti tributari possono essere notificati tramite il servizio di posta ordinaria, con raccomandata con avviso di ricevimento.

Non è imposto di fare ricorso al procedimento di notifica degli atti giudiziari, che assicurano maggiori garanzie ai destinatari. La scelta del legislatore di prevedere una forma semplificata di notifica è finalizzata a garantire una veloce realizzazione del credito fiscale. Si è così espressa la commissione tributaria regionale di Roma, terza sezione, con la sentenza 3198/2022, richiamando la pronuncia della Corte costituzionale 175/2018.

Trovano, quindi, applicazione le norme relative al servizio postale ordinario e non solo quelle della legge 890/1982. Al riguardo, anche la Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 28872/2018, ha operato un esplicito richiamo alla sentenza della Consulta suindicata, secondo cui la forma semplificata di notificazione trova la propria giustificazione nella funzione pubblicistica esercitata con la finalità di assicurare “la pronta realizzazione del credito fiscale e quindi a garanzia del regolare espletamento della vita finanziaria dello Stato”.

Pertanto, non è obbligatorio avvalersi del procedimento di notifica degli atti giudiziari. Naturalmente, in caso di utilizzo del servizio postale ordinario non è richiesta la relata di notifica, ma è sufficiente fornire la prova dell’avvenuta consegna del plico al destinatario o al consegnatario. La notifica può essere eseguita dall’ente anche senza l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario o del messo notificatore.

Sono utilizzabili tutte le forme di notifica elencate nel decreto del Ministero dell’economia e delle finanze citato, ma le relative spese non possono essere addebitate in misura superiore a quelle predeterminate in modo forfettario.


Nel caso di “doppia notifica” fa fede la prima notifica

Notificazione di un atto tributario al legale rappresentante o alla società: la modalità è alternativa. In caso di doppia notifica, bisogna far riferimento alla prima per il rispetto dei termini decadenziali dell’atto impositivo.
La notifica di un atto tributario ad una società priva di personalità giuridica avviene, in via alternativa, mediante notificazione al legale rappresentante o alla società.
In caso di “doppia notifica”, quindi, è la prima notifica che va considerata ai fini del rispetto dei termini decadenziali dell’atto impositivo.
Queste la decisione dettata dalla sentenza n. 10282/2023 della Corte Suprema di Cassazione.
La vicenda riguarda il ricorso proposto da una società di persone avverso l’atto di irrogazione della sanzione accessoria, previsto dall’art. 12 co. 2 DLgs. n. 471 del 1997, della sospensione dall’esercizio dell’attività per la durata di tre giorni consecutivi in esito alla contestazione nel quinquennio di quattro violazioni dell’obbligo di emettere lo scontrino fiscale.
L’Agenzia delle entrate aveva notificato l’atto impositivo due volte, sia alla società, in data 26 aprile 2012, sia al suo legale rappresentante, in data 20 aprile 2012.
La società proponeva ricorso avanti la CTP per intervenuta decadenza dal potere di irrogare sanzioni, in quanto l’atto era stato notificato oltre il previsto termine di sei mesi dalla quarta contestazione.
Il ricorso è stato accolto in primo grado ma il giudizio è stato riformato dalla CTR che, in accoglimento dell’appello proposto dall’amministrazione finanziaria, ha chiarito che il dies a quo per far decorrere il termine di sei mesi previsto dalla legge, è quello in cui l’atto è stato notificato alla società nelle mani del legale rappresentante.
La società ha impugnato la decisione di secondo grado dinanzi alla Corte Suprema di Cassazione, deducendo violazione dell’art. 12 co. 2-bis DLgs. n. 471 del 1997.
A parere della ricorrente il termine di sei mesi avrebbe dovuto, in ogni caso, computarsi dal 20 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna al legale rappresentante della società, e non dal 26 aprile 2012, giorno in cui era avvenuta la consegna alla società.
Infatti, trattandosi di una società priva di personalità giuridica, la notificazione al legale rappresentante della società, con consegna dell’atto a quest’ultima attraverso di essa, già in data 20 aprile 2012 rende in sostanza irrilevante la successiva consegna direttamente alla società il 26 aprile 2012.
Ritenendo fondato il motivo di doglianza della società, la Corte Suprema di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto l’originario ricorso proposto dalla ricorrente.
Il collegio di legittimità ha contestato la tesi della CTR per cui la doppia notifica si perfeziona con l’ultima notificazione.
La Corte Suprema di Cassazione richiama, a tal riguardo, la lettera dell’art. 145 co. 2 c.p.c. (nella versione vigente dal 1° marzo 2006), che prevede la possibilità di effettuare la notificazione di un atto a un ente non personificato o mediante notificazione all’ente stesso nella sede legale o al legale rappresentante dello stesso nei luoghi di sua residenza o domicilio.
La previsione del novellato art. 145 co. 2 c.p.c. – che pone il criterio dell’alternatività tra la notificazione nella sede o al legale rappresentante – si applica, ai sensi dell’art. 2 co. 4 L. n. 263/2005, ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.
Non si tratta, pertanto, di eccesso di zelo dell’Ufficio, bensì di notifica alternativa correttamente eseguita e sottoscritta dal destinatario.
Nella fattispecie, trattandosi di notificazioni effettuate nel 2012, deve farsi applicazione della disciplina pro tempore, ritenendosi corretta la prima notificazione, con conseguente fondatezza del motivo.
Da ciò discende l’annullamento della sentenza impugnata.


Fallimento: la notifica pec al domicilio digitale fa decorrere il termine per il reclamo

La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza del 9 febbraio 2023, nel ritenere valida la notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento presso il “domicilio digitale” del procuratore della società fallita e, di conseguenza, spirato il termine per la proposizione del reclamo da parte del socio illimitatamente responsabile e legale rappresentante della medesima società, ha affermato che, alla luce della vigente normativa, deve considerarsi come validamente effettuata la notifica via pec al “domicilio digitale” anche in caso di espressa elezione di “domicilio fisico”, in quanto trattasi di due opzioni alternative che, lungi l’una dal precludere l’altra, concorrono.

Orientamenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2021, n. 39970Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 11 febbraio 2021, n. 3557

La Corte di d’appello di Catanzaro, si è pronunciata sulla validità della notificazione della sentenza di fallimento di una s.n.c., emessa dal Tribunale di Cosenza, al “domicilio digitale”, ovvero all’indirizzo pec, del procuratore della società; nonché di conseguenza sull’idoneità della stessa a far decorrere il termine perentorio per proporre reclamo, ai fini di valutare la tempestività o meno del ricorso depositato dal socio illimitatamente responsabile e legale rappresentate della s.n.c..

Infatti, nel costituirsi in giudizio, la Curatela del Fallimento aveva eccepito l’inammissibilità del reclamo per tardività, poiché il relativo ricorso era stato proposto dal fallito oltre il termine perentorio di trenta giorni stabilito dall’art. 18 comma 1 L.F., termine decorrente “dalla data della notificazione della sentenza a norma dell’art.17” (art. 18, co. 4, L.F.).

Precisamente, l’art. 17 L.F. dispone che entro il giorno successivo al deposito in cancelleria, la sentenza che dichiara il fallimento vada notificata, su richiesta del cancelliere, al debitore, eventualmente presso il domicilio eletto nel corso del procedimento, e comunicata per estratto al pubblico ministero, al curatore e al richiedente il fallimento, con la specificazione che l’estratto deve contenere il nome del debitore, il nome del curatore, il dispositivo e la data del deposito della sentenza.

L’art. 18 L.F. prosegue poi prevedendo che contro la sentenza che dichiara il fallimento possa essere proposto reclamo dal debitore e da qualunque interessato con ricorso da depositarsi nella cancelleria della Corte d’appello nel termine perentorio di trenta giorni, termine che come precisato al comma 4 decorre per il debitore dalla data della notificazione della sentenza.

Premettendo che l’eccezione è stata ritenuta fondata e meritevole di accoglimento, la Corte d’Appello ha rilevato come risultasse dall’attestazione telematica che in data 31.01.2022 la Cancelleria fallimentare del Tribunale di Cosenza aveva notificato a mezzo pec la sentenza dichiarativa di fallimento, oggetto del reclamo, ex art. 170 c.p.c., all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocato procuratore speciale costituito nel giudizio pre-fallimentare.

I Giudici hanno evidenziato come, ai sensi dell’art. 16, comma 4, D.L. 18.10.2012, n. 179 (convertito in L. 17.12.2012 n. 221), “Nei procedimenti civili e in quelli davanti al Consiglio nazionale forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.

Pertanto, la notificazione della sentenza dichiarativa del fallimento da parte della Cancelleria all’indirizzo pec del procuratore domiciliatario era da ritenersi idonea a far decorrere il termine per impugnare ex art. 18 .L.F.; e ciò ancorché la società fallita, nell’atto di costituzione in giudizio, avesse optato per un’elezione di “domicilio fisico” presso lo studio dell’avvocato.

Al riguardo, la Corte di Catanzaro ha richiamato la giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione la quale ritiene che, alla luce della vigente normativa, il “domicilio fisico” costituisca un’alternativa al “domicilio digitale”, e che, dunque, debba considerarsi come validamente effettuata la notifica al “domicilio digitale” pure in caso di espressa elezione di “domicilio fisico”.

In particolare, si è riportato un precedente della giurisprudenza di legittimità che, seppur non riguardante l’ipotesi di reclamo ex art. 18 L.F., è stato ritenuto a questa assimilabile, e in cui la Suprema Corte di Cassazione ha considerato tardivo il ricorso per cassazione in quanto la sentenza impugnata era da ritenersi, ai fini di decorrenza del termine breve, validamente notificata via pec al domiciliatario in appello oltre che al “dominus” difensore; e ciò nonostante l’elezione di “domicilio fisico” in capo all’avvocato, destinatario della notifica telematica (Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2021, n. 39970).

La norma venuta in rilievo nel caso appena menzionato è quella, sempre introdotta con la L. di conversione n. 221/2012, dell’art. 16-sexies D.L. n. 179/2021, che sotto la rubrica “Domicilio digitale” stabilisce che “quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

La Corte Suprema di Cassazione ha così affermato, richiamando a propria volta un’altra pronuncia di legittimità (Cass. civ., Sez. lavoro, Sent., 11 febbraio 2021, n. 3557), che il “domicilio digitale” può essere utilizzato per la notificazione in questione, anche se non elide la prerogativa processuale di eleggere “domicilio fisico”, sicché le due opzioni concorrono: in tal caso, la parte aveva solo eletto domiciliazione fisica, ma la domiciliazione digitale, pur non impedendo l’utilizzo della prima, restava, per volontà dell’ordinamento, una delle due possibilità ai fini in discussione. Ne discendeva la ritualità della notifica della sentenza impugnata, nei sensi eccepiti dalla controricorrente, con conseguente sua idoneità all’attivazione del termine breve di impugnazione e tardività del ricorso.

Dunque, la validità della notificazione della sentenza dichiarativa di fallimento presso il “domicilio digitale” del procuratore della società fallita ha portato, di riflesso, a ritenere che fosse spirato il termine per la proposizione del reclamo da parte del socio illimitatamente responsabile e legale rappresentante della società fallita.

Ed invero, è stato applicato alla fattispecie il principio enunciato da Cass. civ., Sez. I, 17 novembre 2016, n. 23430, secondo cui “nel caso di dichiarazione di fallimento di una società di persone e del socio illimitatamente responsabile, anche in virtù di un ragionevole bilanciamento tra le ricordate esigenze di tutela del diritto di difesa e quelle di concentrazione e celerità dello svolgimento delle procedure concorsuali, deve ritenersi che, nel caso in cui il socio dichiarato fallito abbia anche la veste di legale rappresentante della società, la notifica della sentenza ricevuta in questa veste assicuri la piena conoscenza della decisione anche con riguardo alla dichiarazione del suo fallimento personale, con la conseguenza che da detta notifica decorre il termine breve per proporre reclamo anche nella qualità di socio illimitatamente responsabile”.

La Corte d’Appello non ha dubitato che il suddetto soggetto avesse avuto legale e completa conoscenza della sentenza che dichiarava il suo fallimento quale socio illimitatamente responsabile della snc, già al momento della notifica dell’atto presso il domicilio eletto da quest’ultima, in quanto egli aveva anche la veste di legale rappresentante della società.

Ne è derivata, pertanto, l’inammissibilità del reclamo proposto in data 2.5.2022, poiché ben oltre il termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza impugnata avvenuta in data 31.1.2022; e la Corte d’Appello di Catanzaro, ha in definitiva dichiarato inammissibile il reclamo e condannato il reclamante al pagamento delle spese di lite.