Cartelle esattoriali: nulla la notifica se da PEC non ufficiale

Notifica delle cartelle esattoriali solo da PEC ufficiale. In caso contrario si considera nulla. A stabilirlo diverse pronunce giurisprudenziali, ed è quindi importante per il contribuente verificare l’indirizzo di posta elettronica certificata del mittente.
Sono diverse le pronunce giurisprudenziali sul tema accomunate dall’aver evidenziato la nullità delle attività di notifica mediante caselle di posta elettronica certificata non inserite nei pubblici registri.
Questo è quanto stabilito ad esempio dalla ventesima Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Roma con l’ordinanza numero 10571 del 16 dicembre 2020.
In buona sostanza, a conferma fra l’altro dell’orientamento giurisprudenziale, secondo i giudici tributari risulta priva di effetto ab origine, e quindi inesistente e non suscettibile di sanatoria, la notifica dell’Agenzia delle Entrate proveniente da questo indirizzo:
notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it
Nel caso di specie, infatti, l’Ente della Riscossione in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato una delle PEC riferite all’Agenzia delle Entrate Riscossione riportate nel pubblico registro (Indice delle Pubbliche Amministrazioni).
La sentenza numero 10571 del 16 dicembre 2020 della ventesima CTP ha confermato l’orientamento ormai consolidato secondo cui la notificazione via PEC, per considerarsi valida, deve essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che risulti da pubblici elenchi.
Nel in cui il contribuente si ritrovi nella casella di posta una cartella proveniente da un qualsiasi altro indirizzo, deve reputare quella notifica priva di efficacia perché inesistente.
Non si potrà, per tale ragione, invocare la “sanatoria per raggiungimento dello scopo” prevista dall’articolo 156 del Codice di Procedura Civile, perché la notifica irrituale degli atti tributari, ancor prima che nulla, è inesistente.
L’articolo 156 citato, in tema di rilevanza delle nullità, stabilisce infatti quanto segue:
“Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge.
Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo.
La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato”.
Ciò significa che, secondo il principio di tassatività, l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento determina la nullità solamente nei casi previsti dalla legge.
La fattispecie richiamata, tra l’altro, fa riferimento alle cosiddette nullità formali che intervengono soltanto in casi eccezionali perché, in ipotesi di raggiungimento dello scopo, il relativo vizio viene sanato.
Ebbene, i giudici tributari hanno escluso l’applicazione di questo principio al caso di specie ed hanno ritenuto insanabile l’irregolarità della notifica.
Secondo quanto stabilito dall’ordinanza in commento, infatti, la Commissione Tributaria ha considerato la notifica per mezzo di una PEC non ufficiale, ancor prima che nulla, inesistente.
Non è quindi da ricomprendere nei vizi sanabili nel caso di raggiungimento dello scopo, così come disposto dal citato articolo 156, ossia nel caso di avvenuta conoscenza dell’atto notificato (le cartelle esattoriali).
Vi è infatti una fondamentale differenza tra inesistenza e nullità di un atto, i cui caratteri sono spesso oggetto di diatribe dottrinali e giurisprudenziali.
In estrema sintesi, la prima consiste nella più grave forma di invalidità, comminata laddove sussista una anomalia dell’atto nella sua formazione, perché privo di uno degli elementi essenziali o comunque illecito.
Nullità che, fra l’altro, in alcuni casi può essere sanata (nullità relativa) e in altri persiste definitivamente (nullità assoluta).
La seconda, viceversa, interviene quando il vizio è talmente grave da non consentire nemmeno di identificare l’atto, nemmeno nei suoi requisiti minimi essenziali.
D’altronde, l’articolo 16 ter del D.L. 179/2012 definisce pubblici elenchi quelli previsti gli articoli 4 e 16, comma 12, dello stesso decreto, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.
Ecco, quindi, che l’indirizzo da cui è giunta la cartella impugnata non è oggettivamente e con certezza riferibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione, non risultando nell’elenco del Reginde (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici gestito dal Ministero della Giustizia), né nella pagina ufficiale del sito internet dell’Agenzia Entrate Riscossione, né tantomeno nella pagina della CCIAA (Camera di Commercio di Roma).
È l’articolo 3-bis della legge n. 53/1994 a definire le regole in materia di notifica di atti tramite PEC e, in particolare, il comma 1 prevede che:
“La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.”
Gli elenchi pubblici a cui si fa riferimento nell’ambito delle attività di notifica delle cartelle esattoriali sono quindi quelli sopra individuati: Reginde, INIPEC e IPA. In caso di indirizzi di posta elettronica certificata non inclusi, la notifica è quindi ritenuta nulla.
Questo è l’orientamento che ha caratterizzato le ultime pronunce in materia, e oltre a quella sopra analizzata si cita, a titolo esemplificativo, il recente intervento della CTR del Lazio con la sentenza n. 3514 del 2 agosto 2022, secondo il quale le notifiche effettuate tramite PEC non incluse in elenchi pubblici sono nulle e si considerano inesistenti.
Gli esempi di cui sopra consolidano quindi un orientamento ormai diffuso, a tutela dei diritti dei contribuenti.


COMUNICATO RINNOVO CCNL FUNZIONI LOCALI

Sottoscritta il 4 agosto l’ipotesi di accordo per il rinnovo del contratto dei 430.000 dipendenti delle Funzioni Locali per il triennio 2019-2021.

Il testo sottoscritto è ora sottoposto alla certificazione della Corte dei Conti e alla valutazione dei lavoratori e lavoratrici nelle assemblee. Il percorso si concluderà prevedibilmente entro il mese di settembre, consentendo agli enti di adeguare i salari ed erogare gli arretrati entro la fine dell’anno.
Riservandoci un giudizio più articolato sui risultati complessivi ottenuti dal sindacato con questo rinnovo anticipiamo alcune valutazioni sul capitolo relativo al nuovo ordinamento professionale, argomento che riveste particolare interesse tra i nostri associati e sul quale A.N.N.A. conduce da tempo una battaglia per il giusto riconoscimento del ruolo dell’agente notificatore in termini di professionalità e responsabilità.
Il nostro impegno per la valorizzazione della figura del messo comunale ha sempre caratterizzato la nostra iniziativa, fin dai primi passi compiuti dall’associazione: senza mai indulgere in posizioni corporative, abbiamo perseguito l’obiettivo del corretto inquadramento contrattuale, rivolgendo le nostre istanze ai vari livelli istituzionali e mediante un proficuo rapporto con il sindacato. Ricordiamo, per tutti, il convegno di Roma del 2008, che ha visto la qualificata presenza dei segretari nazionali di categoria di Cgil, Cisl e Uil; l’interlocuzione con il sindacato non è mai venuta meno e si è intensificata nell’occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale, allorchè abbiamo rinnovato le nostre richieste per la categoria trovando ascolto e interesse anche se, a volte, con dei distinguo.
Sinceramente ci aspettavamo decisioni più incisive. Registriamo, però, alcune novità di rilievo: il nuovo ordinamento introduce un sistema di classificazione basato non più sulle Categorie A, B, C e D, ma su Aree Professionali (Area degli Operatori, Area degli Operatori Esperti, Area degli Istruttori, Area dei Funzionari e delle Elevate Qualificazioni), con nuove possibilità di progressione orizzontale con il sistema dei differenziali economici, per un numero massimo stabilito nella Tabella A e di progressione verticale tra aree. Nell’area che interessa in particolare la nostra categoria, oggi collocata prevalentemente in Cat. B, in fase di prima applicazione, e cioè fino al 31/12/2025, la progressione verticale può aver luogo con procedure valutative, superando lo sbarramento rigido del possesso del titolo di studio, che rappresentava, per diversi Messi Comunali, un ostacolo insormontabile per gli sviluppi di carriera verso la Cat. C. Tali progressioni, inoltre, sono specificamente finanziate con risorse aggiuntive fino allo 0,55% del monte salari del 2018.
Il personale in servizio sarà inquadrato secondo la Tabella B di trasposizione dal 5° mese successivo alla sottoscrizione del nuovo contratto; all’interno dell’Area, come già accennato, al dipendente possono essere attribuiti uno o più differenziali stipendiali, con procedura selettiva attivabile annualmente in relazione alle risorse disponibili nel Fondo Risorse Decentrate. Ciò consentirà di remunerare il maggior grado di professionalità acquisito, in aggiunta alla retribuzione maturata nella posizione economica già conseguita, anche ai dipendenti che avevano raggiunto le posizioni economiche più elevate (es. i B7).
È inoltre prevista la progressione (verticale) tra aree, da attuarsi con procedura comparativa basata su valutazione, assenza di provvedimenti disciplinari, possesso di titoli o competenze professionali, incarichi rivestiti, così come disciplinato dagli enti.
Spetta infatti agli enti, in relazione al proprio modello organizzativo, identificare i profili professionali e collocarli nella corrispondente area. Le declaratorie di cui all’All. A indicano l’insieme dei requisiti indispensabili per l’inquadramento in ciascuna di esse; i profili professionali descrivono il contenuto professionale delle attribuzioni proprie dell’area. Saranno quindi gli enti a identificare i singoli profili professionali, come ad esempio il messo, collocandoli nelle rispettive aree nel rispetto delle declaratorie (art. 12 c. 6). Dalla data di entrata in vigore del nuovo ordinamento è disapplicato l’All. A del ccnl 31/03/1999, le cui declaratorie collocavano in modo alquanto rigido il messo in Cat. B (già IV q.f.). Viene meno, pertanto, l’ostacolo che impediva agli enti di inquadrare il messo in una categoria superiore e viene demandato alla scelta responsabile degli Enti la corretta definizione del profilo del messo che dovrebbe, a nostro avviso, fare riferimento alle caratteristiche dei profili dell’Area degli Istruttori. L’accesso a questa area è possibile per chi:

  • sia in possesso del diploma della scuola secondaria di 2° grado e almeno 5 anni di esperienza maturata nell’area di provenienza,

oppure

  • abbia assolto l’obbligo scolastico e abbia maturato almeno 8 anni nell’area degli operatori esperti.

Resta in vigore il sistema delle indennità quali l’indennità condizioni di lavoro (art. 70 bis), l’indennità per specifiche responsabilità (art. 84) fino ad un importo massimo di € 3.000,00 annui.

L’individuazione dei profili professionali e la loro collocazione in una determinata area compete, come sopra accennato, alle amministrazioni, ma sarà necessariamente oggetto di confronto con la RSU, come previsto nell’art. 5.
Si aprono dunque nuove possibilità di far valere le giuste istanze della categoria, riguardo ad un inquadramento più consono all’evoluzione del ruolo e della figura del messo comunale/notificatore che, realisticamente, dovrebbe rientrare nella declaratoria dell’Area degli Istruttori per come descritta nell’All. A che sotto trascriviamo:
“Appartengono a quest’area i lavoratori strutturalmente inseriti nei processi amministrativi-contabili e tecnici e nei sistemi di erogazione dei servizi e che ne svolgono fasi di processo e/o processi, nell’ambito di direttive di massima e di procedure predeterminate, anche attraverso la gestione di strumentazioni tecnologiche. Tale personale è chiamato a valutare nel merito i casi concreti e ad interpretare le istruzioni operative. Risponde, inoltre, dei risultati nel proprio contesto di lavoro.
Specifiche professionali:

  • Conoscenze tecniche esaurienti;
  • Capacità pratiche necessarie a risolvere problemi di media complessità, in un ambito specializzato di lavoro;
         Responsabilità di procedimento o infraprocedimentale, con eventuale responsabilità di coordinare il lavoro dei colleghi”.

Si aprirà quindi, dopo la sottoscrizione definitiva, una stagione non facile di contrattazione decentrata. Da parte nostra, come Associazione, seguiremo con attenzione l’andamento del confronto tra le parti, con l’obiettivo di monitorare l’applicazione delle norme e per raggiungere l’obiettivo abbiamo ed avremo bisogno della massima partecipazione e del sostegno dei nostri iscritti che rappresentano la nostra forza.

L’auspicio è che si raggiunga uniformità di trattamento sui territori e che l’inquadramento possa essere il più vantaggioso possibile per i messi, nel rispetto dei diritti dei lavoratori nostri associati.

Leggi: Comunicato A.N.N.A. sulla preintesa 2022

Leggi: Ipotesi CCNL Funzioni locali 2019 2021


Sempre ok la notifica postale dell’accertamento Impoesattivo

Via libera da parte della Corte Suprema di Cassazione all’amministrazione finanziaria, al recapito, anche per questo tipo di atti, tramite raccomanda con avviso di ricevimento L’articolo 29 del Dl n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, seppure abbia previsto che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto, non ha invece introdotto deroghe all’ordinaria disciplina in tema di notificazione postale degli avvisi di recupero tributario che, di conseguenza, possono legittimamente essere notificati dall’ufficio anche in via diretta a mezzo del servizio postale.
Così si è espressa la Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 23435 del 27 luglio 2022, che ha confermato un principio sempre più consolidato presso il Giudice di legittimità.
Un contribuente impugnava dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale l’atto “impoesattivo” con il quale erano stati accertati a suo carico maggiori redditi d’impresa.
Il verdetto di prime cure, sfavorevole all’interessato, veniva confermato dal Collegio regionale della Sicilia con sentenza n. 2630/08/2021 del 10 febbraio 2021 veniva ribadita la regolarità della notifica dell’atto impositivo, contestata dal contribuente in quanto effettuata dall’ufficio in via diretta a mezzo del servizio postale.
Ricorrendo in sede di legittimità, la parte privata riproponeva la doglianza relativa all’asserito vizio della notificazione, deducendo violazione e falsa applicazione degli articoli 14 della legge n. 890/1982 e 60 del Dpr n. 600/1973, nonché degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile.
In breve, secondo il ricorrente, la notifica dell’atto tributario doveva ritenersi giuridicamente inesistente perché effettuata da un soggetto non autorizzato dall’ufficio, ovvero tramite un agente postale e non da un messo notificatore speciale.
La Corte Suprema di Cassazione ha respinto il ricorso, affermando la piena legittimità dell’iter notificatorio utilizzato dall’ufficio e precisando che l’articolo 29, comma 1, lettera a), del Dl n. 78/2010 “nulla ha innovato riguardo alla notifica dell’atto impositivo, limitandosi a prevedere, in considerazione della necessità di operare la «concentrazione della riscossione nell’accertamento», che l’avviso di accertamento rechi anche l’intimazione ad adempiere agli obblighi di pagamento contenuti nell’atto c.d. impoesattivo”.
In particolare, si legge nella pronuncia in commento, nessuna modifica è stata apportata all’articolo 14 della legge n. 890/1982 “che continua a prevedere «la notificazione degli avvisi […] che per legge devono essere notificati al contribuente», «a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari», senza alcuna distinzione tra i vari tipi di atti, impositivi o impoesattivi”.
La notificazione – vale a dire il procedimento, le cui forme e modalità sono prestabilite dalla legge, che si sostanzia in una serie di attività finalizzate a determinare la “conoscenza legale” di un atto in capo ad un soggetto specificamente individuato – è prevista da una pluralità di norme con riguardo a tutti gli atti attraverso i quali l’amministrazione finanziaria esplica la potestà impositiva nei confronti del contribuente.
La disposizione generale di riferimento in materia è costituita dall’articolo 60 del Dpr n. 600/1973, il quale al primo comma prevede che la notificazione è eseguita “secondo le norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile…”, con alcune modifiche ivi espressamente disciplinate.
Detto articolo 60 concerne essenzialmente le notificazioni eseguite in via “personale”, vale a dire quelle effettuate tramite un ufficiale notificatore, categoria che in ambito tributario ricomprende anche i messi comunali e i messi speciali autorizzati dell’ufficio finanziario (articolo 60, primo comma, lettera a), del Dpr n. 600/1973), nonché le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata (settimo comma della norma in questione).
In materia tributaria, peraltro, in virtù di quanto previsto dall’articolo 14, primo comma, della legge n. 890/1982, la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente può avvenire anche a mezzo del servizio postale, con l’impiego di plico sigillato, e “può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonché, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria, secondo le modalità previste dalla presente legge”.
Al riguardo, la Corte Suprema di Cassazione ha precisato che l’articolo 14 della legge n. 890 “consente in via generale la notifica diretta degli atti dell’Amm.ne Finanziaria mediante ricorso diretto, cioè senza l’intervento di ufficiali giudiziari o messi notificatori, al servizio postale” (Cassazione, n. 21797/2020) e che la facoltà di utilizzo di tale modalità di notificazione è operativa dal 15 maggio 1998, data di entrata in vigore dell’articolo 20 della legge n. 146/1998, che ha modificato in tali termini il ridetto articolo 14 (Cassazione, nn. 2365/2022, 35640/2021 e 14745/2021).
Tanto precisato, va ricordato che, relativamente agli accertamenti “esecutivi” o “impoesattivi” di cui all’articolo 29 del Dl n. 78/2010, era stata sostenuta la tesi secondo cui gli stessi dovessero essere portati a conoscenza dell’interessato esclusivamente attraverso le modalità di notificazione “personale”, vale a dire attraverso un pubblico ufficiale notificatore quale il messo comunale o il messo speciale autorizzato dell’ufficio.
Intervenendo sulla problematica, peraltro, la Corte Suprema di Cassazione (sentenza n. 16679/2016) aveva smentito questa ricostruzione, riconoscendo invece la possibilità per l’ufficio di procedere anche mediante utilizzo diretto del servizio postale.
Sulla stessa linea interpretativa è successivamente intervenuta Corte Suprema di Cassazione con la sentenza n. 38010/2021, ove si legge in particolare che “non può ritenersi che tale disposizione legislativa (il ridetto articolo 29 del Dl n. 78/2010) abbia un qualsiasi effetto abrogante dell’art. 14, legge 890/1982, che appunto prevede, senza alcuna distinzione tra gli atti ivi indicati, la facoltà degli Enti impositori di procedere alla notificazione a mezzo posta senza intermediazione alcuna, se non appunto quella dell’agente postale”.
L’ordinanza in esame ribadisce, dunque, una regola che appare consolidata sottolineando che anche laddove l’articolo 29 richiamato letteralmente prevede che la notificazione a mezzo posta è consentita per gli atti “successivi” all’avviso di accertamento, tale disposizione non si pone su un piano di incompatibilità logica o di implicita contraddizione con la più generale previsione di cui all’articolo 14 della legge n. 890/1982, ma, piuttosto, “rende evidente l’intento del Legislatore di specificare che anche per queste nuove tipologie di atti, ovvero i c.d. “atti successivi” … è attribuita all’amministrazione fiscale la facoltà di procedere alla loro notificazione mediante l’utilizzo della più snella modalità costituita dall’invio diretto a mezzo raccomandata postale con avviso di ricevimento”.


Sanzioni amministrative tributarie non trasmissibili agli eredi

L’obbligazione al pagamento delle sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie non si trasmette agli eredi. È quanto sancito dall’art. 8 del D. Lgs. n. 472/1997 segnato “Intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi”.
Lo ha rammentato la Corte di cassazione con sentenza n. 25315 del 24 agosto 2022.
Violazione di norme tributarie: intrasmissibilità delle sanzioni
Difatti, diversamente dalle sanzioni civili, che si sostanziano in sanzioni aggiuntive, destinate a risarcire il danno ed a rafforzare l’obbligazione con funzione di deterrente per scoraggiare l’inadempimento, le sanzioni amministrative e quelle tributarie hanno un carattere afflittivo ed una destinazione di carattere generale e non settoriale.
Rientra, quindi, nella discrezionalità del legislatore stabilire, nei limiti della ragionevolezza, quando la violazione debba essere colpita da un tipo di sanzione piuttosto che da un altro.
A questa scelta si ricollega anche il regime applicabile per quanto riguarda la trasmissibilità agli eredi, prevista solo per le sanzioni civili, quale principio generale in materia di obbligazioni, e non per le altre, per le quali opera il diverso principio dell’intrasmissibilità, quale corollario del carattere personale della responsabilità.
La Corte Suprema di Cassazione ha accolto il motivo di doglianza con cui gli eredi di una contribuente avevano lamentano l’error in iudicando in cui era incorsa la CTR nella parte in cui, nella sentenza impugnata, non aveva motivato sull’invocata questione dell’intrasmissibilità delle sanzioni tributarie.
Nella specie, costituiva dato pacifico in causa il fatto che la controversia promossa dalla contribuente in opposizione di una cartella esattoriale era stata proseguita dai figli, quali eredi della medesima.
Alla luce, quindi, di quanto disposto dall’art. 8 del D. Lgs. n. 472/1997, l’obbligazione al pagamento delle sanzioni per violazioni tributarie non spettava loro, non essendosi trasmessa in via di successione.
Ne discendeva, quanto alle sanzioni, l’annullamento della cartella di pagamento impugnata.


Compiuta giacenza: quando la notifica è nulla

Nonostante siano trascorsi 10 giorni senza che l’atto sia stato ritirato, la notifica non si perfeziona se non sono eseguiti gli adempimenti di cui all’art. 140
La compiuta giacenza di un atto giudiziario non consegnato al destinatario per assenza dello stesso o per rifiuto a riceverlo comporta il perfezionamento della relativa notifica una volta che siano decorsi dieci giorni senza che l’atto stesso sia stato ritirato dal soggetto interessato.
È tuttavia necessario che nel procedimento notificatorio non siano state omesse le formalità richieste dall’articolo 140 del codice di procedura civile.
Tale norma, in particolare, prevede che nel caso in cui non sia possibile eseguire la consegna dell’atto da notificare in quanto le persone individuate dal precedente articolo 139 c.p.c. sono irreperibili o incapaci o rifiutino di ritirarla, l’ufficiale giudiziario deve in primo luogo depositare la copia dell’atto nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi.
Egli, poi, deve affiggere un avviso di deposito sulla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario dell’atto. In tale avviso devono necessariamente essere indicati il nome della persona che ha chiesto la notificazione, il nome del destinatario, la natura dell’atto, il giudice che ha pronunciato il provvedimento, la data o il termine di comparizione e la data e la firma dell’ufficiale giudiziario.
L’ultima incombenza alla quale è tenuto l’ufficiale giudiziario è quella di dare notizia del deposito al destinatario mediante raccomandata con avviso di ricevimento.
Nel caso in cui una di tali formalità manchino, la notifica, nonostante la compiuta giacenza, si considera nulla.
Peraltro, l’ufficiale giudiziario che esegue il deposito deve stare particolarmente attento: se esso avviene presso l’ufficio di una frazione del comune, considerato impropriamente come casa comunale, vi è comunque nullità della notifica (Cass. n. 1321/1993).
Sempre in materia di nullità è inoltre interessante sottolineare che la Corte Suprema di cassazione con la sentenza numero 7809/2010 ha sancito che, a seguito della sentenza numero 3/2010 della Corte costituzionale con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 140 c.p.c. laddove prevedeva che la notifica si perfezionasse per il destinatario con la spedizione della raccomandata informativa e non con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione, è oggi necessario che il notificante comprovi tale ulteriore circostanza. In caso contrario la notificazione deve ritenersi nulla.
Ancor più interessante la sentenza numero 24416/2006 della Corte Suprema di Cassazione che si è occupata di un particolare caso di nullità della notifica. In essa si è infatti chiarito che “qualora sussistano i requisiti richiesti dalla legge, ai sensi degli art. 44 c.c. e 31 att. c.c., per opporre il trasferimento di residenza ai terzi di buona fede, ovvero la doppia dichiarazione fatta al comune che si abbandona e a quello di nuova residenza, con consequenziale cancellazione dall’anagrafe del comune di provenienza e iscrizione nell’anagrafe del comune di nuova residenza, aventi la stessa decorrenza, la notifica effettuata ex art. 140 c.p.c., in cui il piego relativo alla raccomandata ed attestante l’avvenuto compimento delle formalità previste dalla legge sia stato restituito al mittente per compiuta giacenza, è nulla, in quanto la notifica ex art. 140 c.p.c. non esclude ma al contrario postula che sia stato esattamente individuato il luogo di residenza, domicilio o dimora del destinatario, e che la copia non sia stata consegnata per mere difficoltà di ordine materiale, quali la momentanea assenza, l’incapacità o il rifiuto delle persone indicate dall’art. 139 c.p.c. di ricevere l’atto”.


Valida la notifica della sentenza all’ente presso la sede secondaria

Processo tributario 
È rituale la notifica effettuata dal contribuente tramite servizio postale all’ufficio comunale che ha emesso l’atto impugnato anche se diverso dal domicilio eletto.
Nel processo tributario, il regime della notifica dell’atto processuale è speciale rispetto a quello del rito ordinario ed è prevista anche la cosiddetta “notificazione diretta” che può essere effettuata con due modalità: la spedizione del plico tramite raccomandata o la consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
In ambito tributario, è rituale la notifica della sentenza di primo grado, effettuata direttamente a mezzo posta, presso un ufficio diverso rispetto al domicilio eletto?
La questione viene rimessa alla Corte di Cassazione Sezioni Unite la quale, con la sentenza dell’11 luglio 2022 n. 21884, risponde affermativamente. Infatti, è valida la notifica della sentenza in  prima istanza effettuata direttamente dal contribuente tramite il servizio postale, all’ente locale non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l’atto oggetto del contenzioso.
La decisione è espressione del principio di effettività della tutela giurisdizionale in virtù del quale occorre ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali; inoltre, si fonda sul carattere impugnatorio del processo tributario che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.
Una società agiva contro il Comune ritenendo illegittimo il silenzio-diniego avverso l’istanza di rimborso del canone sostitutivo dell’imposta sulla pubblicità (versato ex art. 62 d.lgs. 446/1997) per gli anni da 2009 a 2013. In primo grado, la Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso, mentre, in sede di gravame, la Commissione tributaria regionale riformava integralmente la decisione di prime cure considerando legittimo il silenzio-diniego dell’amministrazione comunale. In particolare, per quanto qui rileva, la Commissione tributaria regionale non accoglieva l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla società. Secondo l’appellata, il Comune avrebbe depositato l’appello ben oltre il termine di 60 giorni (termine breve) decorrente dalla notifica della sentenza di primo grado. Detta notifica era avvenuta non presso il domicilio eletto dal Comune, ma presso il servizio di polizia amministrativa, a mani proprie di un soggetto non individuato. Per il giudicante, la notifica era affetta da nullità e inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, pertanto, l’appello del Comune doveva considerarsi tempestivo.
È proprio sul tema della validità (o meno) della notifica effettuata presso un luogo diverso dal domicilio eletto che interviene la Corte di Cassazione nella sua più autorevole composizione.
Il processo tributario è disciplinato dal d.lgs. 546/1992, il cosiddetto Codice del processo tributario.
Per quanto riguarda le notifiche, l’art. 16 c. 2 d. lgs. cit. dispone che:
• le notificazioni sono fatte secondo le norme degli artt. 137 e seguenti del Codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall’ art. 17 d. lgs.
L’art. 16 c. 3 introduce due forme ulteriori di notificazione con modalità diretta che il contribuente può eseguire senza il ministero dell’ufficiale giudiziario o dell’avvocato autorizzato dall’ordine forense:
• direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell’atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell’atto,
• oppure all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
Come si può notare, l’art. 16 c. 2 d. lgs. fa salvo quanto previsto dall’art. 17, la cui disciplina, quindi, prevale su quella prevista dal codice di rito ordinario.
Secondo l’art. 17 c. 1 d. lgs., le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio.
Per completezza espositiva, si ricorda che, anche nel processo tributario, sono state introdotte le notifiche telematiche (art. 16 bis d. lgs.).
Per quanto riguarda i termini per l’impugnazione, l’art. 51 dispone che il termine per impugnare la sentenza della commissione tributaria sia di 60 giorni (“termine breve”), decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall’ art. 38, comma 3.
L’art. 38 c. 3 prevede che, se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l’art. 327 c. 1 del Codice di procedura civile, ossia si applica il “termine lungo” di 6 mesi.
La questione rimessa alla Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite riguarda la notificazione dell’atto processuale e, in particolare, della sentenza di primo grado, effettuata ai sensi degli artt. 16 e 17 del d.lgs. 546/1992. In particolare, ci si domanda:
«se, in tema di notificazioni nel processo tributario, sia rituale, o meno, la consegna della sentenza di primo grado a un ufficio dell’ente locale che non sia ubicato anche nella sua sede principale indicata negli atti difensivi, ma sia comunque riconducibile all’ufficio che ha emanato l’atto impositivo impugnato o (come nella specie) non ha emanato l’atto richiesto».
Nel caso in oggetto:
• la notifica della sentenza di primo grado all’amministrazione comunale è stata effettuata direttamente a mezzo posta,
• non presso il domicilio eletto, ossia la sede dell’ufficio tributi in persona del cui dirigente l’ente si è costituito in giudizio,
• ma presso altro ufficio comunale, già destinatario dell’istanza di rimborso proposta dal contribuente e che non aveva emesso l’atto richiesto.
Secondo il giudice del gravame, la sentenza di primo grado andava notificata presso il domicilio eletto dal Comune. Infatti, l’art. 17 d. lgs. dispone che, solo nel caso di mancanza di elezione di domicilio, la notificazione possa avvenire presso la residenza o sede dichiarata nell’atto di costituzione. Per questa ragione, la notifica è stata considerata nulla – in quanto effettuata in luogo diverso dal domicilio eletto – e inidonea a far decorre il termine breve.
Invece, il ricorrente ritiene che l’art. 17 consenta la notifica tramite consegna a mani proprie, anche in luogo diverso dal domicilio eletto, infatti, la norma fa sempre salva tale modalità.
La Corte Suprema di Cassazione considera fondata la doglianza.
Per risolvere la questione sottoposta al suo scrutinio la Corte Suprema di Cassazione parte dal dettato normativo, ossia dal Codice del processo tributario (d.lgs. 546/1992). In particolare, ricorda che:
• i giudici tributari applicano le norme del processo tributario e per quanto da esse non disposto e con esse compatibili le norme del Codice di procedura civile (art. 1 c. 2 d.lgs. 546/1992),
• alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni sulle impugnazioni del Codice di procedura civile (titolo III, capo I, del libro II), e fatto salvo quanto disposto dal codice del processo tributario (art. 49 d.lgs. 546/1992).
Dal contesto normativo è agevole desumere la specialità del rito tributario. Le disposizioni che prevedono la prevalenza della norma processuale tributaria – ove esistente – su quella del codice di rito ordinario, che si applica solo in via sussidiaria e in quanto compatibile (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 8053/2014 e 14916/2016). Nel caso del ricorso alla Corte Suprema di Cassazione (art. 62 c. 1 d.lgs. 546/1992) è prevista la prevalenza delle norme processuali ordinarie dal momento che non esiste un “giudizio tributario di legittimità”.
Da quanto sopra emerge un regime differenziato tra:
• processo che si svolge dinnanzi alle commissioni tributarie,
• e giudizio civile di legittimità.
Tale differenza incide anche sull’individuazione della disciplina da applicare in caso di notificazione.
Come già ricordato, l’art. 16 c. 2 d. lgs. deroga alle regole disposte dal Codice di procedura civile, facendo salva la disciplina dell’art. 17 d.lgs.
Dal tenore letterale dell’art. 17 d. lgs. emerge che, nel processo tributario, rispetto alla notifica della sentenza di primo grado da eseguire presso il domicilio eletto dalla parte, o, in mancanza di elezione di domicilio, nella residenza o sede dichiarata dalla parte stessa, prevale la facoltà alternativa di eseguire la notifica con consegna in mani proprie quale modalità idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione (ex art. 38 d.lgs.).
Infatti, come sopra ricordato, la Corte Suprema di Cassazione Sezioni Unite ha già avuto modo di sottolineare la specialità del rito tributario rispetto a quello ordinario (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 14916/2016). La disciplina delle notificazioni si estende «con carattere di specialità e, quindi, di prevalenza» alla fase di impugnazione. Tale circostanza emerge anche dalla lettura dell’art. 38 c. 2 d. lgs. che è stato modificato nel 2010 (ex d.l. 40/2010) ed ha operato un espresso richiamo alla disciplina delle notificazioni previste dall’art. 16 d. lgs. cit. Pertanto, la notifica può avvenire:
• seguendo le regole dettate dall’art. 137 c.p.c. e seguenti
• ma anche tramite la notificazione cosiddetta “diretta” (ex art. 16 c. 3 d. lgs.).
Dalla notifica così effettuata decorre il termine di 60 giorni per proporre appello (termine breve) in difetto trova applicazione quanto disposto dall’art. 327 c.p.c. (termine lungo).
Le forme di notificazione diretta: diverse e alternative tra loro
Il regime di notificazione nel processo tributario è speciale rispetto a quello previsto dal codice di rito ordinario e ciò emerge:
• dal già citato art. 16 d. lgs. cit. che rinvia all’art. 17 come eccezione rispetto alla disciplina dettata dall’art. 137 e ss. c.p.c.,
• dalla previsione di una notificazione diretta (art. 16 c. 3 d. lgs. cit.) che può avvenire a) tramite raccomandata ordinaria senza intermediazione dell’ufficiale giudiziario e non in base alle regole della legge 890/1982, e b) tramite consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia.
Le forme di notificazione diretta sono diverse e alternative tra loro (Corte Suprema di Cassazione SS.UU. 13452/2017 e 13453/2017; Corte Suprema di Cassazione 299/2020), infatti:
• nella prima (sub a) l’atto in plico è spedito per posta e la prova della ricezione è data dall’avviso di ricevimento;
• nella seconda (sub b) l’atto è consegnato all’impiegato addetto e la prova della consegna è data dalla “ricevuta sulla copia” rilasciata dal ricevente.
Per quanto riguarda, la notifica a mezzo posta nel processo tributario può avvenire:
• secondo le regole dettate dall’art. 149 c.p.c., nel rispetto della legge 890/1982, stante il richiamo operato dall’art. 16 d. lgs. cit all’art. 137 e ss. c.p.c.,
• oppure tramite la notifica diretta del plico raccomandato (art. 16 c. 3 d. lgs.).
La notifica diretta tramite servizio postale universale è caratterizzata da «modalità semplificate che, data anche la spiccata specificità del processo tributario non violano gli artt. 3 e 24 Cost.» (Corte Suprema di Cassazione SS. UU. 13452/2017 e 13453/2017).
Il principio di effettività della tutela giurisdizionale
Un solo precedente della Corte Suprema di Cassazione(1) ha considerato rituale la notificazione dell’atto processuale effettuata presso un ufficio periferico e non presso la sede principale (Corte Suprema di Cassazione 20851/2010). La giurisprudenza(2) considera valida la notifica effettuata presso un ufficio dell’Agenzia delle entrate non territorialmente competente in quanto diverso da quello che ha emesso l’atto impositivo. A tale conclusione si è giunti considerando il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate. «Al tempo stesso, si è dato risalto ai principi di collaborazione e buona fede, in forza dei quali, alla luce del principio di buon andamento (art. 97 Cost.), deve essere improntata l’azione dell’amministrazione pubblica, per cui l’atto del privato che venga indirizzato all’organo esattamente individuato, benché privo di competenza per esigenze organizzative specifiche ad esso, produce gli effetti che la legge gli riconnette, essendo onere dell’ufficio curarne la trasmissione a quello competente». Oltre a ciò, viene in rilievo il principio della tutela dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica che, in ambito tributario, è codificato dall’art. 10 dello statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000). Il citato orientamento giurisprudenziale ha fatto leva sul principio di effettività della tutela giurisdizionale in virtù del quale occorre ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dei rimedi giurisdizionali; inoltre, si fonda sul carattere impugnatorio del processo tributario che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato.
La Corte Suprema di Cassazione mette in evidenza i diversi principi che vengono in rilievo al fine di risolvere la questione sottoposta al suo esame:
• il principio di affidamento del cittadino nel buon andamento della funzione pubblica,
• il carattere impugnatorio del processo tributario,
• la specialità del rito in tema di notificazioni degli atti del processo tributario e, in particolare, della sentenza emessa nel giudizio di merito,
• e il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, “nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito” (Corte Suprema di Cassazione SS.UU. 13453/2017).
In particolare, quest’ultimo principio impone all’interprete di evitare un eccessivo formalismo e trova il proprio punto fermo:
• nelle garanzie costituzionali (artt. 24 e 111 Cost.),
• nelle norme sovranazionali (art. 24 Carta di Nizza, art. 19 TUE, art. 6 CEDU).
I principi di cui sopra hanno trovato espressione nell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la notifica della decisione ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso può essere effettuata all’Agenzia delle Entrate presso la sede centrale o presso un ufficio periferico. Infatti, è stata attribuita agli uffici periferici la stessa capacità di stare in giudizio già attribuita agli uffici che hanno emesso l’atto impugnato (Corte Suprema di Cassazione 1954/2020; Corte Suprema di Cassazione 27976/2020).
In relazione alla posizione dell’ente impositore occorre valorizzare quanto disposto dall’art. 11 c. 3 d. lgs. cit., infatti, «anche nel caso dell’ente locale la legge sul processo tributario viene a configurare una legittimazione passiva concorrente,
• sia in capo al legale rappresentante dell’ente stesso (per cui, nel caso del comune, essa farà capo, di norma, al sindaco, salvo diverse previsioni statutarie),
• sia in capo al dirigente ufficio tributi».
La Corte Suprema di Cassazione considera fondato il primo motivo di ricorso, in quanto la notifica effettuata dal contribuente è valida e l’appello del Comune risulta inammissibile perché proposto oltre il termine breve per formulare l’appello. La sentenza della Commissione tributaria regionale viene cassata senza rinvio e le spese compensate tra le parti in ragione della peculiarità della fattispecie oggetto di cognizione.
Infine, viene enunciano il seguente principio di diritto:
• «La notifica, effettuata dal contribuente direttamente tramite il servizio postale, ai sensi dell’art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, della sentenza di primo grado all’ente locale non presso la sede principale indicata negli atti difensivi, ma presso altro ufficio comunale diversamente ubicato, che abbia emesso (o non abbia adottato) l’atto oggetto del contenzioso, è valida e, quindi, idonea, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38, comma 2, e 51, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 546 del 1992, a far decorrere il termine di sessanta giorni per impugnare».
NOTE
[1] La Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite evidenzia come, relativamente alla notifica della sentenza di primo grado effettuata presso l’ufficio periferico dell’ente comunale impositore si rinvenga un solo precedente (Cass. 20851/2010). Tale decisione ha ammesso la validità della notifica indirizzata all’amministrazione in una sede diversa da quella legale, nondimeno, non risolve il problema della validità della consegna a mani anche se non disposta al legale rappresentante dell’ente locale. Altre decisioni hanno dichiarato la nullità della notifica per violazione dell’art. 17 d. lgs. 546/1992 (Cass. 4222/2015; Cass. 4616/2018; Cass. 10776/2018; Cass. 27400/2020).
[2] Cass., 15 dicembre 2004, n. 23349; Cass., 26 gennaio 2008, n. 1925; Cass., 17 dicembre 2008, n. 29465; Cass., 3 luglio 2009, n. 15718; Cass., 30 dicembre 2011, n. 30753; Cass., 21 gennaio 2015, n. 1113; Cass., 11 marzo 2015, n. 4862; Cass., 24 settembre 2015, n. 18936; Cass., 23 ottobre 2015, n. 21593.


L’indirizzo P.E.C. non è valido, cartelle annullate: il pasticcio dell’Agenzia delle entrate

Gli atti che l’Agenzia delle entrate trasmette ai soggetti fiscali mediante posta elettronica certificata (pec) possono essere nulli se inviati da un indirizzo che non appare negli elenchi pubblici. I giudici tributari sono divisi in due, alcune volte danno ragione al contribuente, altre volte all’autorità.
Non è cosa nuova, se ne parla da diversi anni ma il tema ritorna occasionalmente agli onori delle cronache anche perché, con il passare del tempo, non si crea uniformità nel diritto.
La Legge 53/1994, all’articolo 3 bis, sancisce che le notifiche telematiche possono essere fatte soltanto da un indirizzo di posta elettronica certificato che compare negli elenchi pubblici. Nonostante ciò, le Commissioni tributarie italiane ricevono ricorsi basati proprio sulla non idoneità degli indirizzi pec mediante i quali le cartelle sono state inviate.
Il vizio di notifica ha indotto la Commissione tributaria di primo grado competente ad annullare il debito nei confronti dell’erario di un imprenditore assisano, 71 cartelle per un valore di 1,4 milioni di euro. Se gli atti provengono da un indirizzo pec diverso da quello ufficiale presente nei registri pubblici, è come se non fossero mai stati notificati.
I registri pubblici che fanno stato: Ipa, Reginde e Inpec. Un caso per spiegare meglio: lo scorso mese di luglio 2022 la Commissione tributaria di Napoli ha annullato una cartella esattoriale inviata al contribuente dall’indirizzo pec: notifica.acc.campania@pec.agenziariscossione.gov.it, diverso da quello presente nei registri, ossia: protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it.
I legali dei contribuenti, in fase di contestazione delle cartelle, fanno ricorso alla già citata legge 53/1994 e alle numerose sentenze che, di fatto, si limitano a ribadire il contenuto della legge medesima.
L’Agenzia delle entrate replica rispolverando l’articolo 26 del decreto del presidente della Repubblica 602/1973 (modificato nel 2017) nel quale viene specificato che è l’indirizzo pec del destinatario, quello che deve essere presente negli elenchi pubblici. Un ribaltamento di 360° accolto da diverse Commissioni tributarie che escludono la nullità degli atti.
Le Commissioni tributarie che danno ragione all’Agenzia delle entrate ignorano però la sentenza 17346/2019, mediante la quale, la Cassazione conferma la necessità che anche l’indirizzo pec del mittente debba essere inserito negli elenchi pubblici, in caso contrario la notifica al contribuente è viziata ed insanabile.
Manca quindi quell’uniformità che spinge la parte soccombente ad adire le Commissioni tributarie di grado superiore, causando perdite di tempo e costi che si potrebbero risparmiare, oltre alle perdite per l’erario.


Sì al secondo lavoro ma non per gli statali.

Orario programmato o il dipendente potrà rifiutarsi di lavorare
l datore di lavoro non potrà impedire ai propri dipendenti di svolgere un’altra attività al di fuori dell’orario di lavoro. Ma attenzione, questa norma non si applicherà ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per i quali resterà valido quanto previsto dall’articolo 53 del decreto legislativo 165 del 2001 in materia di incompatibilità e cumulo di incarichi.
E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo 104 del 2022, che attua la Direttiva europea relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione. Un provvedimento denso di novità per i lavoratori sia pubblici che privati. Il decreto entrerà in vigore dal 13 agosto 2022, e le novità che introduce non sono affatto poche.
Lo scopo della direttiva recepita attraverso il decreto legislativo del governo è quello di migliorare le condizioni di lavoro promuovendo un’occupazione più trasparente e soprattutto “prevedibile”. I lavoratori devono essere messi nelle condizioni di avere pieno accesso alle informazioni che riguardano il loro rapporto di lavoro. Dunque, il datore dovrà innanzitutto comunicare al dipendente, in modo chiaro e completo, una serie di informazioni che riguardano il rapporto di lavoro. Si tratta per molti versi di informazioni standard: l’inquadramento, la qualifica, la data di inizio del rapporto di lavoro, il periodo di prova, la durata delle ferie, i congedi retribuiti ai quali si ha diritto, la retribuzione, le modalità di pagamento. Ma ci sono alcune novità contenute nel decreto legislativo che attuano la direttiva europea, che non sono di poco conto. Come la “programmazione” dell’orario di lavoro.
Dunque, fra le informazioni “essenziali” da dare al dipendente, c’è quella della “programmazione dell’orario ordinario di lavoro”. Il provvedimento prevede che debba essere comunicata al lavoratore la programmazione dell’orario normale di lavoro e le eventuali condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, nonché le eventuali condizioni per i cambiamenti di turno, se il contratto di lavoro prevede un’organizzazione dell’orario di lavoro in tutto o in gran parte prevedibile. Se non è possibile prevedere un orario di lavoro programmato, il lavoratore dovrà essere informato sulla “variabilità” della programmazione del lavoro, sul periodo minimo di preavviso e sulle ore e i giorni di riferimento. Senza queste comunicazioni il dipendente può anche rifiutarsi di svolgere le proprie mansioni “senza subire pregiudizio”. Ed ancora. Il lavoratore dovrà poter pianificare la propria attività. Se gli viene affidato un incarico che poi viene revocato o non più richiesto, il datore dovrà dare un preavviso “congruo” della revoca. Senza un periodo “ragionevole” di preavviso, il dipendente avrà diritto a una somma a titolo di compensazione non inferiore al 50 per cento della cifra convenuta per la prestazione annullata. Inoltre, i lavoratori con anzianità di servizio di sei mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente e che abbia completato l’eventuale periodo di prova, può chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile. Ma anche per questa disposizione c’è una esclusione espressa per i dipendenti pubblici.
I dipendenti, come detto, potranno avere anche un secondo lavoro al di fuori dell’orario lavorativo alle dipendenze del proprio datore. Quest’ultimo non potrà vietarlo, a meno che questo secondo lavoro non comporti rischi per la salute e la sicurezza del dipendente o nel caso vi sia un conflitto di interessi tra le due attività.
La norma spiega poi che, per i dipendenti pubblici, resta in vigore quanto previsto dall’articolo 53 del decreto legislativo 165 del 2001. Il comma sette dell’articolo 53 del decreto 165 prevede che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

Ai fini dell’autorizzazione, l’amministrazione deve verificare l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi.


BUON FERRAGOSTO !!!


La presenza della Cad agli atti legittima la notifica

La comunicazione di avvenuto deposito portata in giudizio dall’Agenzia, anche se firmata dal postino, prova il fatto che la raccomandata è effettivamente giunta al recapito del destinatario

Non è ravvisabile alcun vizio del procedimento notificatorio, quando, agli atti, c’è anche l’avviso di ricevimento della comunicazione di avvenuto deposito, individuata con l’esatto numero indicato nella prima raccomandata. Tale avviso, firmato dall’agente postale, attesta sia la persistente assenza del destinatario, sia l’avvenuta immissione in cassetta della raccomandata di avviso del deposito. Lo ha affermato la Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 19333 del 15 giugno 2022.
La controversia ha origine dell’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini Irpef e addizionali, Irap e Iva, e della comunicazione di rigetto dell’istanza di accertamento con adesione, presentata oltre il termine di 60 giorni dalla notifica dell’atto (articolo 6, comma 2, Dlgs n. 218/1997). Il contribuente, esercente attività di elaborazione di dati contabili, è stato inserito nel piano annuale dei controlli avendo dichiarato, per il periodo d’imposta 2007, componenti negativi di reddito, rientranti nella categoria “altre spese documentate” (RE19, quadro RE. Unico PF) di ammontare rilevante rispetto ai ricavi. L’ufficio, al fine di riscontrare la veridicità dei predetti componenti negativi, nonché il rispetto dei principi di inerenza degli stessi, ha notificato al professionista un invito al contraddittorio chiedendo giustificazione delle spese residuali e ha riconosciuto, sulla base della documentazione prodotta, l’importo totale dei costi ammessi in deduzione per € 100.204, in quanto spese documentate e afferenti all’attività esercitata. Ha, invece, recuperato a tassazione i costi non inerenti e non documentati pari a circa € 208.608.
La Commissione tributaria provinciale, accogliendo le eccezioni preliminari dell’ufficio, ha dichiarato inammissibili entrambi i ricorsi (il primo, per intempestività perché proposto oltre il termine di 60 giorni dalla notifica – ex articolo 21, Dlgs n. 546/1992 – l’altro per inammissibilità, poiché la comunicazione di rigetto dell’istanza di adesione non è inclusa nell’elenco degli atti impugnabili previsti dall’articolo 19, dello stesso Dlgs). Anche in secondo grado il contribuente è risultato soccombente. La Ctr, infatti, ha respinto l’appello, ritenendo validamente notificato l’avviso di accertamento poiché:
• l’atto era stato spedito il 3 dicembre 2012 dall’ufficio postale, con tentativo di recapito il successivo 5 dicembre 2012 da parte dell’addetto
• l’agente postale, vista la temporanea assenza del destinatario, aveva immesso il relativo avviso nella cassetta della corrispondenza dello stabile trascorsi (almeno) 10 giorni dal tentativo di recapito, il 17 dicembre, il plico postale contenente l’avviso, non essendo stato ritirato dal destinatario, veniva rispedito all’indirizzo dell’ufficio mittente.
Il professionista ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra l’altro, la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione di legge:
• poiché la Ctr aveva ritenuto validamente notificato l’atto impositivo, sebbene l’avviso di ricevimento relativo alla notifica di tale atto non contenesse le indicazioni prescritte ex lege e, in particolare, dei motivi che giustificavano il ricorso alle forme previste dall’articolo 140 cpc (articoli 21, Dlgs n. 546/1992; 60, Dpr n. 600/1973 e. 139, 140 e 148 cpc), inoltre – sebbene l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa (Cad), non prodotta in giudizio, non contenesse le indicazioni previste ex lege (articolo 8, legge n. 890/1982).
La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondato il motivo, e ha affermato che la sentenza impugnata, “confermando sul punto l’accertamento compiuto nella sentenza di primo grado, ha ripercorso l’iter del procedimento notificatorio dell’avviso di accertamento riportando puntualmente i passaggi ritenuti essenziali ai fini della sua validità” (Corte Suprema di Cassazione, n. 19333/2022).
I giudici della Corte Suprema di Cassazione sono stati chiamati a valutare la conformità al dettato legislativo sia del procedimento notificatorio effettuato mediante servizio postale (ex articolo 14, legge n. 890/1982) sia degli adempimenti posti in essere dall’addetto postale in caso di assenza temporanea del destinatario dell’atto.
Con riferimento alla “notifica postale” degli atti tributari, la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che l’articolo 20 della legge n. 146/1998, modificando l’articolo 14 della legge n. 890/1982, ha previsto che la notificazione degli avvisi e degli atti, che per legge devono essere notificati al contribuente, può eseguirsi a mezzo posta direttamente dagli uffici finanziari.
A decorrere dal 15 maggio 1998 (data di entrata in vigore della legge n. 146), pertanto, è stata concessa agli uffici finanziari la facoltà di provvedere direttamente alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale, fermo rimanendo, “ove ciò risulti impossibile”, che la notifica possa essere effettuata a cura degli ufficiali giudiziali, dei messi comunali o dei messi speciali autorizzati dall’amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dalla stessa legge n. 890/1982 (Corte Suprema di Cassazione, n. 2365/2022). Gli uffici finanziari notificanti, cioè, ferma restando l’intermediazione dell’ufficio postale, possono procedere con modalità di notificazione semplificata, applicando le norme sul servizio postale ordinario. In particolare, la disciplina della notifica postale, non prevedendo la redazione della relata di notifica o l’annotazione specifica sull’avviso di ricevimento in ordine alla persona consegnataria, consente di ritenere che plico e atto, pervenuti all’indirizzo del destinatario, devono ritenersi a lui ritualmente consegnati, stante la presunzione di conoscenza (ex articolo 1335 cc), superabile solo se il destinatario dia prova di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di prenderne cognizione (Corte Suprema di Cassazione, nn. 8293/2018 e 10131/2020).
Nel caso in esame, il contribuente ha riferito, che l’addetto al recapito della raccomandata:
a) ha sbarrato le caselle dell’avviso di ricevimento in cui si dava atto della “temporanea assenza del destinatario” e dell’”immesso avviso cassetta corrisp. dello stabile in indirizzo”
b) ha annotato di aver spedito la comunicazione di avvenuto deposito, la Cad.
Al riguardo, la Cassazione ha affermato che «La notifica risulta… conforme al disposto del D.P.R. n. 890 del 1982, art. 14, non occorrendo alcuna delle indicazioni previste dagli artt. 139 e 140 c.p.c.”.
Con riferimento agli adempimenti richiesti nella notifica “postale diretta”, in caso di temporanea assenza del destinatario, la Corte Suprema di Cassazione ha precisato che, per considerare perfezionata la notificazione, è necessario verificare in concreto l’avvenuta ricezione della Cad e, a tal fine, l’ufficio notificante è processualmente onerato della produzione del relativo avviso di ricevimento (Corte Suprema di Cassazione, sezioni unite, n. 10012/2021).
Nell’ipotesi di ulteriore assenza del destinatario in occasione del recapito della relativa raccomandata, non seguita dal ritiro del piego entro il termine di giacenza, il controllo sulla legittimità del procedimento notificatorio deve riguardare l’attestazione dell’agente postale in ordine all’avvenuta immissione dell’avviso di deposito nella cassetta postale o alla sua affissione alla porta dell’abitazione.
Ciò in quanto, nella fattispecie prevista dall’articolo 8 della legge n. 890/1982 (e dell’articolo 140 c.p.c.), non si realizza alcuna consegna, ma solo il deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale (ovvero, nella notifica codicistica, presso la Casa comunale). Ed è per tale ragione, che la legge, con maggiore rigore, prevede che di questo adempimento venga data comunicazione dall’agente notificatore al destinatario, del tutto ignaro della notifica secondo le due distinte e concorrenti modalità: l’affissione dell’avviso di deposito nel luogo della notifica (immissione in cassetta postale) e la spedizione di una lettera raccomandata con avviso di ricevimento (Corte Suprema di Cassazione, sezioni unite, n. 10012/2021). Solo qualora tali formalità siano attuate entro il termine di giacenza, la notifica si perfeziona trascorso il decimo giorno dalla spedizione della raccomandata stessa.
Resta salva, comunque, la possibilità per il destinatario contestare, adducendo le relative ragioni di fatto e proponendo querela di falso, se, nonostante quanto risultante dalla Cad, in concreto, non si siano realizzati i presupposti di conoscibilità richiesti dalla legge oppure egli si sia trovato, senza sua colpa, nell’impossibilità di prendere cognizione del piego.
Nel caso esaminato, la Corte Suprema di Cassazione ha concluso che la prova della notifica ben poteva ritenersi raggiunta attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento, effettuata dall’Agenzia delle entrate come confermato dal contribuente nello stesso ricorso, non occorrendo, diversamente da quanto sostenuto dal professionista, la produzione della stessa comunicazione a riprova del suo contenuto.
La produzione dell’avviso di ricevimento della Cad, sia esso sottoscritto dal destinatario o da persone abilitate, sia esso annotato dall’agente postale in ordine all’assenza di persone atte a riceverlo, infatti, assolve alla funzione di fornire prova, non già della consegna, ma del fatto che la raccomandata sia effettivamente giunta al recapito del destinatario.


Regolamento recante piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione

La trasformazione digitale dello Stato compie un nuovo passo avanti con la firma del decreto per la notifica degli atti della Pubblica Amministrazione da parte dei Ministri dell’Economia Daniele Franco e dell’Innovazione tecnologica Vittorio Colao.

Regolamento recante piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 giugno 2022, n. 130.

Notifica digitale: tutti i vantaggi
La notifica digitale renderà meno costose e più semplici le comunicazioni di atti e avvisi con valore legale tra amministrazione e cittadini con un vantaggio economico per tutti.
Tramite questa piattaforma, che sarà gestita da PagoPa, sarà possibile notificare atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni tramite PEC, rendendoli disponibili telematicamente su un apposito portale
Dei due euro 1 euro è per chi spedisce la cartella e 1 euro invece è per chi gestirà la piattaforma. L’extra aggiuntivo di 1,40 euro invece è previsto solo se l’invio deve essere effettuato in modalità cartacea a quei soggetti meno tecnologici che non hanno la PEC.
Gli importi tengono conto di tutta una serie di fattori, come i costi che i mittenti sostengono per l’elaborazione degli atti e dei provvedimenti, per il deposito, per PagoPa che si occuperà della gestione della piattaforma e poi naturalmente anche per quelli che sostiene il soggetto che fornisce il servizio di consegna cartacea della copia.
Il percorso di trasformazione digitale della PA è iniziato nel 2019, con l’approvazione della Legge n. 160/2019, che all’art. 1 si poneva l’obiettivo di:
«rendere più semplice, efficiente, sicura ed economica la notificazione con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni della pubblica amministrazione, con risparmio per la spesa pubblica e minori oneri per i cittadini».
L’introduzione di una piattaforma per la notifica digitale di atti e avvisi di accertamento tributari, era stata prevista poi dal comma 402 della Legge di Bilancio 2020, dall’art. 26 del decreto-legge n. 76/2020 e dettagliata dall’articolo 26 del decreto Semplificazioni.
Nelle fasi iniziali del percorso, il Garante ha rilevato diversi elementi di rischio per i diritti e le libertà degli interessati dal momento che le informazioni oggetto di trattamento hanno un carattere strettamente personale e producono effetti giuridici sugli interessati. Il Ministero ha tuttavia recepito le modifiche suggerite in modo da rispettare il principio di limitazione della finalità del trattamento.
Notifica digitale: come funziona la piattaforma?
In attesa della versione definitiva del decreto e in base alle informazioni attualmente disponibili, la notifica digitale prevede questi passaggi:
     • adesione dell’amministrazione al servizio con l’elezione di un funzionario incaricato
     • accesso alla piattaforma da parte del funzionario tramite SPID o CIE
     • caricamento del documento da notificare sulla piattaforma, con l’inserimento del codice fiscale e del domicilio del cittadino
     • il sistema prenderà in carico la richiesta generando il codice identificativo dell’operazione e lo consegnerà al destinatario (con marcatura temporale)
   • anche per il cittadino le modalità di accesso sono tramite SPID o CIE (per aziende e persone giuridiche verranno utilizzati SPID o CIE dei rispettivi legali rappresentanti); una volta entrati nella piattaforma essi potranno eleggere uno o più “domicili digitali”, consultare i documenti messi a disposizione dalle varie amministrazioni ed eventualmente scaricarne una copia o inviarla.
Generalmente la notifica avverrà tramite PEC presso il domicilio digitale scelto dal destinatario nella piattaforma. Nel caso in cui invece il cittadino non avesse una casella di posta elettronica certificata (pec) o un servizio elettronico di recapito certificato, l’amministrazione dovrà inviare la tradizionale notifica cartacea.
Notifica digitale: i costi per la PA e per il cittadino
Dalla bozza del decreto attuativo si legge che l’importo della notifica attraverso la piattaforma digitale sarà di 2,00 euro, di cui un euro andrà a favore di chi spedisce la cartella o l’atto e un euro al gestore della piattaforma (PagoPa).
Se il cittadino non ha ancora la pec è previsto un costo aggiuntivo di 1,40 euro.
Con riferimento agli avvisi, alle cartelle e alle intimazioni di pagamento che provengono dall’amministrazione finanziari e dall’agente della riscossione, il decreto prevede infatti la ripetibilità delle spese. In particolare sono a carico del destinatario:
     • le somme spettanti al gestore della piattaforma che offre il servizio di notifica;
     • le somme spettanti a chi fornisce il servizio universale se la notifica della copia avviene in forma cartacea;
     • le spese degli avvisi cartacei.
Per quanto riguarda gli atti finanziari, non sono ripetibili i costi sostenuti dall’amministrazione finanziaria e dall’agente della riscossione.

Ulteriori considerazioni

Innanzi tutto, occorrerebbe distinguere tra adesione ed utilizzo della piattaforma.
In specie si ritiene che lo strumento, tale è, sia a disposizione di tutte le amministrazioni che hanno necessità di notificare i propri atti, con le esclusioni previste ed individuate dalla legge, sia quelle individuate dal DL 76/2020 che nel Regolamento entrato in vigore 21.06.2022.
La domanda circa il fatto che ”l’adesione a questa piattaforma è da ritenersi obbligatoria oppure alternativa alle modalità previste da altre norme di legge? Nell’Ufficio Legale ci sono pareri discordanti”, lascia alquanto perplessi perché sia il verbo utilizzato “possono” che la lettura del comma 3 dell’art. 26 del DL 76/2020 siano estremamente chiari, prevedendo la facoltà, tanto che, diventa difficile comprendere perché viene posto un quesito di tale natura.
Ma, andando oltre, addirittura troviamo nel Dossier Parlamentare 21 luglio 2020 “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale” esplicitamente la seguente nota:
“Le amministrazioni pubbliche – nell’accezione così definita – hanno facoltà – non già obbligo – di rendere disponibili sulla piattaforma i documenti informatici ai fini della notificazione di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni (anche in materia tributaria) – ed anche per atti per i quali non viga un obbligo di notificazione al destinatario. Così prevede il comma 3. Resta dunque ferma – può aggiungersi – la possibilità, per le amministrazioni, di effettuare la notificazione con le modalità previste dagli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile o secondo le modalità previste dalle leggi speciali.“ (pag. 278 e 279 del citato Dossier parlamentare)
Altri sono i meccanismi che indurranno gli enti ad usufruirne, fra cui si cita quello individuato dal comma 10, con cui la messa a disposizione del documento da notificare impedisce qualsiasi decadenza dell’amministrazione e interrompe il termine di prescrizione correlato alla notificazione: si pone qui una deroga al regime ordinariamente recettizio dell’atto interruttivo della prescrizione. E qui qualche disputa la vedremo, perché finora la Corte Costituzionale e la Corte Suprema di Cassazione hanno sempre sancito in modo che diverse leggi non causassero profonde differenze circa le possibilità di difesa del cittadino ed ora si introduce una norma che addirittura interrompe la decadenza degli atti destinati a notificazione.
Poi ci sono tutti gli altri problemi relativi al fatto che, in modalità telematica la platea dei destinatari oggi disponibile sia ristretta a coloro che, già ora per legge, debbono avere un indirizzo di posta elettronica certificata, mentre per gli altri cittadini nelle more della adozione del domicilio digitale dei cittadini, legato all’A.N.P.R., si passerebbe alla notificazione di un avviso a mezzo posta, ai sensi della Legge 890/1982 con cui si indica che esiste un documento messo a disposizione nella piattaforma. Quindi a maggiori costi per il cittadino, ovvero la somma di quello che sarà il costo dell’utilizzo della piattaforma e quello della notificazione a mezzo posta dell’avviso di avvenuta messa a disposizione del documento.
A pensar male … sarà che Poste Italiane SpA è di proprietà per il 35% di Cassa Depositi e Prestiti e per il 29,26 % del Ministero dell’Economia e delle Finanze e per il 23,51% di “Investitori Istituzionali” che si è trovata la quadratura per passare da un sistema, invero obsoleto, in cui le notificazioni sono davvero un costo ad un nuovo modello per cui le notificazioni diverranno un business per lo Stato.

Vai: Corso on line di approfondimento della nuova piattaforma notifiche digitali degli atti pubblici (PND)

Leggi: Decreto ministeriale 08/02/2022, n. 58
Regolamento recante piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione.
Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 giugno 2022, n. 130.

Leggi: Manuale Operativo PND

Leggi: Misure urgenti per la semplificazioni-Dossier parlamentare 21 07 2020

 

 


Rinnovo CCNL Funzioni Locali 2019-2021

Come previsto nei precedenti incontri, è proseguito il 20 u.s. il negoziato per il rinnovo del CCNL relativo al triennio 2019-2021.
La proposta presentata dall’Aran risulta ancora carente di una chiara indicazione sulle nuove declaratorie di area, tale da definire l’intero impianto ordinamentale in tempi rapidi. L’impegno assunto da parte dell’Aran in tal senso prevede un prossimo incontro in data 27 luglio.
Nell’incontro appena svolto l’Aran ha presentato, tra l’altro, le tabelle con i valori economici relativi agli aumenti tabellari previsti, comprensivi del conglobamento dell’elemento perequativo.
L’aumento medio previsto è del 4,51% che, unitamente all’aumento del fondo del salario accessorio, portano le risorse disponibili per il rinnovo al 5,22%.

Oggetto di discussione è stata anche la disciplina delle progressioni economiche e il calcolo dei nuovi differenziali economici. Tali risorse devono essere rese effettivamente disponibili per consentire il finanziamento degli strumenti di valorizzazione professionale ed economica del personale, all’esito della definizione del nuovo impianto ordinamentale.


Prosegue il negoziato per il rinnovo del CCNL Funzioni Locali 2019-2021

Nell’incontro del 5 luglio sono stati approfonditi alcuni temi relativi ai profili dell’area socio-sanitaria, della vigilanza e dei servizi scolastico-educativi, con lo scopo di valorizzare particolari figure professionali e definirne il corretto inquadramento o attribuendo alle stesse adeguate indennità, riconoscendo lo sviluppo di alcune professionalità.
Altri incontri sono programmati per la prossima settimana.
È nostro auspicio che, nel prosieguo della trattativa, nella revisione del sistema di classificazione sia tenuto nella dovuta considerazione il particolare ruolo svolto dal messo comunale\notificatore, anche in relazione all’importante innovazione normativa introdotta con la “piattaforma per la notificazione degli atti della pubblica amministrazione”.


Nullità della notifica del ricorso introduttivo: è sempre ammessa la rinnovazione

Dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 148 del 9 luglio 2021, che ha dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 44, comma 4, del Codice del processo amministrativo, in caso di nullità della notifica il giudice deve sempre ordinare la sua rinnovazione e perciò, senza giudicare sulla scusabilità dell’errore, assegnare alla parte ricorrente un nuovo termine che, ove rispettato, consente la sanatoria in via retroattiva del relativo vizio processuale. Il patrocinio in giudizio delle università pubbliche da parte dell’Avvocatura di Stato, anche dopo la legge 9 maggio 1989, n. 168, è comunque un patrocinio ex lege, “organico ed esclusivo”, originando il rapporto tra Avvocatura e l’ateneo assistito direttamente dalla legge ordinaria. Per le amministrazioni universitarie il regime processuale delle notifiche diverge da quello previsto per le amministrazioni statali e perciò non opera la regola di cui all’art. 11 R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611. Questo afferma Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza 4 aprile 2022, n. 2442.
La sentenza tratta del regime dei vizi della notifica degli atti introduttivi del processo amministrativo e il caso riguarda l’impugnazione degli esiti di una procedura di individuazione del contraente, di cui al D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), disposta da un’università pubblica.
L’aggiudicazione del contratto di appalto era stata impugnata una prima volta e il Tar Lombardia aveva pronunciato l’annullamento dell’aggiudicazione per vizi inerenti il giudizio di congruità sull’offerta. Rinnovato il procedimento di verifica, l’università – stazione appaltante confermava l’aggiudicazione ma tale aggiudicazione veniva nuovamente impugnata e il ricorso veniva notificato presso la sede dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, ma non presso la sede dell’ateneo.
La questione si affronta partendo necessariamente dalla qualificazione dell’ente intimato per poi passare al regime del vizio processuale.
Secondo un orientamento consolidato, alle università statali, dopo la riforma della L. 9 maggio 1989, n. 168 sull’autonomia universitaria, non compete più la qualità di organi dello Stato, bensì quella di enti pubblici autonomi; ne consegue che, ai fini della rappresentanza e difesa ex lege da parte dell’Avvocatura dello Stato, non opera il patrocinio obbligatorio degli artt. da 1 a 11 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, bensì, in virtù dell’art. 56 r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, non abrogato dalla citata legge n. 168/1989, il patrocinio c.d. autorizzato (o facoltativo) degli art. 43 (come modificato dall’art. 11 della L. 3 aprile 1979 n. 103) e 45 del r.d. n. 1611/1933, con i limitati effetti di una tale forma di assistenza legale, e segnatamente:
a) esclusione della necessità del mandato e facoltà, salvo i casi di conflitto, di non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato con apposita e motivata delibera;
b) inapplicabilità del foro dello Stato (art. 25 c.p.c.) e dunque della domiciliazione presso l’Avvocatura dello Stato ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (art. 144 c.p.c.), previsti per le sole amministrazioni dello Stato (ex plurimis: Cass. civ. sez. Unite, sent. 10/05/2006, n. 10700, Cons. stato sez. VI, sent. 22/04/2020, n. 2556).
Relativamente agli enti di istruzione e ricerca, analoghe considerazioni:
• valgono per le Accademie delle Belle Arti, dopo la riforma di cui alla l. 21 dicembre 1999, n. 508 (Tar Puglia, Lecce sez. III, sent. 28 maggio 2021, n. 820) ed Enti pubblici di ricerca (INGV, ASI, OGS etc., Tar Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, ord. 22 ottobre 2020, n. 363);
• non valgono per Uffici scolastici regionali, Istituti scolastici e Circoli didattici statali (Tar Campania, Salerno sez. II, sent. 21 agosto 2017, n. 1310; Cons. stato sez. VI, sent. 24 giugno 2015, n. 3202).
L’art. 11 r.d. n. 1611/33 prevede che: “tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente.
Ogni altro atto giudiziale e le sentenze devono essere notificati presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria presso cui pende la causa o che ha pronunciato la sentenza.
Le notificazioni di cui ai commi precedenti devono essere fatte presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullità da pronunciarsi anche d’ufficio”.
Ne deriva che la notifica dell’atto introduttivo (o della sentenza, per la decorrenza del termine breve) presso l’Avvocatura dello Stato è valida per i soli casi in cui l’Avvocatura stessa abbia la rappresentanza necessaria (patrocinio obbligatorio) delle amministrazioni.
Nel Codice del processo amministrativo la disciplina dei vizi del ricorso e della notificazione è contenuta nell’art. 44 che è stato in due occasioni dichiarato parzialmente incostituzionale. Da ultimo, con la sentenza del 9 luglio 2021, n. 148, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità del quarto comma limitatamente all’incidentale, “se ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda da causa non imputabile al notificante,” in relazione agli artt. 3, 24 e 113 Cost.
La Corte ha ravvisato che nel processo amministrativo, nel quale vi sono termini decadenziali per l’azione e non opera l’istituto contumaciale, la limitazione della rinnovazione della notificazione del ricorso alle sole ipotesi in cui la nullità non sia imputabile al notificante «non risulta proporzionata agli effetti che ne derivano, tanto più che essa non è posta a presidio di alcuno specifico interesse che non sia già tutelato dalla previsione del termine di decadenza».
La notifica di un ricorso giurisdizionale presso la sede dell’Avvocatura distrettuale anziché presso la sede dell’ateneo costituisce vizio sanabile perché determina un’unica conseguenza automatica: l’onere di integrazione del contraddittorio processuale mediante rinnovazione della notifica; il vizio non è di inammissibilità o irricevibilità dell’atto (art. 35. Cod. proc. amm.). Naturalmente la sanatoria del vizio può avvenire anche mediante costituzione in giudizio dell’ateneo intimato. In ogni caso l’inescusabilità dell’errore del notificante è ormai una circostanza neutra, senza valore né conseguenze processuali.
Certamente, ragioni di proporzionalità ed efficienza processuale, inducono ad ammettere la sanabilità una tantum, e non anche qualora pure la seconda notifica sia nuovamente nulla (per la medesima ragione per la quale lo fu la prima), ma sul punto non risultano pronunce.
In conclusione, a proposito del vizio di notifica è necessario tener presente che, indipendentemente da quanto deciso dalla Corte Costituzionale in merito all’art. 44, comma 4, Cod. proc. amm., nel tempo si è formato anche un indirizzo giurisprudenziale alternativo, maggiormente severo.
Il Consiglio di Stato, in qualche occasione, ha infatti dichiarato che la notifica fatta presso l’Avvocatura dello Stato non è solamente nulla, ma persino “inesistente” in quanto manca un collegamento fra il destinatario dell’atto e il luogo in cui la notifica è effettuata (Cons. stato sez. VI, sent. 23 maggio 2019, n. 3381 e Cons. stato sez. IV, sent. 13 ottobre 2014, n. 5046). Laddove si prospetti l’inesistenza della notifica, la radicalità del vizio non comporterebbe la sanabilità mediante rinnovazione.


Notifica postale valida, anche se l’A.R. ha la firma del consegnatario illeggibile

La notifica è valida anche quando manca l’indicazione delle generalità della persona cui l’atto è stato consegnato e questi abbia apposto sulla “ricevuta di ritorno” una sottoscrizione non intelligibile.
Ai sensi dell’articolo 26 del Dpr n. 602 del 1973 è ammessa la notificazione “diretta” della cartella di pagamento a mezzo di raccomandata cosiddetta “ordinaria”, per il cui perfezionamento è sufficiente che la consegna del plico sia stata eseguita presso il domicilio del destinatario e che l’agente postale abbia acquisito sul registro di consegna e sull’avviso di ricevimento la firma di un legittimo consegnatario.
Questa, in sintesi, la regula iuris ribadita dalla Commissione tributaria regionale del Lazio nella sentenza n. 157 del 17 gennaio 2022, ove si precisa altresì che, in questa ipotesi, la notifica è valida anche nel caso in cui sull’A.R. manchi l’indicazione delle generalità della persona cui l’atto è stato consegnato e altresì quando questi abbia apposto sulla “ricevuta di ritorno” una sottoscrizione non intelligibile.
Un contribuente impugnava dinanzi la Commissione tributaria provinciale di Roma l’estratto di ruolo relativo a cartella di pagamento emessa nei suoi confronti per vari tributi.
Il Giudice accoglieva il gravame, ritenendo invalida la notificazione dell’atto della riscossione, che risultava essere stata eseguita a mani del portiere dello stabile in cui era il recapito del destinatario.
Ricorrendo in appello, la parte pubblica lamentava l’errata valutazione dei fatti e degli atti di causa per violazione dell’articolo 26 del Dpr n. 602 del 1973 e dell’articolo 7 della legge n. 890 del 1982, entrambi concernenti la disciplina della notificazione.
In particolare, l’appellante ribadiva la piena legittimità della notifica della cartella eseguita all’indirizzo del contribuente a mezzo di raccomandata postale, nelle mani di persona ivi rinvenuta che si era qualificata portiere.
La Commissione tributaria regionale del Lazio ha ribaltato il verdetto di prime cure, affermando la regolarità della notifica dell’atto riscossivo oggetto del contendere, e richiamando sul punto la giurisprudenza di legittimità per la quale, in base all’articolo 26 del Dpr n. 602/1973, la cartella di pagamento può essere notificata anche direttamente da parte dell’agente della riscossione mediante raccomandata “ordinaria” con avviso di ricevimento, con la conseguenza che, per il perfezionamento del relativo iter procedimentale, è sufficiente “che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente”.
Nella fattispecie per la ritualità della notifica non è necessaria né l’indicazione sull’A.R. delle generalità della persona cui l’atto è stato consegnato, né che la relativa sottoscrizione sia intelligibile: ciò in quanto la relazione tra la persona cui il piego è destinato e quella cui è stato consegnato “costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata”.
La disciplina positiva della notificazione degli atti del procedimento amministrativo tributario prevede una serie di strumenti e modalità a disposizione degli uffici e dell’Agente della riscossione. A grandi linee, la notifica nei confronti del contribuente può avvenire sia per il tramite di un agente notificatore (ad esempio, ufficiale giudiziario, messo comunale, messo speciale autorizzato), sia “direttamente”, vale a dire senza l’intermediazione di detto pubblico ufficiale, a mezzo del servizio postale o attraverso la posta elettronica certificata. Per quanto riguarda in particolare la cartella di pagamento, l’articolo 26, primo comma, del Dpr n. 602 del 1973, dopo aver disposto al primo periodo che la cartella “è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale…”, nel periodo immediatamente successivo precisa che la notifica “può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento…”.
In proposito, l’orientamento della Corte Suprema di Cassazione è costante nell’affermare che la notificazione della cartella può essere eseguita “anche mediante invio diretto, da parte dell’agente della riscossione, di raccomandata con avviso di ricevimento, senza l’intermediazione dei soggetti indicati nel primo periodo del primo comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 …, atteso che il secondo periodo di tale comma prevede una modalità di notificazione alternativa rispetto a quella del primo periodo e integralmente affidata all’agente della riscossione e all’ufficiale postale” (Corte Suprema di Cassazione, n. 7746/2022, n. 8362/2022, n. 11431/2022 e n. 11469/2022).
Inoltre, è stato chiarito che quando la notifica della cartella è eseguita mediante raccomandata postale “diretta” trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della legge n. 890 del 1982 (Corte Suprema di Cassazione n. 4820/2022, n. 6820/2022, n. 9989/2022, n. 12706/2022; n. 36403/2021) e che, di conseguenza, “non deve essere redatta alcuna relata di notifica o annotazione specifica sull’avviso di ricevimento, e quindi in ordine alla persona cui è stato consegnato il plico” (Corte Suprema di Cassazione n. 17289/2021, n. 20766/2021, n. 35641/2021, n. 36215/2021).
Con riguardo al profilo della sottoscrizione illeggibile apposta sull’A.R. il Giudice di nomofilachia è costante nel ritenere che anche laddove manchino sull’avviso di ricevimento “le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato… e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto è pur sempre valido, poiché la relazione tra la persona cui esso è destinato e quella cui è stato consegnato costituisce oggetto di un preliminare accertamento di competenza dell’ufficiale postale, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c. c. ed eventualmente solo in tal modo impugnabile, stante la natura di atto pubblico dell’avviso di ricevimento della raccomandata” (Corte Suprema di Cassazione n. 4160/2022, n. 6041/2022, n. 7746/2022, n. 11461/2022).