REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PRESTIPINO Giovanni – Presidente
Dott. VITRONE Ugo – Consigliere
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Consigliere
Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere
Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AMMINISTRAZIONE DELLE FINANZE in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA PER LE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI PRATO, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. CARDUCCI 4, presso lo STUDIO MORBIDELLI – TRAINA, rappresentato e difeso dagli avvocati MORBIDELLI GIUSEPPE, DUCCIO M. TRAINA, giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2053/00 della Corte d’Appello di FIRENZE, depositata il 13/12/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/10/2004 dal Consigliere Dott. Salvatore DI PALMA;
udito per il ricorrente, l’Avvocato POLIZZI che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l’Avvocato MALNATI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1.1 Con citazione del 13 ottobre 1992, il Ministro delle Finanze convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Firenze, il Comune di Prato, esponendo che, con rapporto del 6 febbraio 1992, il Direttore dell’Ufficio del Registro di Prato aveva segnalato la mancata notificazione nei termini di n. 543 verbali per tasse automobilistiche, di cui era maturata la prescrizione, con conseguente danno all’erario di euro 1.701.907.870, oltre interessi maturati e maturandi, nonché la mancata notificazione di n. 1481 intimazioni, sempre relative a tasse automobilistiche, con ulteriore danno erariale di L. 612.383.645; e che l’omissione delle notificazioni era stata determinata dal fatto che il Sindaco del Comune di Prato si era rifiutato di farle eseguire a cura dei competenti uffici comunali per asserite difficoltà di tali uffici.
Tanto esposto, l’Amministrazione delle Finanza, deducendo la responsabilità del Comune convenuto ai sensi dell’art. 28 Cost. e degli artt. 261, 275, 273 e 274 del t.u. della legge comunale e provinciale, approvato con r.d. n. 383 del 1934, ne chiese la condanna al pagamento della somma di L. 2.314.291.335 a titolo di risarcimento del danno, oltre rivalutazione ed interessi legali.
Costituitosi, il Comune di Prato – nel chiedere la reiezione della domanda, ovvero, in subordine la riduzione del quantum richiesto tenendo conto del concorso di colpa dell’Amministrazione attrice – dedusse, in primo luogo, che la legge n. 142 del 1990 aveva abrogato gli artt. 273 e 274 del t.u. del 1934, sui quali era stato fondato l’obbligo del Comune di cooperazione con l’Amministrazione finanziaria; e, in secondo luogo, che, in ogni caso, mancava, nel comportamento del Comune, qualsiasi elemento di colpa, avuto riguardo all’elevatissimo numero di atti da notificare ed allo scarso numero di messi comunali in servizio (sei, rispetto ad una pianta organica che ne prevedeva dodici) e tenuto conto che le notificazioni richieste superavano di gran lunga la capacità di smaltimento dell’ufficio dei messi; in via subordinata, dedusse, altresì, che esisteva un gravissimo concorso di colpa dell’Amministrazione finanziaria, la quale pretendeva di far notificare entro sei mesi un numero di circa 7000 atti, che erano relativi ad accertamenti che l’Ufficio del Registro avrebbe potuto effettuare due anni e mezzo prima, trattandosi di tasse automobilistiche afferenti all’anno 1988, e che erano stati trasmessi all’Amministrazione comunale con grave ritardo.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 1367 del 21 maggio 1998, rigettò la domanda.
1.3 A seguito di appello del Ministro delle Finanza, cui resistette il Comune di Prato, la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 2053 del 13 dicembre 2000, rigettò l’appello.
In particolare, la Corte fiorentina ha così, tra l’altro, testualmente, motivato: A1)- “Va disatteso il primo motivo di gravame, atteso che il primo Giudice ha correttamente valutato l’incidenza nel caso di specie dell’abrogazione degli artt. 273 e 274 T.U. n. 383/34 come quella che ha fatto venir meno l’obbligo in linea generale per i comuni (e le province) di provvedere alle notifiche a messo dei nessi comunali nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria”. In realtà, come rilevato dal primo Giudice, una responsabilità del Comune di Prato… per l’omessa notifica nei termini dei processi verbali per tasse automobilistiche, con conseguente prescrizione del credito dall’Amministrazione, non può che fondarsi sull’esistenza di un obbligo, per il Comune, di provvedere alle notificazioni richieste… E’ assorbente e decisivo al riguardo il rilievo che l’abrogazione dell’art. 273 ad opera della legge 142/90 ha all’evidenza caducato detto obbligo di carattere generale ed indifferenziato, non essendo detto obbligo stato ribadito da altra nuova norma di pari portata. Ed il fatto che la L. n. 142/90 abbia confermato l’obbligatorietà dell’apprestamento del servizio comunale dei messi notificatori non è, di per se, sufficiente a fondare l’assunto, atteso che i messi notificatori comunali hanno la principale ragione di esistere in relazione alla notificazione degli atti dell’Amministrazione cui appartengono (comune e provincia);
restando indimostrata – e anzi contraddetta dallo spirito e dalla lettera della legge 142/90, come si è sopra rilevato – la sussistenza di un obbligo generale di notificazione di atti provenienti da altri soggetti pubblici”. A2)- “Ne vale da parte del Ministero invocare a fondamento della sua tesi l’esistenza di altre norme di legge dalle quali trarrebbe ‘un principio generale, oltre che una disciplina comunque applicabile in via analogica anche al caso di specie. In realtà, le norme richiamate (il D.P.R. 633/72 sull’IVA, l’art. 60 D.P.R. in materia di accertamento delle imposte sui redditi, il D.P.R. 602/73, ecc.) sono tutte norme che prevedono specifici casi nei quali gli atti dell’Amministrazione centrale ivi indicati possono essere notificati anche mediante messi comunali.
Ebbene, l’applicazione analogica di tali norme appare impossibile, trattandosi chiaramente di leggi che, nel quadro normativo mancante della regola generale dell’art. 273 T.U. cit., fanno eccezione alla regola generale dell’utilizzo dei messi per la notificazione degli atti dell’amministrazione cui appartengono e che in tale eccezione trovano la loro ragion d’essere. E’, al riguardo, malamente invocato dal Ministero delle finanze l’art. 37 D.P.R. 39/53 (disciplinante il pagamento e la riscossione delle tasse automobilistiche) vigente all’epoca dei fatti di causa in relazione alla notifica prevista dall’art. 39 L. 07.01.1929 n. 4, dal momento che tale ultimo articolo è stato, in una con l’intero capo terzo della L. n. 4/1929, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con sentenza 27.03.1969 n. 60″. A3)- “Del pari sterile è il richiamo di parte appellante alla giurisprudenza sia dalla S.C…. che del Giudice amministrativo…. E’ invero agevole rilevare al riguardo che tanto Cass. 1341/91…. quanto la altra indicata si riferiscono tutte a fattispecie verificatesi negli anni ’80 sotto il vigore dei più volte citati artt. 273 a 274 R.D. n. 393/1934, espressamente richiamati in tali pronunce, oltre all’eventuale specifica disposizione relativa all’esaminato caso di specie, come quelli fondanti l’obbligo di notifica (in via generale) dei comuni-.”. B)- “Discende dalle considerazioni sopra esposte la non configurabilità, nel caso di specie, del mandato ex lege fra Amministrazione finanziaria e Comune appellato in conseguenza della specifica richiesta di notifica avanzata nella specie dalla prima al secondo in ordine al quale è incentrato il secondo motivo di gravame e che potrebbe trovare la sua fonte soltanto nell’escluso, all’epoca dei fatti di causa, obbligo di legge in via generale a carico dei comuni per le notifiche da eseguire nell’interesse dell’Amm.ne centrale. E l’inesistenza nella fattispecie di siffatto mandato ex lege comporta la radicale infondatezza delle ulteriori censure… sviluppata da parte appellante nel secondo e terzo motivo di impugnazione”. 1.3 Avverso tale sentenza il Ministro delle Finanze ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo un unico motivo di censura, illustrato con memoria.
Resiste, con controricorso illustrato da memorie, il Comune di Prato.
Motivi della decisione
2.1 Con l’unico motivo (con cui deduce “Violazioni e falsa applicazione degli artt. 37 d.P.R. 5.2.1953 n. 39, 39 l. 7.1.29 n. 4, 56 d.P.R., 632/72, 32 d.P.R. n. 636/1972, 60 d.P.R. n. 600/1973, 26 d.P.R. n. 602/1973, 3 l. 853/7, 14 l. n. 890/1982 e 127 d.P.R. n. 43/1988, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che, nonostante la formale abrogazione dell’art. 273 del T.U. n. 383 del 1934, persisterebbe nell’ordinamento un principio di carattere generale che imporrebbe ai comuni la predisposizione del servizio di notificazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria, come sarebbe dimostrato dalla circostanza che l’art. 10 della legge n. 205 del 1999 non che abolire il servizio medesimo lo avrebbe reso oneroso; e sottolineando che l’approccio della sentenza al combinato disposto degli artt. 37 del d.P.R. n. 39 del 1953 e 39 della legge n. 4 del 1929, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 60 del 1969, sarebbe errato, nella misura in cui la pronuncia di incostituzionalità non avrebbe travolto la norma che impone la collaborazione dei comuni per la notificazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria relativi alle tasse automobilistiche.
2.2 Il ricorso deve essere respinto – previa correzione ed integrazione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384 comma 2 cod. proc. civ., essendo il suo dispositivo conforme al diritto – in base alle considerazioni che seguono.
A) – secondo quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, nonchè dagli scritti difensivi delle parti, debbono considerarsi pacifiche le seguenti circostanze: 1)- gli atti – la cui notificazione ai destinatari, a mezzo messi comunali, è stata richiesta dall’Ufficio del registro di Prato al Comune di quella Città – sono tutti afferenti all’omesso od insufficiente pagamento della tassa di possesso di autoveicoli relativa all’anno 1988 e sono costituiti, in parte (n. 5643 atti), da processi verbali di accertamento delle corrispondenti violazioni e, in parte (n. 1481 atti), da ingiunzioni di pagamento per il recupero dei tributi evasi e delle soprattasse; 2)- le predette richieste di notificazione sono state formulate nell’anno 1991 (cfr. Ricorso, pag. 2).
B) – Le contrapposte argomentazioni difensive impongono, all’evidenza, di individuare, alla luce delle sottolineate circostanze, la disciplina applicabile alla fattispecie ratione temporis e, in particolare, di stabilire se, allorquando – nel 1991, appunto – l’Ufficio del registro di Prato chiese al Comune di quella Città di eseguire la notificazione dei su ricordati atti, esistesse una disciplina particolare – o, comunque, un principio generale evincibile dall’ordinamento – che potesse porsi a fondamento dell’invocato obbligo, a carico del Comune richiesto, di eseguire le notificazioni stesse e, quindi, giustificare come legittima l’azione risarcitoria proposta (cfr., supra, n. 1.1).
C)- E’ noto che i commi 4 e 5 dell’art. 273 del R.d. 3 marzo 1934 n. 383 (Approvazione del t.u. della legge comunale e provinciale), nel dettare la disciplina della nomina e delle funzioni dei messi comunali e provinciali, disponevano, rispettivamente, che “il messo comunale e quello provinciale sono autorizzati a notificare gli atti delle rispettive amministrazioni per cui non siano prescritte speciali formalità” (comma 4) e che “messi dei comuni e delle province possono anche notificare atti nell’interesse di altre amministrazioni pubbliche che ne facciano richiesta a quella da cui essi rispettivamente dipendono” (comma 5); e che il successivo art. 274 prescriveva che “salvo che non sia disposto altrimenti, i comuni e le province sono tenuti a compiere senza corrispettivo gli atti che siano loro commessi dalla legge nell’interesse generale”.
Mentre l’art. 273 comma 5 poneva – in attuazione del generale principio del dovere di cooperazione tra amministrazioni pubbliche – una norma “abilitativa” dei predetti messi a notificare, previa esplicita richiesta, (oltre agli atti delle “proprie” amministrazioni, anche) atti provenienti da amministrazioni pubbliche diverse da quelle (comune e provincia) da cui gli stessi dipendevano – come emerge chiaramente dal coordinamento testuale dei due commi citati (“il messo comunale e quello provinciale sono autorizzati a notificare gli atti delle rispettive amministrazioni (comma 4)”; “i messi dei comuni e delle province possono anche notificare atti nell’interesse di altre amministrazioni pubbliche (comma 5)”, l’art. 274 ribadiva il generale dovere delle amministrazioni comunali e provinciali di “compiere senza corrispettivo” ogni atto che la legge stabilisse nell’interesse generale. Coordinando le due disposizioni, ne risultava il generale dovere dei messi comunali e provinciali di eseguire – a condizione che la legge prevedesse anche in capo agli stessi il potere di eseguirle – le notificazioni di atti loro richiesti da “altre” amministrazioni pubbliche.
Del resto, questa corte (cfr., e pluribus, sentt. nn. 878 del 1984, 2186 del 1987, 2083 del 1990, 13411 del 1991, 10929 del 1997, 711 del 2002 – tutta pronunciata a s.u. – nonché 5069 del 1997, 5987 del 1998, 10263 del 2000, 11469 del 2004) – nell’affermare costantemente il principio, secondo cui, quando l’amministrazione finanziaria, avvalendosi dalla facoltà attribuitale dalla legge provveda alla notificazione degli avvisi di accertamento, o di altri atti, a mezzo dei messi comunali, facendone richiesta all’amministrazione comunale dalla quale questi dipendono, sorge un rapporto di preposizione, che deve essere qualificato come mandato ex lege, la cui violazione può costituire fonte di responsabilità contrattuale – ha sempre fondato, nella fattispecie sottoposte al suo esame, il legittimo esercizio del predetto potere di avvalimento e, quindi, la nascita del mandato su specifiche norme attributive di tale potere, pur ricollegandolo, per così dire sullo sfondo, ai principi emergenti dagli artt. 273 e 274 del R.d. n. 383 del 1934, ma soltanto nei casi in cui queste disposizioni potassero considerarsi ancora vigenti.
E’, altresì, noto che la predette disposizioni sono state espressamente abrogate dall’art. 64 co. 1 lett. c) della legge 8 giugno 1990 n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali) con affetto del 13 giugno 1990 (cfr. art. 65; cfr., altresì, l’art. 274 comma 1 lett. a (“Sono o restano abrogate le seguenti disposizioni: a) regio decreto 3 marzo 1934 n. 383”) del d.lgs. 18 agosto 3000 n. 267, che ha approvato il t.u. delle leggi sull’ordinamento dagli enti locali).
E, intervenuta tale abrogazione, questa Corte (cfr. sent. n. 14854 del 2000) ha affermato la nullità della notificazione eseguita da masso comunale in mancanza di una specifica norma attributiva del potere di avvalimento.
Principi generali in materia di notificazione dagli atti delle pubbliche amministrazioni, del tutto diversi da quelli desumibili dalle predette disposizioni del t.u. del 1934, sono evincibili dalla disciplina dettata dall’art. 10 della legge 3 agosto 1999 n. 265 (Disposizioni in materia di autonomia a ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990 n. 142), vigente dal 21 agosto 1999 e mantenuto in vigore dall’art. 274 comma 1 lett. qq) del già citato d.lgs. n. 267 del 2000.
Infatti, il comma 1 di tale articolo dispone: “Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1 comma 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, e successive modificazioni, possono avvalersi, per le notificazioni dei loro atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge”. E, mentre i commi 2 e 3 prevedono a favore del comune il rimborso delle spese e la corresponsione di un “corrispettivo” per la notificazione di ciascun atto nell’interesse dell’amministrazione pubblica richiedente, il successivo comma 5 – nel sostituire il primo comma dell’art. 12 della legge 20 novembre 1982 n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari) – stabilisce: “Le norme sulla notificazione dagli atti giudiziari a mezzo della posta sono applicabili alla notificazione degli atti adottati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1 comma 2 del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29, e successive modificazioni, da parte dell’ufficio che adotta l’atto stesso”.
Del resto, già l’art. 14 comma 1 primo periodo della legge 20 novembre 1982 n. 890 (Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari) – nel testo modificato dall’art. 20 comma 1 della legge 8 maggio 1998 n. 146, con decorrenza dal 15 maggio 1998 – aveva stabilito esplicitamente, tra l’altro, che “la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve avvenire con l’impiego di plico sigillato e può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonché, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari, dei messi comunali, ovvero dei messi speciali autorizzati dall’Amministrazione finanziaria secondo la modalità previste dalla presente legge”. Ed anche a voler ritenere che tale disposizione, anteriormente alle modificazioni apportate nel 1998 (riportate in corsivo), potesse fondare il predetto potere di avvalimento dei messi comunali, deve sottolinearsi che il secondo periodo del medesimo comma dell’art. 14 fa “salve”, tra l’altro, “le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi di imposta” sicché, e innanzitutto a tali leggi che l’interprete deve rivolgere la propria attenzione (V., infra, lett. D).
Orbene, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 20 della legge n. 146 del 1998 e dell’art. 10 della legge n. 365 del 1999, il legittimo esercizio, da parte delle amministrazioni pubbliche, del potere di avvalimento dei messi comunali per le notificazioni di loro atti risulta ormai – a differenza della previgente disciplina – meramente “residuale”, subordinato com’è alle rigorose condizioni, rispettivamente, che la notificazione diretta a mezzo del servizio postale, da parte dell’Amministrazione finanziaria, “risulti impossibile” e che “non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge”.
Ma è del tutto evidente che siffatta disciplina – pure richiamata dall’Avvocatura erariale, al fine di dimostrare la perdurante esistenza, anche dopo l’abrogazione dei citati artt. 273 e 274 del R.d n. 383 del 1934, dell’”obbligatorietà dell’apprestamento del servizio” – è, comunque ed a prescindere da altre pur possibili osservazioni, inapplicabile alla fattispecie, perfezionatasi nel 1991, ratione temporis.
Sicchè, può concludersi che, in ogni caso, nel periodo intercorrente tra l’abrogazione degli artt. 273 e 274 citt. – 13 giugno 1990 – e l’entrata in vigore dell’art. 10 della legge n. 265 del 1999 – 21 agosto 1999 – il legittimo esercizio, da parte delle amministrazioni pubbliche, del potere di avvalimento dei messi comunali per le notificazioni di loro atti presuppone che sia individuabile nell’ordinamento uno specifico fondamento legislativo, che attribuisca all’amministrazione interessata il predetto potere di avvalimento.
D) – Trattandosi, dunque, nella specie, di richieste di notificazione di processi verbali di accertamento e di ingiunzioni di pagamento – afferenti ad omesso e/o insufficiente pagamento della tassa di possesso di autoveicoli, relativa all’anno 1988 – formulate nel 1991, la disciplina applicabile – contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata (la cui motivazione in diritto deve essere, pertanto, corretta la parte qua) ed a quanto reputato dalle parti, che fanno riferimento al combinato disposto degli artt. 37 del d.P.R. 5 febbraio 1953 n. 39 (Testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche) e 39 comma 1 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) – è quella dettata dalla legge 24 gennaio 1978 n. 27 (Modifiche al sistema sanzionatorio in materia di tasse automobilistiche), entrata in vigore l’11 aprile 1978 (v. art. 6 comma 1) ed attualmente vigente (v., infra, lett. E), confermata dall’art. 5 comma 50 del d.l. 30 dicembre 1982 n. 953 (Misure in materia tributaria), convertito, con modificazioni (in realtà, la legge di conversione ha sostituito integralmente il contenuto del decreto-legge), nella legge 28 febbraio 1983 n. 53 (v., infra, lett. E).
L’art. 1 comma 1 della legge n. 27 del 1978 prevede, tra l’altro, l’applicazione, “in deroga alle disposizioni dell’articolo 5 della legge 7 gennaio 1929 n. 4”, delle “soprattasse stabilite nella tabella annessa alla premente legge”, “per il mancato o insufficiente pagamento delle tasse automobilistiche e per l’inosservanza delle altre disposizioni del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953 n. 39, e successive modificazioni, e delle singole leggi delle Regioni a statuto ordinario sulla tassa regionale di circolazione, nonché per il mancato o insufficiente pagamento dell’abbonamento all’autoradio”.
I numeri 1 e 2 della annessa “tabella delle infrazioni” prevedono, rispettivamente, come “titolo della infrazione” la “circolazione senza il pagamento della tassa” e la “circolazione con pagamento della tassa in misura inferiore a quella dovuta” e, come “misura della soprattassa”, rispettivamente, quella “pari a tre volte la tassa annua dovuta, oltre il pagamento del tributo evaso” e quella “pari a tre volte la differenza tra la tassa annua dovuta e quella pagata rapportata ad anno, oltre al pagamento della differenza di tassa”.
L’art. 2 disciplina il procedimento relativo all’accertamento della predetta violazioni, nonchè alla riscossione dei tributi evasi e della soprattassa. Il potere di accertamento – il cui esercizio deve essere formalizzato in apposito “processo verbale” – è attribuito agli ufficiali ed agenti dalla polizia tributaria, agli organi indicati nell’art. 38 del d.P.R. n. 39 del 1953 e nell’art. 138 del previgente codice della strada, approvato con d.P.R. n. 393 del 1959, “nonchè dai direttori e procuratori del registro nell’ambito del proprio ufficio e nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali” (comma 1).
I commi 2 e 3 dell’articolo in esame regolano la notificazione del verbale, distinguendo l’ipotesi in cui sia possibile la notificazione contestuale all’accertamento da quella in cui la notificazione stessa avvenga successivamente nel primo caso, la notificazione e eseguita dall’agente accertatore; nel secondo, dall’ufficio o dal comando da cui il verbalizzante dipende “anche mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”. Dai primi tre commi dell’art. 2 si deduce, quindi, sia pure in prima approssimazione, che, nelle ipotesi in cui la violazione sia stata accertata dai direttori a procuratori del registro, e l’ufficio del registro che deve eseguire la notificazione dal verbale.
Il comma 6 dispone: “L’ufficio o il comando innanzi indicati trasmettono l’originale del processo verbale, con le prove della eseguita notificazione, all’ufficio del registro, nella cui circoscrizione la violazione è stata accertata, che provvede alla riscossione dei tributi evasi e delle soprattasse”.
Il comma 7 prevede che, “se il trasgressore non si avvale del beneficio della riduzione ad un terzo delle soprattasse previsto dalla nota in calce alla tabella annessa alla presente legge, l’ufficio del registro emette a suo carico ingiunzione di pagamento per il recupero dei tributi evasi e delle soprattasse nella misura intera”. Anche quast’ultima disposizione si riferisce, con ogni evidenza, alla fattispecie, tenuto conto che il secondo gruppo di atti, trasmesso per la notificazione al Comune di Prato, ha ad oggetto proprio n. 1841 ingiunzioni di pagamento (V, supra, lett. A).
L’analisi di tale disciplina mostra chiaramente che nè per la notificazione dei processi verbali, ne per quella delle ingiunzioni di pagamento emessa dall’ufficio del registro è previsto esplicitamente – rispettivamente, in capo all’ufficio o al comando da cui dipenda l’agente accertatore, ovvero in capo all’ufficio del registro – il potere di avvalimento dei messi comunali.
Escluso che, in tal senso, possa farsi riferimento, ratione temporis, come già sottolineato (v., supra, lett. C), agli artt. 273 e 274 del R.d. n. 383 del 1934, non è nemmeno invocabile l’art. 14 della legge n. 890 del 1982 (nel testo precedente alle modificazioni introdotte nel 1998), perchè la legge n. 27 del 1978 è certamente lex specialis (“singola legge di imposta”) rispetto a quella del 1982, che fa salve, appunto, “le altre modalità di notifica previste dalle norme relative alle singole leggi di imposta”.
Orbene, per quanto attiene alla notificazione dei processi verbali di accertamento, la legge n. 27 del 1978 prevede specifiche modalità di notificazione degli stessi sia per la notificazione “contestuale” all’accertamento, che si esegue “mediante consegna di una copia del verbale” al proprietario ed al conducente da parte dell’agente accertatore, sia per quella successiva all’accertamento, che deve essere eseguita, “anche mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla data dell’accertamento, a pena di estinzione dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione (art. 2 comma 3 e 4).
Sicchè, i concorrenti rilievi – secondo cui la legge n. 27 del 1978 prevedeva già la notificazione dei processi verbali di accertamento a mezzo del servizio postale ed a cura dell’ufficio o comando da cui il verbalizzante dipende; e secondo cui colliderebbe con il principio di economicità dell’azione amministrativa la possibilità per i predetti ufficio o comando di richiedere ai messi comunali il compimento di un atto (la notificazione a mezzo del servizio postale, appunto), che gli stessi sono in grado di compiere agevolmente e con la rapidità richiesta dall’esistenza del su richiamato termine perentorio – inducono univocamente ad escludere l’applicabilità dell’art. 14 della legge n. 890 del 1982.
Per quanto riguarda, poi, la notificazione delle ingiunzioni di pagamento (le c.d. ingiunzioni fiscali), è noto che la relativa disciplina risulta dettata dal R.d. 14 aprile 1910 n. 639 (Testo unico delle disposizioni di legge relative alla procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, dei proventi del demanio pubblico e di pubblici servizi e delle tasse sugli affari), il cui art. 2 comma 2 prevedeva che l’ingiunzione, vidimata e resa esecutiva dal pretore (ma v., ora, art. 229 del d.lgs. 19 febbraio 1998 n. 51), “è notificata, nelle forme delle citazioni, da un ufficiale giudiziario addetto alla pretura o da un usciere addetto all’ufficio di conciliazione”.
Sicchè, anche per la notificazione di questo tipo di atti esisteva (nel 1991) una lex specialis, la quale prevedeva specifiche modalità che non includevano, tra i soggetti abilitati ad eseguirla, i nessi comunali (cfr., ad es. Cass. sent. n. 352 del 1979, secondo cui ingiunzione fiscale, emessa norma del R.d. n. 639 del 1910, può essere notificata al contribuente, oltre che dall’ufficiale giudiziario, anche dal messo dell’ufficio di conciliazione).
B)- che – contrariamente a quanto affermato dalla Corte fiorentina ed opinato dalle parti – la disciplina applicabile alla fattispecie sia esclusivamente quella dettata dalla legge n. 27 del 1978, ora analizzata, e non, invece, quella contenuta nel Capo 5^ del d.P.R. n. 39 del 1953, ivi compreso l’art. 37 di tale decreto (che, sotto la rubrica “Repressione delle violazioni”, stabiliva: “Per la repressione delle violazioni alle norme del presente Testo Unico si applicano le disposizioni della legge 7 gennaio 1929 n. 4”), risulta univocamente dalle concorrenti considerazioni che seguono.
E1)- il capo 5^ del d.P.R. n. 39 del 1953, intitolato “Delle violazioni e delle norme di procedura”, dettava le norme relative alle sanzioni – stabilendo che “per le infrazioni alle disposizioni del premente Testo Unico si applicano le sanzioni previste dalla tabella allegato n. 2”; e che “il conducente ed il proprietario del veicolo sono solidamente obbligati al pagamento delle pene pecuniarie indicate nella tabella stessa”) (art. 35 commi 1 e 2) – individuava gli organi cui era demandato l’accertamento delle violazioni (art. 37) e disciplinava le controversie relative all’applicazione del tributo (art. 39). orbene – a parte la materia avente ad oggetto la contraffazione dei contrassegni di circolazione, regolata dall’art. 36 del testo unico, che in questa sede non rileva – tutte le altre materie del Capo 5^ sono state disciplinate ex novo dalla legge n. 27 del 1978: quella relativa alla determinazione delle violazioni e delle corrispondenti sanzioni (“Per il mancato o insufficiente pagamento delle tasse automobilistiche e per l’inosservanza delle altre disposizioni del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953 n. 39, e successive modificazioni… si applicano… le soprattasse stabilite nella tabella annessa alla presente legge”), nell’art. 1 comma 1 e nella tabella annessa alla legge; quella relativa alla statuizione del vincolo di solidarietà, quanto al pagamento delle sopratasse tra proprietario e conducente, nell’art. 1 comma 2; quella relativa al procedimento di accertamento delle violazioni, agli organi competenti ad accertarle, nonché alla riscossione dei tributi evasi e delle soprattasse, nell’art. 2; quella relativa all’applicazione del tributo e delle soprattasse, nell’art. 3.
Sicchè, può ben affermarsi, sotto i profili che in questa sede rilevano, che la legge n. 27 del 1978 ha tacitamente abrogato, per “nuova disciplina”, il predetto Capo 5^ del d.P.R. n. 39 del 1953, come, del resto, è confermato dall’art. 5 della legge, laddove viene statuito, con la consueta formula, che “è abrogata ogni altra disposizione contraria o comunque incompatibile con la presente legge”.
E2)- un’ulteriore conferma della ora affermata abrogazione si trae dalla disciplina contenuta nel su richiamato decreto-legge n. 953 del 1982, conv., con modif., nella legge 53 del 1983 (cfr., supra, lett. D), che ha sostituito alla tassa di circolazione quella di possesso di autoveicoli: infatti, l’art. 5 comma 50 (della legge di conversione) stabilisce che “per la repressione delle violazioni alle norme del trentunesimo comma e dai commi successivi del presente articolo si applicano le disposizioni della legge 24 gennaio 1978 n. 27”; sicchè, la successiva disposizione – art. 5 comma 59:
“Continuino ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al testo unico delle leggi sulle tasse automobilistiche, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 febbraio 1953 n. 39…” – a parte ogni altra considerazione, non può certamente applicarsi alla ipotesi, quali quelle di specie, di omesso od insufficiente pagamento della tassa di possesso.
E3)- La legge n. 27 del 1978 è stata considerata in vigore da tutte le successive discipline che, direttamente o indirettamente, si sono riferite alla materia della tasse automobilistiche.
E così, in primo luogo, l’art. 231 del nuovo codice della strada (d.lgs. n. 285 del 1992), che, nell’abrogare espressamente norme precedenti, al comma 3 secondo periodo, stabilisce: “Restano, comunque, in vigore le disposizioni di cui alla legge 24 gennaio 1978 n. 27”.
Ed ancora, più specificamente, l’art. 17 del d.lgs, 18 dicembre 1997 n. 473 (Revisione delle sanzioni amministrative in materia di tributi sugli affari, sulla produzione e sui consumi, nonché di altri tributi indiretti, a norma dell’art. 133, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996 n. 662), nel testo sostituito dall’art. 4 comma 1 lett. d) del d.lgs. 5 giugno 1998 n. 203, che, nel disciplinare la “sanzioni in materia di tasse sul possesso di autoveicoli” oltre a sostituire alla parola “soprattassa” quella “sanzione amministrativa”, ha parzialmente abrogato – e, quindi, parzialmente mantenuto in vigore – alcune disposizioni della legge n. 27 del 1978 e della tabella annessa.
2.3 Le considerazioni che precedono consentono di ritenere assorbita ogni altra censura formulata nel ricorso.
La novità delle questioni trattate integra giusto motivo per dichiarare compensate per intero, tra le parti, le spese della presente fase del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 ottobre 2004.
Riferimenti normativi
RD 03-03-1934 n. 383, Art. 273
RD 03-03-1934 n. 383, Art. 274
DPR 05-02-1953 n. 39 0
L 24-01-1978 n. 27, Art. 2
DL 30-12-1982 n. 953 0
L 28-02-1983 n. 53 0
L 08-06-1990 n. 142, Art. 64
L 03-08-1999 n. 265, Art. 10