REVOCAZIONE (GIUDIZIO DI)
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo CARBONE – Primo Presidente f.f. –
Dott. Rafaele CORONA – Presidente di sezione –
Dott. Giovanni PRESTIPINO – Consigliere –
Dott. Erminio RAVAGNANI – Consigliere –
Dott. Alessandro CRISCUOLO – Consigliere –
Dott. Vincenzo PROTO – Consigliere –
Dott. Maria Gabriella LUCCIOLI – Consigliere –
Dott. Mario Rosario MORELLI – Consigliere –
Dott. Stefanomaria EVANGELISTA – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MONTANA GIUSEPPE, MONTANA MARIO, SCARFA ANTONIETTA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PRINI 12, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA CAPEZZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ARMANDO CALAFATO, giusta delega in calce al ricorso;
– ricorrenti –
GUCCIARDO (*) ANTONINO , elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO MARIA CREMONA, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 768/96 del Tribunale di AGRIGENTO, depositata il 25/09/96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/02 dal Consigliere Dott. Stefanomaria EVANGELISTA;
udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. Domenico IANNELLI che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 15 febbraio 1989, Giuseppe Montana, Mario Montana ed Antonietta Scarfa, convennero in giudizio davanti al pretore di Agrigento Antonio (*) Guicciardo, Francesco Barrafato e Lorenza Tamburello, al fine di ottenere la costituzione coattiva, ex art. 1051 cod. civ., di una servitù di passaggio.
Il giudice adito accolse la domanda in contumacia dei convenuti, con sentenza del 14 dicembre 1989, notificata nelle date del 28 marzo e 7 luglio 1990.
Con citazione in appello notificata nelle date del 25, 27 e 30 maggio 1991, Antonio (*) Guicciardo, rappresentato dal fratello Antonio (*), suo procuratore generale, impugnò la sentenza, sostenendo, nonostante il decorso del termine di cuiall’art. 327 cod. proc. civ., la tempestività del gravame, per avere egli ignorato l’esistenza del giudizio a causa della nullità della notificazione del relativo atto introduttivo. Questa, invero, era stata eseguita con le formalità previstedall’art. 143 cod. proc. civ., laddove le risultanze anagrafiche, dalle quali emergeva che egli si era trasferito all’estero, e precisamente a Detroit, negli Stati Uniti d’America, avrebbero consentito di conoscere il suo esatto indirizzo facendo uso dell’ordinaria diligenza, ossia consultando sul punto le autorità consolari competenti.
Il Tribunale di Agrigento, con sentenza depositata in cancelleria il 25 settembre 1996, accolse l’appello, ritenuto ammissibile in base al rilievo che, da un lato, l’indicazione dell’indirizzo estero è da escludere dal novero degli adempimenti anagrafici connessi alla dichiarazione di trasferimento; e dall’altro lato, il notificante, prima di ricorrere alle formalitàdell’art. 143 cod. proc. civ., avrebbe dovuto, facendo uso dell’ordinaria diligenza, verificare se le carenti informazioni anagrafiche potessero essere integrate con altre da assumersi presso le competenti autorità consolari, atteso anche il disposto dell’art.6dellalegge n. 470 del 1988(istitutivo dell’obbligo del cittadino che si trasferisca all’estero di darne comunicazione entro novanta giorni all’ufficio consolare nella cui circoscrizione si trova la sua nuova residenza).
Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto ricorso, affidato a due motivi, Giuseppe Montana, Mario Montana e Scarfa Antonietta. Ha resistito con controricorso Antonino Guicciardo, per il tramite del suo procuratore generale, Giuseppe Guicciardo (*).
La seconda Sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 461 del 24 maggio 2000, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, ai fini dell’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, in relazione al contrasto di giurisprudenza riscontrato sulla questione, introdotta col primo motivo del ricorso stesso, se, a carico del soggetto che intenda notificare un atto nei confronti di destinatario trasferitosi in una città estera risultante dai registri anagrafici, i quali non contengano, peraltro, l’indicazione dell’indirizzo dello stesso, sia configurabile l’onere di compiere ulteriori ricerche prima di poter procedere alla notificazione secondo le modalità di cuiall’art. 143 cod. proc. civ.
Il Primo Presidente ha provveduto in conformità.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, denunciandosi violazione dell’art. 143 cod. proc. civ. e vizi di motivazione, si sostiene che colui il quale trasferisca definitivamente all’estero la propria residenza è tenuto a dichiarare sia la località, sia l’esatto indirizzo, ai fini della iscrizione nell’apposito registro anagrafico e dell’opponibilità ai terzi delle relative risultanze.
Si aggiunge che il difetto di tale adempimento – richiesto non solo dal combinato disposto dell’art. 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1120 e dell’art. 11 del D.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136, ma anche dall’art.2 della legge 27 ottobre 1988, n. 470, in cui, relativamente all’istituita anagrafe dei cittadini italiani all’estero, si stabilisce che “l’ufficiale di anagrafe annota sulle schede individuali l’indirizzo all’estero comunicato dall’interessato o comunque accertato” – è imputabile a colpevole inerzia del destinatario dell’atto da notificare, il cui comportamento omissivo non può tradursi nell’onere del notificante di provvedere ad accertamenti ulteriori rispetto a quelli condotti sulle risultanze anagrafiche.
Col secondo motivo di ricorso, denunciandosi violazione dell’art. 2909 cod. civ e vizi di motivazione, si assume che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza resa dal pretore di Agrigento in esito al giudizio introdotto da Antonio (*) Guicciardo per la revocazione della stessa sentenza contro la quale era stato proposto appello, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere precluso l’esame della questione concernente la tempestività di tale ultimo gravame, poiché il giudizio sul merito dell’istanza revocatoria proposta ex art. 396, primo comma, cod. proc. civ., implicitamente, ma necessariamente, presupponeva l’accertamento della conseguita inappellabilità della sentenza revocanda.
L’esame del secondo motivo di ricorso è pregiudiziale, poiché, ove dovesse affermarsi l’efficacia panprocessuale dell’eccepito giudicato (formatosi relativamente all’implicito accertamento dell’inoppugnabilità della sentenza oggetto della suddetta istanza revocatoria), dovrebbe trarsene la conseguenza della preclusione di identico accertamento nel presente giudizio e, quindi, dell’inammissibilità – a prescindere dalla questione della validità o meno della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio – dell’appello sul quale è stata pronunciata la sentenza qui impugnata.
L’eccezione è, però, infondata.
L’implicito accertamento (relativo all’avvenuta scadenza dei termini per la proposizione dell’appello) della condizione di ammissibilità dell’istanza di revocazione straordinaria ex art. 396, primo comma, cod. proc. civ., riguarda questione di natura meramente processuale, e la Corte reputa di non doversi discostare dall’orientamento giurisprudenziale, prevalente e condiviso da autorevole parte della dottrina, secondo cui la soluzione (implicita o esplicita) di questioni pregiudiziali di rito, avendo funzione meramente preparatoria della decisione finale sul merito, non può formare oggetto di cosa giudicata in senso sostanziale, ma può operare soltanto con effetti limitati al processo in cui è stata pronunciata.
Tale avviso discende dalla considerazione che la diversità di efficacia tra le sentenze che accolgono o respingono la domanda e le sentenze processuali si ricollega al particolare oggetto e contenuto di queste ultime: in ogni processo sono individuabili due distinti e non confondibili oggetti di giudizio, l’uno (processuale) concernente la sussistenza del dovere del giudice di decidere il merito della causa, l’altro (sostanziale) relativo alla fondatezza della domanda proposta; e se può, per tale ragione, riconoscersi che anche le pronunzie di rito partecipano a pieno titolo dell’accertamento giudiziale (di cui è espressa menzione nell’art. 2909 cod. civ.), non è men vero che tali decisioni sono destinate a vedere confinata la loro rilevanza nel giudizio in cui sono state rese, avendo un oggetto che è, per definizione, strettamente inerente alla vicenda processuale in corso, perché ad essa esclusivamente attiene l’accertamento del suddetto dovere e perché la questione processuale decisa (nella specie, la scadenza dei termini per l’appello) è confinata nell’ambito della cognizione pregiudiziale rispetto alla statuizione di rito, che esclude o riconosce “principaliter” l’esistenza di questo stesso dovere del giudice di pronunciare sulla fondatezza della domanda.
Correttamente, pertanto, il giudice dell’appello ha provveduto allo scrutinio di ammissibilità del gravame e ad autonomo accertamento della sussistenza delle condizioni che, ai sensi dell’art. 327, secondo comma, consentono tale ammissibilità pur dopo la scadenza del termine annuale previsto dal primo comma della medesima norma, così escludendo qualsiasi preclusione derivante dalla sentenza del giudice della revocazione.
La ritenuta correttezza di siffatta esclusione comporta, dunque, col rigetto del primo motivo di ricorso, la necessità di stabilire se sia conforme a diritto la statuizione del giudice di appello concernente la nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, in riferimento alle condizioni che legittimano il ricorso alle modalità di cuiall’art. 143 cod. proc. civ.
Sulla questione implicata dalle censure svolte, al riguardo, col primo motivo di ricorso, la giurisprudenza della Corte ha espresso orientamenti contrastanti.
Secondo un primo orientamento – di cui è precipua espressione la sentenza 4 aprile 1986, n. 2341 – le garanzie del diritto di difesa, dalle quali discende la necessità che le forme della notificazione risultino idonee ad assicurare la conoscibilità, da parte del destinatario, dell’atto notificategli, impongono altresì di ritenere legittimo il ricorso alle forme di cuiall’art. 143 cod. proc. civ.solo in presenza di una situazione di irreperibilità che derivi da comportamento imputabile al destinatario medesimo e non sia superabile se non tramite complesse indagini: donde l’affermazione dell’insufficienza del mancato reperimento di quest’ultimo presso la sua residenza in Italia, a seguito di trasferimento all’estero, quando egli, in conformità a quanto disposto dall’art. 11 delD.P.R. 31 gennaio 1958, n. 136 (e con gli effetti di opponibilità ai terzi di cui all’art. 44 cod. civ. e all’art. 31 disp. att. c.c.), abbia provveduto a far annotare, presso l’anagrafe del comune di detta ultima residenza, lo Stato estero e la nuova località di residenza, mentre è in proposito irrilevante l’omessa indicazione anche dell’indirizzo della nuova abitazione, tenendo conto che essa non è prescritta dalla citata norma, e che comunque si tratta di un dato agevolmente acquisibile, tramite le autorità consolari.
In quest’ordine di idee si collocano anche le sentenze 8 maggio 1978, n. 2221 e 28 marzo 1991, n. 3358; la prima, infatti, ha formulato il principio per cui, qualora dai registri anagrafici risulti che la parte, alla quale deve essere notificato un atto processuale, si è trasferita all’estero, ma non risulti il comune, o l’analoga unità territoriale, del nuovo domicilio, la notificazione viene legittimamente effettuata secondo le forme dell’art. 143 solo ove il giudice del merito abbia accertato, con apprezzamento incensurabile, il vano espletamento di ricerche diligenti da parte del notificante; la seconda – emessa in una fattispecie in cui dai registri anagrafici era risultato che il convenuto era emigrato in Colombia, ma non era emerso neanche in quale città egli si trovasse -, ha ugualmente escluso la validità della notifica eseguita ai sensidell’art. 143 cod. proc. civ.in assenza del compimento di indagini diverse da quelle anagrafiche, concluse con esito negativo.
Di segno opposto è, invece, l’orientamento espresso dalla sentenza 29 novembre 1994, n. 10223, ad avviso della quale il principio secondo cui il ricorso alle modalità di notificazione di cui all’art. 143 cod. proc. civ. (notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuto) è consentito solo se sono state eseguite le ricerche suggerite dall’ordinaria diligenza per individuare un indirizzo presso cui eseguire la notificazione, non comporta l’onere di svolgere indagini nel caso in cui dalle ricerche anagrafiche effettuate nell’ultimo domicilio risulti il trasferimento in una città estera (nella specie, una città australiana), ma non il nuovo indirizzo.
In buona sostanza, mentre il primo dei riferiti orientamenti giurisprudenziali esige, per il ricorso alle formalità di notificazione di cui all’art. 143 cod. proc. civ., la duplice condizione che il difetto di risultanza anagrafica sia imputabile a colpevole inadempimento del destinatario e non superabile con informazioni che il notificante possa assumere facendo uso dell’ordinaria diligenza, l’altro sottolinea la portata, ed i limiti, della nozione di ordinaria diligenza, al cui ambito ritiene estranea, in caso di generica risultanza anagrafica circa il trasferimento all’estero del destinatario, ogni onere del notificante di attivarsi per acquisire la conoscenza dell’esatto indirizzo del destinatario medesimo.
È avviso delle Sezioni unite che debba essere accordata preferenza al primo dei segnalati orientamenti, ancorché per ragioni non pienamente coincidenti con quelle alle quali esso è stato affidato dalle ricordate sentenze, stante l’evoluzione del quadro normativo di riferimento, nel frattempo realizzatosi, anche per effetto della giurisprudenza costituzionale sul regime delle notificazioni.
In particolare, la sentenza n. 2341 del 1986 appare per larga parte improntata alla riconosciuta inesistenza di un obbligo del cittadino che trasferisca all’estero la propria residenza di comunicare all’ufficio anagrafico competente anche il proprio indirizzo.
Questa conclusione, con riguardo al caso di specie, non è più pienamente mutuabile, poiché, attesa la data dell’atto introduttivo del giudizio, il suddetto quadro normativo di riferimento, per le procedure anagrafiche di trasferimento all’estero, si era ormai arricchito delle disposizioni della legge 27 ottobre 1988, n. 470, recante “Anagrafe e censimento degli italiani all’estero”, con la quale sono state istituite le Aire (anagrafi dei cittadini italiani residenti all’estero), tenute dai Comuni e dal Ministero dell’interno sulla base delle schede, individuali e di famiglia, eliminate dall’anagrafe della popolazione residente in dipendenza del trasferimento permanente all’estero delle persone cui esse si riferiscono.
L’art. 2 della legge citata, dopo avere elencato, al comma 1, i casi di iscrizione nelle menzionate anagrafi, tra i quali figura, alla lett. a), il trasferimento della residenza da un comune italiano all’estero, dichiarato o accertato a norma del regolamento di esecuzione dellalegge n. 1228 del 1954, al comma 2 precisa che l’ufficiale di anagrafe annota sulle schede individuali “l’indirizzo all’estero comunicato dall’interessato o comunque accertato”.
L’art. 3 della stessa legge dispone che nelle istituite anagrafi degli italiani residenti all’estero devono essere registrate le mutazioni conseguenti, tra l’altro, alle dichiarazioni, rese dagli interessati, concernenti i “trasferimenti di residenza o di abitazione” che hanno avuto luogo all’estero (lett. a).
Inoltre, l’art. 6, dopo avere stabilito, al comma 1, che i cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza da un comune italiano all’estero devono fame dichiarazione all’ufficio consolare della circoscrizione di immigrazione entro novanta giorni dalla immigrazione, prevede, al comma 2, per i cittadini già residenti all’estero alla data di entrata in vigore della legge, l’obbligo di dichiarare la propria residenza al competente ufficio consolare entro un anno da tale data ed aggiunge, al comma 3, che i cittadini residenti all’estero, in caso di mutamento della residenza o “dell’abitazione”, devono farne dichiarazione entro novanta giorni all’ufficio consolare nella cui circoscrizione si trova la nuova residenza o la nuova abitazione.
Il Regolamento per l’esecuzione dellalegge n. 470 del 1988, approvato conD.P.R. 6 settembre 1989, n. 323, all’art. 4, fa riferimento all’”indirizzo estero”, annoverandolo fra i dati da riportare, “in quanto disponibili”, per ciascuno dei cittadini italiani iscritti nelle Aire, il cui elenco nominativo i comuni, a norma dello stesso art. 4, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del regolamento stesso, devono trasmettere alle competenti prefetture per il successivo inoltro al Ministero dell’interno, ai fini della prima formazione della pane principale dell’anagrafe presso lo stesso Ministero.
Giova, peraltro, porre H luce che, l’acquisizione dei dati rilevanti ai fini della formazione degli schedari di cui sopra, se è in via prioritaria rimessa all’onere del cittadino tenuto alle relative dichiarazioni (delle quali è responsabile ex art. 6 delD.P.R. n. 223 del 1989, anche nel caso di trasferimento all’estero, come emerge dal successivo art. 13, comma 1, lett. a), è, in via sussidiaria, oggetto di una specifica funzione dell’Amministrazione competente, essendo stabilito dall’art.6, comma 5 della legge n. 470 del 1988che, scaduti i termini per la presentazione delle dichiarazioni oggetto dell’onere anzidetto, “gli uffici consolari provvedono ad iscrivere d’ufficio nei predetti schedari i cittadini italiani che non abbiano presentato le dichiarazioni, ma dei quali gli uffici consolari abbiano conoscenza, in base ai dati il loro possesso”. Né è senza rilievo la prevista rilevazione dei cittadini italiani all’estero (che, giusta l’art. 8 della stessa legge, ha luogo contemporaneamente al censimento dei cittadini residenti in Italia), ai fini della quale è del pari prevista un’iniziativa officiosa delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari, cui è demandato di “svolgere ogni opportuna azione intesa ad ottenere la segnalazione da parte delle pubbliche autorità locali dei nominativi e del recapito di cittadini italiani che si trovano nella loro circoscrizione” (art. 13), con conseguente acquisizione di dati dei quali è espressamente stabilita la destinazione, fra l’altro, ad aggiornamento degli schedari dell’Aire (art. 14, terzo comma e art. 18).
Ne emerge, dunque, un sistema che, a differenza di quello esaminato dalla sentenza del 1986, indubbiamente contempla la necessità di registrazione del dato concernente l’indirizzo del cittadino che si trasferisca all’estero o che vi risieda al momento dell’entrata in vigore della legge: necessità soddisfatta per il tramite dei competenti Uffici consolari, quali organi amministrativi destinatari dell’adempimento dell’obbligo di tali cittadini di fornire le informazioni necessarie alla propria reperibilità, ovvero titolari essi stessi del potere – dovere di provvedere agli opportuni accertamenti.
La consultazione dell’Aire è, dunque, il primo ed indispensabile adempimento cui il notificante è tenuto, allorché le risultanze dell’anagrafe ordinaria indichino l’avvenuto trasferimento all’estero del destinatario della notificazione, atteso che tale schedario speciale è lo strumento che, a normadell’art. 44 cod. civ., assume la funzione di rendere opponibili ai terzi i dati dichiarati, nei modi prescritti dalla legge, dai cittadini non residenti, sicché la detta consultazione si configura come un mero completamento di quella iniziata con riguardo ai registri anagrafici dei cittadini residenti nella Repubblica.
Da ciò, tuttavia non è dato trarre la conclusione che il difetto di risultanza anagrafica (ordinaria e speciale) circa l’esatto indirizzo del destinatario all’estero sia condizione sufficiente per esonerare il notificante da qualsivoglia ricerca ulteriore.
Vi ostano due fondamentali ragioni: l’una tutta interna alla disciplina stessa che ha istituito l’obbligo suddetto; l’altra, di carattere sistematico, che induce a negare un effettivo collegamento fra l’inadempimento dell’obbligo gravante sul destinatario e l’ambito della diligenza richiesta al notificante in ordine alla ricerca dei dati di identificazione del luogo in cui il primo può essere raggiunto.
Sotto il primo aspetto, rileva la posizione centrale che nella descritta disciplina assumono ali uffici consolari.
La disposizione per cui, in via sussidiaria, è rimesso al potere – dovere degli stessi Uffici di provvedere all’accertamento diretto dei medesimi dati non comunicati tempestivamente dall’interessato ha un effetto additivo rispetto alle fonti di conoscenza, con conseguente impossibilità di rinvenire nell’inerzia di quest’ultimo la ragione di un’impossibilità pratica di colmare la lacuna informativa del notificante circa quei dati. Correlativamente, passando dal piano pratico a quello giuridico, è plausibile il rilievo che i suddetti Uffici, in quanto collettori dell’informazione destinata ad alimentare i registri anagrafici, sia essa ottenuta per adempimento dell’obbligo suddetto o per iniziativa autonoma degli uffici medesimi, si collocano in una posizione non dissimile da quella delle Amministrazioni competenti alla tenuta di tali registri e, pertanto, rappresentano, anche istituzionalmente, organi che possono essere utilmente aditi per la soddisfazione delle menzionate necessità informative: il che va ribadito anche alla luce del disposto dell’art.67 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, il quale, nel prevedere che presso ogni ufficio consolare è istituito e mantenuto uno schedario il più possibile aggiornato, tenuto conto delle circostanze locali, dei cittadini residenti nella circoscrizione, stabilisce che l’autorità consolare può rilasciare certificazione dei dati risultanti dallo schedario stesso.
Né il ricorso a questa possibile fonte alternativa di acquisizione del dato d’interesse del notificante comporta a carico del medesimo oneri abnormi, trattandosi di uffici esattamente identificati dalla legge, compulsabili senza necessità di osservare procedure complesse ed eventualmente anche per il tramite dell’Amministrazione centrale cui essi fanno capo, nonché con l’ausilio di mezzi elettronici, idonei ad assicurare l’evasione della richiesta in “tempo reale”, come emerge dalle prescrizioni dell’art. 4 delD.P.R. 6 settembre 1989, n. 323, in coerenza col disposto anche dell’art. 74 del citato D.P.R. n. 200 del 1967, che autorizza l’utilizzazione del mezzo telegrafico o telefonico nei rapporti fra l’Amministrazione centrale e l’ufficio consolare che trasmette informazioni.
Per quanto attiene al secondo, e più complesso, aspetto, deve porsi in evidenza che la disciplina della notificazione in generale e, in particolare di quella che governa il caso di destinatario non residente, né dimorante, né domiciliato nella Repubblica, costituisce punto di equilibrio fra esigenze contrapposte, ancorché parimenti presidiate dalle garanzie che l’art. 24 Cost.somministra al diritto di agire in giudizio ed a quello di difendersi dall’altrui azione. Sta, invero, da un lato, la necessità di garantire al notificante, anche in relazione ai termini di prescrizione o decadenza che questi sia eventualmente tenuto ad osservare, il libero e sollecito esercizio dei propri diritti; e, dall’altro, la non minore importanza delle garanzie di effettiva conoscenza dell’atto che devono essere offerte al destinatario, per assicurargli concretamente la possibilità di difendersi dalle pretese svolte nei suoi confronti.
Gli interventi della Corte Costituzionale e del legislatore, susseguitisi sugli artt. 142 e 143, terzo comma ne sono convincente dimostrazione, in quanto concorrono a costituire un sistema strutturato sulla distinzione tra perfezionamento ed efficacia dell’atto, che, già proprio, nei suoi aspetti sostanziali, dell’impianto originario delle norme codificate, si ulteriormente arricchito di precisazioni successive, intese a meglio salvaguardare ora l’interesse all’effettività della conoscenza, ora quello alla speditezza del procedimento.
Così, la dichiarazione di illegittimità costituzionale (sentenza n. 10 del 1978) dell’originario comma terzo dell’art. 143, nella parte in cui non prevedeva che, in ipotesi di notificazione diretta a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nel territorio della Repubblica, la sua applicazione fosse subordinata all’accertata impossibilità di eseguire nei modi consentiti dalle convenzioni internazionali e dal D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200, recante disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari, privilegia, rispetto al principio di conoscenza legale, le esigenze di conoscenza effettiva, attraverso il richiamo alla preliminare rilevanza della disciplina pattizia, generalmente improntata al principio dell’effettività della conoscenza.
Di qui il successivo intervento del Legislatore, che con lalegge 6 febbraio 1981, n. 42, di ratifica ed esecuzione della convenzione relativa alla notifica all’estero di atti giudiziari ed extragiudiziari in materia civile o commerciale, adottata a l’Aja il 15 novembre 19658, ha modificato (articoli 8, 9 e 10) definitivamente il testo degliartt. 142 e 143 cod. proc. civ., inserendo nell’art. 142 un terzo comma, che prevede che “le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano soltanto nei casi in cui risulta impossibile eseguire la notificazione in uno dei modi consentiti dalle convenzioni internazionali e dagli artt.30e75 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200”; e sostituendo il terzo comma dell’art. 143 nel senso che “nei casi previsti dal presente articolo e nei primi due commi dell’articolo precedente, la notificazione si ha per eseguita nel ventesimo giorno successivo a quello in cui sono compiute le formalità prescritte”.
Un riequilibrio a favore delle garanzie di effettività dell’esercizio dei diritti del notificante si è realizzato con la sentenza della Corte Costituzionale n. 69 del 1994, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale, per violazione degliartt. 3 e 24 Cost., del combinato dispostodell’art. 142, terzo comma, c.p.c.dell’art. 143, terzo comma, c.p.c. e dell’art. 680, primo comma, cod. proc. civ.nella parte in cui non prevedono che la notificazione all’estero del sequestro si perfezioni, ai fini dell’osservanza del prescritto termine, con il compimento delle formalità imposte al notificante dalle convenzioni internazionali e dalla legge consolare.
E la stessa Corte Costituzionale, con la successiva sentenza n. 358 del 1996 (nel rigettare la questione di legittimità costituzionale, sollevata per contrasto con l’art. 3 Cost.) e l’art. 24 Cost.,dell’art. 669-octies cod. proc. civ., nella parte in cui prevede che in ipotesi di rilascio “ante causam” della misura cautelare, il giudizio di merito debba essere instaurato entro il termine stabilito dal giudice e comunque non superiore a trenta giorni, senza distinzione a seconda che la notifica dell’atto di citazione debba essere effettuata in Italia oppure all’estero) ha specificato che il meccanismo della notificazione all’estero, sotto l’aspetto funzionale, è stato modificato dalla intervenuta declaratoria di illegittimità di cui alla citata sentenza n. 69 del 1994, la quale assume una valenza generale poiché trascende la specifica fattispecie oggetto di quel giudizio e coinvolge il complessivo sistema notificatorio degli atti processuali risultante dagliartt. 142 e 143 cod. proc. civ. delimitandone l’ambito di operatività, le modalità ed i momenti di perfezionamento a seconda dei soggetti coinvolti e, soprattutto, a prescindere dal contenuto degli atti stessi.
Si riconosce, dunque, elevato a principio fondamentale della materia l’anticipazione del perfezionamento dell’atto, nei riguardi della parte notificante, al compimento delle formalità volta a volta indicate dalla legge – e, in particolare, dalle convenzioni internazionali vigenti in materia – con persistente operatività della suesposta regola della scissione tra il detto perfezionamento e la successiva efficacia dell’atto nei confronti del destinatario e con riguardo alla esigenza di operare un bilanciamento dei valori tutelati dalla Costituzione, ponendo quale limite al concreto esercizio del diritto di difesa del destinatario la esigenza dell’istante al rituale e spedito svolgimento del processo, che si estrinseca in un sistema idoneo ad una più agevole notificazione degli atti.
Del resto, seguendo la “ratio” della necessità di assicurare un siffatto bilanciamento, la Corte Costituzionale, già con la sentenza n. 213 del 1975, aveva espressamente formulato il principio secondo il quale nel processo civile, a differenza di quanto accade nel processo penale, “il diritto di difesa di ciascuna parte va contemperato con quello dell’altra, cosicché, con riguardo alle notifiche, a ragione vengono tenuti presenti non solo gli interessi del destinatario dell’atto, ma anche le esigenze del notificante, sul quale possono gravare oneri di notifica entro termini di decadenza”.
Orbene, identica “ratio” appare sottesa alla giurisprudenza di questa Corte sull’interpretazione dell’art. 143 cod. proc. civ., improntata a costante affermazione del principio per cui, al fine della validità della notificazione eseguita secondo questa norma, occorre che la conoscenza del luogo di residenza, dimora o domicilio del notificando sia oggettivamente impossibile per il notificante, nel senso che l’ignoranza di tali dati non sia superabile con l’impiego dell’ordinaria diligenza, la quale comporta la necessità di ricerche e richieste di informazioni suggerite dal caso concreto, non limitabili alla riscontrata insufficienza delle risultanze anagrafiche (si vedano, fra le tante, Cass., 26 marzo 2001, n. 4339; Id., 3 febbraio 1998, n. 1092; Id., 2 maggio 1997, n. 3799; Id., 18 luglio 1997, n. 6618; Id., 10 luglio 1997, n. 6257; Id. 20 dicembre 1996, n. 11428; Id., 25 novembre 1995, n. 12223; Id., 13 maggio 1991, n. 5329).
In effetti, come le contrapposte esigenze cui deve assicurare soddisfazione il procedimento notificatorio confluiscono e si contemperano nell’operatività della regola della scissione del momento del perfezionamento rispetto a quello dell’efficacia, così si esclude un rapporto di causalità – dipendenza fra l’onere (di colui che voglia rendere opponibile ai terzi la propria reperibilità in un determinato luogo) di provvedere ad un’apposita dichiarazione finalizzata alle opportune annotazioni in pubblici registri e l’onere del notificante di ricercare diligentemente i dati personali del destinatario della notificazione, anche al di là di tali annotazioni: i comportamenti richiesti ai soggetti portatori delle esigenze suddette rilevano su piani diversi, essendo il puntuale assolvimento del proprio onere, da parte del destinatario, funzionale alla realizzazione delle condizioni in presenza delle quali deve farsi luogo a formalità di notificazione che meglio assecondano la realizzazione dell’effettiva conoscenza dell’atto; mentre l’onere, imposto al notificante di provvedere alla suddetta ricerca è strumentale all’interesse al perfezionamento del procedimento notificatorio, anche con eventuale ricorso a formalità che, rispetto all’esigenza dell’effettività della conoscenza, privilegino questo stesso interesse, con compressione dei diritti di difesa del destinatario che non avrebbe ragion d’essere qualora, nonostante l’esito negativo della consultazione dei registri, ancorché determinato dalla negligenza del destinatario medesimo, rimanessero sperimentabili, ma inesplorate, ulteriori possibilità di ricerca, richiedenti l’impiego di normale diligenza, non diversa da quella implicata da siffatta consultazione.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, può, conclusivamente affermarsi in via di principio che, sebbene la disciplina degli adempimenti anagrafici dovuti dal cittadini italiani che trasferiscano all’estero la propria residenza risulti improntata al principio dell’acquisizione anche del dato costituito dall’indirizzo dell’interessato e della disponibilità del medesimo attraverso i registri dell’AIRE, il difetto di risultanze anagrafiche relative ad esso, ancorché imputabile, in via prioritaria, ad inerzia del destinatario di una notificazione, non legittima, per questo solo fatto il notificante al ricorso alle formalità di notificazione di cuiall’art. 143 cod. proc. civ., che resta, invece, subordinato all’esito negativo di ulteriori ricerche eseguibili con l’impiego dell’ordinaria diligenza presso l’Ufficio consolare di cui all’art.6 della legge 27 ottobre 1988, n. 470, che costituisce non solo il tramite istituzionale attraverso il quale il contenuto informativo dell’adempimento degli obblighi di dichiarazione del cittadino all’estero perviene alle amministrazioni competenti alla tenuta dei menzionati registri, ma anche l’organo cui competono poteri sussidiari di accertamento e rilevazione, intesi a porre rimedio alle lacune informative derivanti dall’inerzia suddetta.
Le statuizioni della sentenza impugnata, in punto di nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio eseguita ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., senza alcuna preventiva indagine presso i competenti uffici consolari, si palesano, dunque, conformi al diritto, con conseguente infondatezza anche del primo motivo del ricorso.
Il ricorso stesso va, pertanto, va rigettato.
Il contrasto di giurisprudenza esistente sull’esaminata questione costituisce giusto motivo di compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma il 21 febbraio 2002.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 10 MAGGIO 2002.
(*) ndr: così nel testo.