GARANTE PRIVACY: LINEE GUIDA PRIVACY ENTI LOCALI DIFFUSIONE ATTI E DOCUMENTI

Il Garante per la protezione dei dati personali ha approvato il 19 aprile scorso un documento recante le Linee guida in materia di trattamento di dati personali per finalità di pubblicazione e diffusione di atti e documenti di enti locali, a seguito delle istanze (segnalazioni e quesiti) pervenute da cittadini e soggetti pubblici riguardo al trattamento di dati personali effettuato nelle attività connesse alla pubblicazione e diffusione di atti e documenti di enti locali.

In via generale, il Garante prescrive che “Prima di intraprendere un’attività che comporta una diffusione di dati personali, l’ente locale valuti se la finalità di trasparenza e di comunicazione può essere perseguita senza divulgare tali dati, oppure rendendo pubblici atti e documenti senza indicare dati identificativi adottando modalità che permettano di identificare gli interessati solo quando è necessario: lo impone il principio di necessità, il quale comporta un obbligo di attenta configurazione di sistemi informativi e di programmi informatici per ridurre al minimo l’utilizzazione di dati personali (art. 3 del Codice)”.

In particolare, il Garante ricorda che: “L’ente può trovarsi di fronte all’interrogativo se pubblicare e diffondere anche dati sensibili o giudiziari. La loro particolare delicatezza ne rende lecita la diffusione solo se: è realmente indispensabile (artt. 3, 4, comma 1, lett. d) ed e), 22, commi 3, 8 e 9, del Codice); l’ente ha adottato il regolamento in materia previsto dal Codice su parere conforme del Garante (artt. 20, comma 2, 21, comma 2 e 181, comma 1, lett. a)). L’ente, salvi casi del tutto particolari che può rappresentare al Garante, non deve rivolgere specifiche richieste di parere a questa Autorità qualora abbia utilizzato, per il proprio regolamento, gli schemi tipo su cui il Garante ha espresso parere favorevole, predisposti per i comuni, le comunità montane e le province, rispettivamente dall’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci), dall’Unione nazionale comuni comunità enti montani (Uncem) e dall’Unione delle province d’Italia (Upi)”.

Di grande importanza per guidare l’attività degli enti locali sono i capitoli dedicati all’impiego di tecniche informatiche e telematiche; alla pubblicità assicurata mediante affissione all’albo pretorio; al materiale a stampa, pubblicazioni e volumi anche per scopi storici e infine alla diffusione di dati personali su Internet tramite pagina web.


Non spetta al Comune la competenza relativa alla determinazione dei compensi dei messi comunali

Stralcio

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 850/2007, ribadisce il proprio convincimento espresso nella sentenza n. 604/2006, secondo il quale non spetta al Comune la competenza relativa alla determinazione dei compensi dei messi comunali, in quanto riservata alla legislazione statale. Il Consiglio di Stato giustifica detta conclusione sulla base di un duplice ordine di considerazioni. Anzitutto, l’avvenuta abrogazione dell’art. 4 della Legge n. 249/1976, quale norma di rango primario, non comporta l’automatico effetto di devoluzione della competenza e alla regolamentazione della fattispecie originariamente disciplinata dalla norma abrogata e ad una fonte normativa secondaria o, addirittura amministrativa (come in questo caso), se non in presenza di una esplicita clausola di delegificazione (nella specie mancante).
In secondo luogo, la legge n. 114/1971 qualifica espressamente i compensi come direttamente spettanti ai messi comunali, e non ai Comuni, derivandone l’esclusione della titolarità del servizio in questione da parte dell’ente locale e dunque del diritto alla sua remunerazione.
Uniformemente a quanto già definito nella precitata sentenza n. 604/2006, viene ribadito inoltre che deve escludersi che la potestà del Comune all’autoregolamentazione dell’attività di notificazione assegnata ai messi comunali possa estendersi fino a condizionare la stessa possibilità di utilizzo del servizio in questione da parte delle amministrazioni statali, con la previsione di modalità e di termini per l’accesso allo stesso del tutto incompatibili con le esigenze postulate dal rispetto della normativa primaria che regola le notifiche degli atti giudiziari (cfr. Consiglio di Stato n. 604/2006).


Trasmissione informatica dei documenti

D. Lgs. 7.3.2005 n. 82
Art. 45.
Valore giuridico della trasmissione

1. I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, ivi compreso il fax, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale.

2. Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all’indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore.

Art. 76.

Entrata in vigore del codice

1. Le disposizioni del presente codice entrano in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2006.


Riunione dei Messi comunali della Provincia di Catania

Riunione dei Messi comunali della Provincia di Catania
I Messi Comunali della Provincia di Catania, con il patrocinio del Comune di Valverde, si incontrano il 22 giugno a Valverde.
L’iniziativa voluta dai colleghi di Valverde e Capo d’Orlando ha come obbiettivo principale quello di sensibilizzare tutti i colleghi della provincia catanese e oltre ad una piena consapevolezza del proprio ruolo e nello stesso tempo quello di far conoscere l’Associazione.
L’incontro si svolgerà a Valverde presso la sala ricevimenti Casalrosato.


Effettività della notifica

La Suprema Corte con la sentenza Sentenza 15 marzo 2006 n. 5789 affronta il tema della prova dell’avvenuta notifica di un atto o di un documento che, nel caso specifico, consiste in un verbale di accertamento di infrazione delle disposizioni del codice della strada.
Il principio dell’onere della prova e quello dispositivo impongono, ovviamente, alla parte attrice di un processo di provare i fatti che costituiscono il fondamento della propria richiesta.
Nel caso di specie si doveva provare anche la conoscibilità del relativo provvedimento sanzionatorio della P.A.. Infatti, in mancanza di una tale rituale comunicazione, la potestà di riscossione coattiva da parte della P.A. viene meno.
Il Comune costituitosi in giudizio quale controparte, a supporto delle proprie richieste, ha fornito quale elemento probatorio dell’avvenuta notifica, una mera annotazione di eseguita notifica sul registro detenuto dalla P.A., riportante la data, ma senza indicazioni del contenuto dell’atto notificato.
La Cassazione ha deciso per l’accoglimento del ricorso dell’automobilista sulla base del ragionamento che vuole assolutamente distinti e separati gli atti di annotazione di avvenuta notifica (atto interno alla P.A.) e la notifica vera e propria del verbale di accertamento, unico atto con efficacia probatoria.
Ecco che allora si statuisce in tal senso sul fondamento che l’annotazione in un registro, sia pure di una P.A., di una eseguita notifica, senza indicazione dell’atto notificato, integra un elemento privo anche di valore indiziario e comunque del tutto inidoneo a fornire la prova che un determinato atto sia stato effettivamente notificato al destinatario, prova nella specie necessaria al fine di potere superare la contestazione sollevata dal ricorrente.


Domicilio fiscale delle società: fa fede l’indirizzo contenuto nella denuncia dei redditi

La Corte di Cassazione con Sentenza 20 aprile 2007, n. 9393, ha fornito chiarimenti in merito alla notifica della cartella di pagamento nel caso in cui una società abbia trasferito la propria sede legale.

Nel caso in esame, la Suprema Corte ha precisato, richiamando l’art. 60, D.P.R. n. 600/1973, che il luogo corretto cui va notificato l’avviso di pagamento va desunto dalla dichiarazione annuale, se successiva alla eventuale comunicazione di variazione dell’indirizzo della sede legale o amministrativa fatta dalla società.

L’indicazione in dichiarazione di un recapito diverso da quello precedentemente dichiarato con l’apposita comunicazione, deve infatti essere interpretato come una nuova rettifica del domicilio.


Pubblico impiego: niente infortunio in itinere se il dipendente non rispetta il codice della strada

Non può essere riconosciuta la dipendenza da causa di servizio delle lesioni riportate dal pubblico dipendente che, nel recarsi al luogo di lavoro con la propria autovettura, sia rimasto coinvolto in un incidente stradale, allorché risulti che quest’ultimo sia stato causato da un errore di guida inescusabile del dipendente stesso (nel caso di specie, l’interessato si era immesso su una strada senza fermarsi allo “stop”).
Consiglio di Stato, sezione VI, 20 marzo 2007, n. 1309


Nullità della notifica apposta sul frontespizio

Il mancato rispetto delle formalità indispensabili per il raggiungimento dello scopo di cui all’art. 156 c. 2 c.p.c. rende nulla la notifica e non comporta il prodursi dell’effetto giuridico ad esso conseguente.

La notifica della sentenza effettuata in maniera irrituale perché la relata, anziché essere apposta in calce all’atto, sarebbe stata annotata sul frontespizio, non offre garanzie che la consegna dell’atto sia avvenuta nella sua integralità, e di conseguenza non produce l’effetto giuridico ad esso conseguente (prescrizione ai fini dell’impugnazione), onde deve ritenersi nulla la notificazione così eseguita, ai sensi del novellato art. 156 c. 2 c.p.c., perché “l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo”.
E’ quanto ha stabilito la quinta sezione civile della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6750 del 21 marzo 2007, accogliendo il ricorso di un contribuente il cui appello era stato dichiarato inammissibile dalla C.T.R. dell’Emilia Romagna, in quanto proposto oltre il termine breve d’impugnazione a seguito di notificazione della sentenza di primo grado. Infatti il contribuente, con un unico motivo, aveva sostenuto l’irrituale notifica della sentenza di primo grado perché la relata, anziché essere apposta in calce all’atto, era stata annotata sul frontespizio, deducendo di conseguenza di aver ricevuto notifica della sola prima facciata, e non anche della parte restante del documento.
Tali argomentazioni sono state ritenute fondate dalla Suprema Corte, così dichiarando nulla la notifica e gli effetti giuridici ad essa conseguenti, nella fattispecie il decorso del termine breve e la prescrizione del diritto all’impugativa, sulla scorta della disciplina di cui all’art. 148 c.p.c., con il quale il legislatore ha statuito che l’Ufficiale Giudiziario certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto, dunque ribadendo che proprio la regolare osservanza delle prescrizioni formali imposte dalla legge all’Ufficiale Giudiziario, in funzione del principio di recezione, è il fondamento degli effetti che scaturiscono dalla notifica, ed inoltre che la relazione – che la legge vuole sia apposta solo in calce alla copia dell’atto notificato e non in qualsiasi altra sede “topografica” del documento – ha la funzione garantistica di richiamare l’attenzione dell’Ufficiale Giudiziario alla regolare esecuzione dell’operazione di consegna della copia conforme all’originale dell’atto, confermando, quindi, quanto già espresso dalla stessa Corte con sentenza n. 15199/04, ovvero che l’eccezione di inammissibilità di un atto di impugnazione, proposta sotto il profilo dell’incompletezza della copia notificata per mancanza di alcuno dei fogli o delle pagine, deve respingersi solo qualora l’originale dell’atto depositato dall’impugante rechi in calce la relazione di notificazione redatta dall’Ufficiale Giudiziario, contenente l’attestazione dell’eseguita consegna della copia dell’atto, dovendosi ritenere, in difetto di querela di falso, che detta attestazione sia estesa alla conformità della copia consegnata all’originale completo.

Cassazione civile Sentenza, Sez. V, 21/03/2007, n. 6750


LA LEGGE FINANZIARIA 2007 NON IMPONE L’OBBLIGATORIETÀ DEI CORSI DI FORMAZIONE AI MESSI COMUNALI

LA LEGGE FINANZIARIA 2007  NON IMPONE L’OBBLIGATORIETÀ DEI CORSI DI FORMAZIONE PER I MESSI COMUNALI

La L. 27-12-2006 n. 296 (legge Finanziaria 2007) all’art. 1, commi 158, 159,160 prevede la possibilità da parte dei Comuni e delle Province di avvalersi di nuove figure, chiamati messi notificatori, per la notifica degli atti tributari locali. Tali figure sarebbero nominate dal Dirigente dell’ufficio competente.
Considerate le mansioni previste per tali figure, è previsto a carico dell’Ente, un corso di formazione con esame di idoneità.
Occorre qui ricordare che queste figure esercitano mansioni (Per la notifica degli atti di accertamento dei tributi locali e di quelli afferenti le procedure esecutive di cui al testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, e successive modificazioni, nonché degli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie) che già figurano tra quelle dei Messi comunali.

Pertanto, risulta quantomai NON RISPONDENTE AL VERO quanto affermato da alcune società di formazione che, per fini puramente speculativi, benché legittimi, sostengono la obbligatorietà dei corsi di formazione, ingenerando confusione nelle amministrazioni e una delegittimazione della figura del Messo comunale che, invece, non è stata affatto modificata nel suo ruolo e nelle sue mansioni dalle norme sopra richiamate.
Ferma restando l’importanza che la nostra Associazione attribuisce alla formazione per un corretto svolgimento del ruolo di notificatore e una valorizzazione della figura del Messo comunale, ribadiamo che non esiste alcun obbligo in capo alle Amministrazioni di fare formazione, direttamente o acquistando prodotti offerti sul mercato, se non quello previsto dalle norme contrattuali.
Pubblicheremo a breve le nostre osservazioni nel merito di tali disposizioni che lasciano alquanto perplessi sia sulla loro realizzazione che applicazione.


Firma digitale: quanto è sicura?

La firma digitale continua ad essere sicura anche se i matematici cinesi dell’università di Shandong hanno trovato il modo di “rompere” lo Sha-I, ovvero il codice che si usa nella crittografia. Se un documento a firma digitale potesse essere modificato prima di arrivare al destinatario senza che questi se ne accorga le conseguenze sarebbero disastrose, specie se si pensa che, in base all’art. 31 del codice sulla privacy, che fissa obblighi di sicurezza “in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnologico”, le responsabilità soggettive sarebbero anche penali.
Ma le cose non sono così semplici. La firma digitale si compone di due fasi: nella prima il documento digitale da firmare è compresso o dilatato secondo un preciso processo matematico (lo Sha-I appunto) in una sequenza fissa di 160 bit l’ “impronta”. Poi l’impronta è trasformata con un algoritmo (Rsa) in una sequenza di 1.024 bit, la “firma”. L’algoritmo opera con due chiavi differenti per firmatario, una per cifrare e una per decifrare. L’Rsa usa chiavi derivate da una coppia di numeri primi impiegati in modo complementare: per la cifratura la chiave privata è basata sui due numeri primi, mentre per la decifratura la chiave pubblica è basata sul loro prodotto.
La difficoltà per chi volesse violare il documento sta nel fatto che non è così facile scomporre il prodotto nei suoi due fattori, anche perché con le attuali tecniche di firma si usano numeri primi grandissimi, ognuno di 1.024 bit, pari a circa 330 cifre decimali. Non c’è altro modo di scomporre il numero se non per tentativi e il tempo per farlo, anche con i più potenti calcolatori, sarebbe superiore all’età dell’universo.
Il codice Sha-I è un processo che trasforma ogni documento in una sequenza di 160 bit. E’ impossibile risalire al documento che l’ha generato e al massimo, operando per tentativi, si ricaverebbe un documento con la stessa impronta ma che non ha nulla a che vedere con l’originale.
Allora cosa hanno fatto i matematici cinesi? Hanno trovato un metodo più intelligente di quello per tentativi. Ma in ultima analisi non cambia niente, perché continua ad essere impossibile recuperare il documento d’origine. Inoltre, anche se si riuscisse a rompere il codice Sha-I rimarrebbe comunque da decifrare l’Rsa.
Insomma la firma digitale continua ad essere sicura e inviolabile da ormai 10 anni e sembra che continuerà ad esserlo per ancora un bel po’ di tempo.

Fonte: biweb.it


Il datore di lavoro non può controllare le e-mail nè i siti web visitati dal dipendente

Il garante per la protezione dei dati personali, in data 1° marzo 2007, ha emanato un provvedimento generale diretto a fornire concrete indicazioni circa l’utilizzo del computer nei luoghi di lavoro, con particolar attenzione all’uso di internet e della posta elettronica. Al riguardo, atteso che la verifica dei siti web visitati dal dipendente e l’esame dei messaggi di posta elettronica può comportare l’acquisizione di informazioni che rilevano nella sfera privata dello stesso, il provvedimento, mira a predisporre delle misure idonee a prevenire usi arbitrari di tali strumenti informatici, al fine di tutelare la riservatezza degli stessi lavoratori, vietando il monitoraggio delle attività informatiche. In particolare, si prescrive il divieto per i datori di lavoro pubblici e privati di controllare la posta elettronica e la navigazione in internet dei dipendenti, salvo limitati casi connotati da carattere di eccezionalità, anche perché, l’attività di monitoraggio delle pagine web e della posta integrerebbe un controllo a distanza del lavoratore espressamente precluso dall’art. 4 dello statuto dei lavoratori. Si prevede, altresì, che gli stessi datori di lavoro dovranno informare preventivamente e dettagliatamente i dipendenti sull’utilizzo del computer sul luogo di lavoro e della possibilità dell’effettuazione di controlli. Tra le iniziative suggerite dallo stesso garante si segnalano: – la individuazione preventiva dei siti accessibili compatibili con le politiche del lavoro relativo all’azienda interessata; – l’utilizzo di filtri che impediscano operazioni non consentite; – la valutazione della possibilità di un indirizzo alternativo per messaggi di posta elettronica privata, delegando formalmente un altro lavoratore per il controllo della posta elettronica in caso di assenza prolungata. Specifiche misure di tutela sono state previste dal Garante per le professioni


Pubblici dipendenti: hanno diritto al rimborso delle spese legali nel limite previsto dall’Avvocatura

Il rimborso delle spese legali, sostenute nei giudizi intrapresi nei confronti dei dipendenti delle Amministrazioni statali per responsabilità civili, penali ed amministrative, in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza che escluda la loro responsabilità, deve essere effettuato, ai sensi dell’art. 18 del d.l. n. 67 del 1997, convertito in legge n. 135/97, nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Questa la decisione della Corte di Cassazione, Sezione lavoro, nella sentenza 23 gennaio 2007, n. 1418. In pratica, per la Suprema Corte, il dipendente, ingiustamente accusato, ha diritto al rimborso da parte della Amministrazione di appartenenza delle spese sopportate per la sua difesa, “ma entro il limite di quanto strettamente necessario (trattandosi di erogazioni che gravano sulla finanza pubblica e devono quindi essere contenute al massimo) secondo il parere di un organo tecnico altamente qualificato per valutare sia le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale, e sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale”. La Corte ha ritenuto, pertanto, “fuor di luogo il richiamo al parere di congruità espresso dal Consiglio dell’ordine su richiesta dell’avvocato che intenda agire nei confronti del cliente per il recupero delle sue spettanza, sia perché quel parere non è obbligatorio, come nella specie, ma necessario, sia perché la valutazione dell’Avvocatura riguarda non solo la conformità della parcella alla tariffa forense (oltre la quale il rimborso sarebbe illegittimo), ma il rapporto fra l’importanza e delicatezza della causa e le somme spese per la difesa e delle quali si chiede il rimborso”.

Corte di Cassazione, Sez. lavoro, 23.1.2007, n. 1418


GARANTE PRIVACY: linee guida per utilizzo posta elettronica e di internet

E’ stato finalmente adottato l’atteso provvedimento con il quale il Garante per la protezione dei dati personali fornisce le linee guida per l’utilizzo della posta elettronica e di internet in azienda e le conseguenti regole per il trattamento dei dati personali dei lavoratori.

Il principio generale a cui deve essere in ogni caso ispirato il trattamento dei dati personali relativi alla navigazione in internet e recati dai messaggi di posta elettronica è quello di trasparenza: grava sul datore di lavoro l’onere di indicare chiaramente e in modo particolareggiato, quali siano le modalità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione ritenute corrette e se, in che misura e con quali modalità vengano effettuati controlli. Ciò, ricorda il Garante, tenendo conto della pertinente disciplina applicabile in tema di informazione, concertazione e consultazione delle organizzazioni sindacali.

Il Garante riconosce che il dovere di informazione che incombe sul datore di lavoro può trovare applicazioni diverse a seconda delle dimensioni della struttura, con particolare riferimento, ad esempio, ai casi di piccole realtà dove vi è una continua condivisione interpersonale di risorse informative.

In conformità al canone di trasparenza e correttezza, il Garante suggerisce di adottare un disciplinare interno redatto in modo chiaro e senza formule generiche, da pubblicizzare adeguatamente (verso i singoli lavoratori, nella rete interna, mediante affissioni sui luoghi di lavoro con modalità analoghe a quelle previste dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ecc.) e da sottoporre ad aggiornamento periodico.

Il contenuto del disciplinare potrebbe essere il seguente:

– se determinati comportamenti non sono tollerati rispetto alla “navigazione” in Internet (ad es., il download di software o di file musicali), oppure alla tenuta di file nella rete interna;
– in quale misura è consentito utilizzare anche per ragioni personali servizi di posta elettronica o di rete, anche solo da determinate postazioni di lavoro o caselle oppure ricorrendo a sistemi di webmail, indicandone le modalità e l’arco temporale di utilizzo (ad es., fuori dall’orario di lavoro o durante le pause, o consentendone un uso moderato anche nel tempo di lavoro);
– quali informazioni sono memorizzate temporaneamente (ad es., le componenti di file di log eventualmente registrati) e chi (anche all’esterno) vi può accedere legittimamente;
– se e quali informazioni sono eventualmente conservate per un periodo più lungo, in forma centralizzata o meno (anche per effetto di copie di backup, della gestione tecnica della rete o di file di log );
– se, e in quale misura, il datore di lavoro si riserva di effettuare controlli in conformità alla legge, anche saltuari o occasionali, indicando le ragioni legittime – specifiche e non generiche – per cui verrebbero effettuati (anche per verifiche sulla funzionalità e sicurezza del sistema) e le relative modalità (precisando se, in caso di abusi singoli o reiterati, vengono inoltrati preventivi avvisi collettivi o individuali ed effettuati controlli nominativi o su singoli dispositivi e postazioni);
– quali conseguenze, anche di tipo disciplinare, il datore di lavoro si riserva di trarre qualora constati che la posta elettronica e la rete Internet sono utilizzate indebitamente;
– le soluzioni prefigurate per garantire, con la cooperazione del lavoratore, la continuità dell’attività lavorativa in caso di assenza del lavoratore stesso (specie se programmata), con particolare riferimento all’attivazione di sistemi di risposta automatica ai messaggi di posta elettronica ricevuti;
– se sono utilizzabili modalità di uso personale di mezzi con pagamento o fatturazione a carico dell’interessato;
– quali misure sono adottate per particolari realtà lavorative nelle quali debba essere rispettato l’eventuale segreto professionale cui siano tenute specifiche figure professionali;
– le prescrizioni interne sulla sicurezza dei dati e dei sistemi (art. 34 del Codice, nonché Allegato B), in particolare regole 4, 9, 10).

Quanto al controllo a distanza dei lavoratori, il Garante ribadisce, circostanziando le prescrizioni già in passato formulate nell’ambito di provvedimenti di diversa natura, che non è consentito il trattamento effettuato mediante sistemi hardware e software preordinati al controllo a distanza, grazie ai quali sia possibile ricostruire l’attività di lavoratori.

A titolo esemplificativo lo stesso Garante formula alcune ipotesi:
– lettura e registrazione sistematica dei messaggi di posta elettronica ovvero dei relativi dati esteriori, al di là di quanto tecnicamente necessario per svolgere il servizio e-mail;
– riproduzione ed eventuale memorizzazione sistematica delle pagine web visualizzate dal lavoratore;
– lettura e della registrazione dei caratteri inseriti tramite la tastiera o analogo dispositivo;
– analisi occulta di computer portatili affidati in uso.

Garante per la protezione dei dati personali, Deliberazione 1° marzo 2007, n.13


GARANTE PRIVACY, LE LINEE GUIDA PER WEB E POSTA ELETTRONICA

I datori di lavoro pubblici e privati non possono controllare la posta elettronica e la navigazione in Internet dei dipendenti, se non in casi eccezionali. Spetta al datore di lavoro definire le modalità d’uso di tali strumenti ma tenendo conto dei diritti dei lavoratori e della disciplina in tema di relazioni sindacali. Il Garante privacy, con un provvedimento generale che sarà pubblicato sulla ”Gazzetta Ufficiale”, fornisce concrete indicazioni in ordine all’uso dei computer sul luogo di lavoro. ”La questione e’ particolarmente delicata – afferma il relatore Mauro Paissan – perché’ dall’analisi dei siti web visitati si possono trarre informazioni anche sensibili sui dipendenti e i messaggi di posta elettronica possono avere contenuti a carattere privato. Occorre prevenire usi arbitrari degli strumenti informatici aziendali e la lesione della riservatezza dei lavoratori”.

L’Autorità prescrive innanzitutto ai datori di lavoro di informare con chiarezza e in modo dettagliato i lavoratori sulle modalità di utilizzo di Internet e della posta elettronica e sulla possibilità che vengano effettuati controlli. Il Garante vieta poi la lettura e la registrazione sistematica delle e-mail così come il monitoraggio sistematico delle pagine web visualizzate dal lavoratore, perché ciò realizzerebbe un controllo a distanza dell’attività lavorativa vietato dallo Statuto dei lavoratori. Viene inoltre indicata tutta una serie di misure tecnologiche e organizzative per prevenire la possibilità, prevista solo in casi limitatissimi, dell’analisi del contenuto della navigazione in Internet e dell’apertura di alcuni messaggi di posta elettronica contenenti dati necessari all’azienda.

Il provvedimento raccomanda l’adozione da parte delle aziende di un disciplinare interno, definito coinvolgendo anche le rappresentanze sindacali, nel quale siano chiaramente indicate le regole per l’uso di Internet e della posta elettronica.


DIRETTIVA SULL’INFORMATIZZAZIONE DEGLI UFFICI PUBBLICI

Stop ai documenti aggiuntivi; sviluppo dei servizi on line; stop alla carta; maggiore trasparenza dei bandi di gara.
Sono questi i punti principali della direttiva (file in formato .pdf) sull’interscambio di dati tra le pubbliche amministrazioni e la pubblicità dell’attività negoziale firmata dal Ministro per le Riforme e le Innovazioni nella P.A. il 20 febbraio scorso.

La direttiva parte dal presupposto che una visione integrata dell’innovazione non può essere dettata solo dall’applicazione delle tecnologie ma anche dalla semplificazione dei processi amministrativi e dall’interazione dei servizi tra le diverse amministrazioni.

L’obiettivo della direttiva è sostanzialmente quello di dare una forte accelerazione all’informatizzazione degli uffici pubblici e di dare piena attuazione al Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD – file in formato .pdf). Nonostante il CAD sia in vigore da tempo, le amministrazioni sono, infatti, ancora in ritardo riguardo il livello tecnologico delle prestazioni e, di conseguenza, sulla capacità di interazione con cittadini e imprese.

Lo sviluppo dell’azione dell’amministrazione tramite strumenti digitali, oltre ad agevolare i rapporti con i cittadini, deve anche migliorare i processi di valutazione e monitoraggio delle strutture.

La direttiva prevede quindi che i dirigenti della pubblica amministrazione vengano valutati anche in base al livello di interazione informatica con i cittadini, cioè in base alla quantità di procedimenti attivati mediante strumenti digitali.

In particolare, la direttiva prevede.

Stop ai documenti aggiuntivi

Le amministrazioni non possono più chiedere agli utenti documentazione aggiuntiva per verificare la veridicità delle autocertificazioni, ma dovranno basarsi su banche dati aggiornate per accertare a monte la sussistenza dei requisiti richiesti. Per ridurre i tempi e semplificare le procedure è necessaria, su breve periodo, la piena cooperazione tra le amministrazioni mediante la condivisione degli archivi e delle informazioni e sul medio periodo, l’integrazione in rete dei servizi e delle procedure.

Stop alla carta

Il cittadino ha diritto di accedere agli atti amministrativi anche attraverso il rilascio delle copie dei documenti su supporto elettronico.

Servizi on line
In attesa della distribuzione della carta d’identità elettronica e della carta nazionale dei servizi, tutti i cittadini dovranno essere messi nella condizione di interagire con le amministrazioni tramite il rilascio di password e codici pin. Le iscrizioni a scuola, per fare un esempio, potranno essere fatte tramite e-mail. Lo sviluppo dei servizi on line in tutto il Paese è indispensabile anche per limitare il digital divide dovuto a condizioni sociali, fisiche o territoriali.

Trasparenza dei bandi

I bandi di gara per l’acquisizione di beni e servizi o per la realizzazione di opere pubbliche di importo superiore a 20mila euro dovranno essere pubblicizzati sui siti Internet istituzionali, per migliorare la trasparenza e l’efficienza della spesa pubblica.