Riunione Giunta Esecutiva del 23.01.2021

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva assieme al Consiglio Generale che si svolgerà sabato 23 gennaio 2021 alle ore 8:00, in modalità webinar, in prima convocazione, e alle ore 10:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
3. Approvazione Bilancio Consuntivo 2020;
4. Approvazione Bilancio Preventivo 2021;
5. Attività formativa 2021;
6. Varie ed eventuali.

Leggi: Documentazione

Leggi: GE 23 01 2021 Verbale


Riunione del Consiglio Generale del 23.01.2021

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà sabato 23 gennaio 2021 in modalità webinar alle ore 8:00  in prima convocazione, e alle ore 10:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
  3. Approvazione Bilancio Consuntivo 2020;
  4. Approvazione Bilancio Preventivo 2021;
  5. Attività formativa 2021;
  6. Varie ed eventuali.

Leggi: Documentazione
Leggi: Verbale CG del 23 01 2021


Comm. trib. prov. Lazio Roma, Sez. XX, Sent., 16/12/2020, n. 10571

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI ROMA

VENTESIMA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

CAPOZZI RAFFAELE – Presidente

ANTONIANI GINA – Relatore

VELLETTI MONICA – Giudice

ha emesso la seguente

ORDINANZA

– sul ricorso n. 4910/2019

spedito il 05/04/2019

– avverso CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IVA-ALIQUOTE 2018

contro:

AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE ROMA 2

– avverso CARTELLA DI PAGAMENTO n. (…) IVA-ALIQUOTE 2018

contro:

AG.ENTRATE – RISCOSSIONE – ROMA

VIA GIUSEPPE GREZAR 14

proposto dal ricorrente:

E. S.R.L.

R. in data

difeso da:

PARISELLA MASSIMO

PIAZZA STROZZI, 30 00195 ROMA RM

Svolgimento del processo
La società E. s.r.l., C.F. (…), rappresentata e difesa come in atti, proponeva ricorso avverso la cartella di pagamento n. (…), notificata a mezzo pec dal’A.E.R. S.p.A. R. in data 7.01.2019 riportante la richiesta di imposte tributarie con la quale era stato intimato il pagamento di complessivi Euro 611.081,86.

La ricorrente sollevava, in via preliminare, la questione della nullità della notifica a mezzo pec dell’atto impugnato per violazione della normativa in materia di notifica degli atti a mezzo posta certificata come ampiamente esposto e, in sede di memoria contestava la nullità della notifica effettuata da indirizzo pec non ufficiale. Eccepiva, inoltre, l’illegittimità delle sanzioni iscritte a ruolo e nel merito, l’illegittimità della pretesa impositiva da parte dell’Ente impositore.

Con memoria telematica del 10.06.2019, si costituiva l’Agente della Riscossione eccependo, preliminarmente, l’omessa chiamata in causa dell’Ente impositore. Eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine alle eccezioni riguardanti l’attività dell’Ente impositore; l’infondatezza dell’eccepita illegittimità della notifica della cartella di pagamento a mezzo pec perché eventuali irregolarità erano state sanate ex art. 156 E 160 c.p.c.; sosteneva la legittimità della notifica della cartella di pagamento avvenuta a mezzo pec perché eseguita nel rispetto della normativa speciale regolante la specifica materia della riscossione dei tributi, come da referto che produceva in atti unito con l’estratto di ruolo della cartella di riferimento.

Concludeva per il rigetto del ricorso e vittoria di spese a carico della parte soccombente.

In data 8.08.2019 si costituiva in giudizio con intervento volontario ex art. 14 del D.Lgs. n. 546 del 1992, l’Agenzia delle Entrate DP II di Roma la quale, nel merito, affermava la legittimità dell’iscrizione a ruolo dell’imposta dichiarata e non versata e che le ragioni addotte dalla ricorrente erano infondate perché il mancato pagamento del debito della società M.N.R., debitrice della ricorrente, non era causa di forza maggiore per il mancato versamento dell’Iva dichiarata e non versata, stante anche l’assenza di prova attestante azioni di recupero delle somme nei confronti della sopra citata società. Concludeva con la richiesta di rigetto del ricorso e vittoria di spese.

In data 2.03.2020, la ricorrente presentava memoria di replica chiedendo termine per la notifica del ricorso all’Ente impositore e nel merito precisava che oggetto della controversia era l’applicazione delle sanzioni le quali, a dire della ricorrente, avrebbero dovute essere contestate alla società M.N.. Insisteva nelle eccezioni sollevate e ne chiedeva l’accoglimento. In data 14.02.2020 parte ricorrente depositava nomina di nuovo difensore.

La cartella di cui trattasi era stata notificata da “AVI Lazio notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it (cfr. copia allegata dall’AdER).

In data 2.11.2020, la ricorrente depositava memoria stante il deposito d’intervento volontario art.14 D.Lgs. n. 546 del 1992 dell’Agenzia delle Entrate. Nella memoria la ricorrente ripercorreva il succedersi delle circostanze e degli accadimenti che avrebbero causato la non tempestività del versamento IVA di cui si discuteva. A supporto depositava CTP asseverata e insisteva nella illegittimità delle sanzioni. Concludeva per l’accoglimento del ricorso, e per l’effetto dichiarare nullo e/o annullare l’atto impugnato, con ogni conseguenza di legge, considerando che l’Iva dovuta era stata interamente versata, con vittoria di spese ed onorari, e distrazione degli stessi a favore del difensore, che qui si dichiarava antistatario, ex art. 93 c.p.c.

All’udienza del 30.09.2020 Il Collegio rinviava la discussione del ricorso al 2.12.2020 dando termine alle parti fino al 15.11.2020 per deposito di memorie difensive.

In data 8.10.2020 la DP II di Roma presentava memoria sostenendo che dopo la costituzione in giudizio, la ricorrente provvedeva a versare tramite delega di pagamento F24 a saldo zero, la sola imposta IVA a debito in data 24.09.2020, ovvero pochi giorni prima dell’udienza presso la Commissione adita, fissata per il 30.09.2020 e rinviata al 02.12.2020.

Alla luce di questa operazione, l’Ufficio faceva presente che detta delega di pagamento, che tra l’altro non includeva le sanzioni per il mancato versamento dell’IVA in dichiarazione, non poteva essere considerata utile ai fini di una soluzione della controversia in quanto, in presenza di una cartella di pagamento (oggetto del presente ricorso), la controparte avrebbe dovuto effettuare il versamento direttamente all’Agente della Riscossione secondo le loro modalità e non con il modello F24. D’Altro canto voleva rappresentare che, trattandosi, come detto, di un F24 a saldo zero, la ricorrente poteva tranquillamente richiedere all’Ufficio l’annullamento della delega di pagamento.

Alla luce di quanto esposto, l’Ufficio riteneva che la cartella di pagamento doveva essere ancora considerata valida, in quanto, alla data del deposito della memoria, ancora non estinta.

Concludeva per il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese di giudizio.

In data 2.11.2020 la ricorrente presentava memoria con allegata relazione tecnica asseverata al fine di dimostrare e documentare la causa di forza maggiore sopravvenuta nel periodo d’imposta in contestazione e le contrazioni subite al fine di versare, anche se tardivamente l’imposta dichiarata e non versata. A tal fine chiedeva la non applicazione delle sanzioni non sussistendo colpa e/o dolo che avrebbero potuto orientare l’Ufficio per l’applicazione.

La data della trattazione è stata tempestivamente notificata alle parti costituite nel domicilio eletto, ai sensi di quanto previsto dall’art. 31 del D.Lgs. n. 546 del 1992, come verificato preliminarmente dalla Commissione.

A seguito della trattazione del ricorso il Collegio ha deciso come da dispositivo.

Motivi della decisione
In via preliminare deve essere esaminata la validità della notifica della cartella di pagamento impugnata stante l’eccepita nullità da parte della società ricorrente la quale, oltre ai vizi propri eccepiti in sede di ricorso, con la memoria di replica, effettuata la verifica sulla documentazione prodotta dall’AdER, aveva eccepito anche la nullità della notifica a mezzo pec non istituzionale.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, ha stabilito che anche per le notifiche a mezzo pec si applica il condiviso e consolidato orientamento giurisprudenza della stessa Corte, secondo cui “il principio, sancito in via generale dall’articolo 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali – pertanto – la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario” (Cass., sez. lav. n. 13857 del 2014;). Il risultato dell’effettiva conoscenza dell’atto che consegue alla consegna telematica dello stesso nel luogo virtuale, ovverosia l’indirizzo di PEC espressamente a tale fine indicato dalla parte nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, determina infatti il raggiungimento dello stesso scopo perseguito dalla previsione legale del ricorso alla PEC. La Corte ha, inoltre, precisato che : ” è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte”. Corte Cassazione SS. UU. n. 7665/2016.

Ammettendo la legittimità della notifica della cartella di pagamento a mezzo pec anche con estensione diversa da quella voluta dal legislatore, tale notifica deve essere, comunque, ritenuta illegittima nei confronti della ricorrente dacché, come si evince dall’allegata relata di notifica, era proveniente da notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it, indirizzo PEC non presente nei pubblici registri validi ex lege ai fini in esame.

In proposito, infatti, va qui ribadito, a seguito della produzione documentale di controparte, che è insanabilmente viziata e nulla tale notifica, in quanto l’Ente della Riscossione, in qualità di soggetto notificante, non ha utilizzato la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, di cui all’elenco ufficiale “IPA” (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), ossia protocollo@pec.agenziariscossione.gov.it, bensì un ignoto indirizzo notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it che la giurisprudenza di merito e di legittimità ha già ritenuto irrituale e illegittima.

In tema di notifica a mezzo PEC, d’altronde, l’art. 16-ter del D.L. n. 179 del 2012, convertito in L. n. 221 del 2012 recita: “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 4 e 16, comma 12, del presente decreto”, ovvero “IPA”, “Reginde”, “Inipec”.

Detta illegittimità – identica a quella del caso de quo – è stata rilevata proprio dalla Commissione Tributaria Provinciale Roma – Sez. 38 -Sentenza 601/2020 del 17.01.2020: “”in effetti l’ufficio ha depositato in atti copia della relata della pec del 15/2/2018 con cui ha notificato dall’indirizzo PEC notifica.acc.lazio@pec. agenziariscossione.gov.it” la cartella per cui è lite.

Peraltro detto indirizzo non è oggettivamente e con certezza riferibile all’A.E.R., non risultando nell’elenco del Reginde (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici gestito dal Ministero della Giustizia) – né nella pagina ufficiale del sito internet di Agenzia Entrate Riscossione, né nella pagina della CCIAA.

La notifica della cartella esattoriale è insanabilmente nulla (nella forma giuridica della nullità), in quanto l’Ente della Riscossione, in qualità di soggetto notificante, non aveva utilizzato la PEC attribuita all’Agenzia delle Entrate – Riscossione.

In conclusione, dai documenti versati in atti è emerso il fatto storico inconfutabile che la cartella di pagamento è state trasmesse da un indirizzo PEC differente da quello contenuto nel pubblico registro (IPA) per la notifica dei provvedimenti esattivi di natura tributaria; tale scenario risulta in contrasto con la richiamata normativa, pertanto la contestata notifica deve ritenersi priva di effetti giuridici e di conseguenza gli atti impugnati sono nulli”.

La giurisprudenza di merito citata dalla ricorrente è stata ribadita dalla Suprema Corte in materia di notifica di atti civili, con la recente ordinanza n. 17346/19, dove ha osservato che la notifica effettuata con modalità telematiche è da considerarsi viziata, se il notificante utilizza il proprio “indirizzo di posta elettronica certificata” non risultante da pubblichi elenchi, a mente dell’art. 3-bis, L. n. 53 del 1994.

L’AdER n sede di memoria di costituzione in giudizio non ha documentato la legittimità della notifica dell’atto impugnato nei modi e nelle forme previste dal legislatore ma ha solo depositato la copia dell’avvenuta spedizione e consegna dell’atto nell’indirizzo pec del contribuente.

Ritiene il Collegio che è da disattendere l’invocata sanatoria da parte dell’AdER ex art. 156 c.p.c. della notifica dell’atto opposto perché la notifica a mezzo PEC da sito non ufficiale degli atti tributari sostanziali e processuali è inesistente e come tale non suscettibile di alcuna sanatoria.

Dalla documentazione da questa prodotta a sostegno della propria tesi, ovvero che l’atto sarebbe stato notificato all’indirizzo pec indicato dal contribuente, emerge chiaramente che l’eccezione non è quella a cui ha risposto bensì dimostra che il notificante non ha utilizzato il proprio sito ufficiale ovvero protocollo@pec.agenziaricossione.gov.it.

Da quanto sopra ne consegue che l’eccezione di nullità della notifica della cartella di pagamento sopra esaminata è pregiudiziale/preliminare ed assorbente di ogni altra questione sottoposta all’esame di questo Collegio. Il ricorso deve essere accolto. Le spese del giudizio, seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo

P.Q.M.
La Commissione accoglie il ricorso stante la nullità della notifica della cartella di pagamento.

Condanna l’AdER al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.600,00 oltre accessori, in favore della ricorrente.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

 


Buon Natale e Felice Anno Nuovo 2021


Cons. Stato, Sez. VI, Sent., (data ud. 13/10/2009) 10/12/2009, n. 7722

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 10911 del 2003, proposto da:

D.A., rappresentata e difesa dall’avv. Gaetano Sciannamea, con domicilio eletto presso Dario Piccioni in Roma, via Emilia, 81;

contro

Università degli Studi di Bari, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del TAR PUGLIA – BARI:Sezione I n. 03931/2002, resa tra le parti, concernente INQUADRAMENTO NELLA QUALIFICA FUNZIONALE DI COLLABORATORE AMMINISTRATIVO.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2009 il Consigliere di Stato Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avv.to Piccioni per delega dell’avv.to Sciannamea e l’avv.to dello Stato Nicoli;

Svolgimento del processo
1. La legge 21 febbraio 1989, n. 63, ha previsto per il personale non docente delle Università, assunto o inquadrato dopo il 1° luglio 1979 e che non aveva quindi beneficiato della legge n. 312 del 1980, la possibilità di essere inquadrato sulla base delle mansioni effettivamente svolte, disponendo allo scopo la valutazione da parte dell’Amministrazione della “Congruenza tra il profilo per il quale è presentata la domanda e l’organizzazione del lavoro propria della struttura presso la quale gli aventi titoli prestano servizio” (art. 1, comma 3).

2. In applicazione di questa normativa la ricorrente in epigrafe, dipendente dell’Università degli studi di Bari, inquadrata nella IV qualifica funzionale, profilo professionale di agente amministrativo (area amministrativocontabile), con istanza presentata al Consiglio di amministrazione dell’Università, ha chiesto di essere inquadrata nella settima qualifica funzionale, profilo collaboratore amministrativo.

3. L’istanza è stata rigettata venendo comunicato alla ricorrente, con nota n. 22016 del 29 luglio 1992, che “il Consiglio di Amministrazione di questa Università, nella seduta del 28.2.1992 ha deliberato che il profilo chiesto di Collaboratore Amministrativo per il quale la S.V. ha prodotto istanza, il giorno 18.11.1991, di inquadramento, non è congruente con l’organizzazione del lavoro propria della struttura presso la quale Ella presta o ha prestato servizio. Lo stesso Consiglio, inoltre, nella medesima seduta ha ritenuto congruo il profilo professionale di Assistente amministrativo per il quale la S.V. ha prodotto istanza in via subordinata.”

4. Con ricorso n. 3397 del 1992, presentato al TAR per la Puglia, la ricorrente ha chiesto l’annullamento del provvedimento di diniego all’inquadramento adottato dal Consiglio di amministrazione dell’Università degli studi di Bari nella seduta del 28 febbraio 1992.

5. Il TAR, sentenza n. 3931 del 2002, ha respinto il ricorso nulla pronunciando sulle spese non essendosi costituita in giudizio l’Amministrazione resistente.

Nella sentenza, quanto alla considerazione delle mansioni svolte dalla ricorrente, richiamata l’attinenza al merito della valutazione di congruità dell’Amministrazione prevista dalla legge, e perciò la sua insindacabilità da parte del Giudice amministrativo se non per manifesti errori di fatto o per profili di eccesso di potere, si afferma che tali mansioni, come attestate dai superiori, non rivestono le caratteristiche di autonomia e di complessità proprie della VII qualifica funzionale e, quanto alla disparità di trattamento, asserita dalla ricorrente a causa dell’attribuzione della VII ed VIII qualifica funzionale a dipendenti appartenenti alla IV qualifica in servizio presso la medesima struttura e svolgenti le sue stesse mansioni, si afferma che il giudizio sfavorevole sulla richiesta della ricorrente non è stato adottato per il mancato riconoscimento all’interno della struttura di attribuzioni funzionali corrispondenti alla VII o VIII qualifica ma sulla base di valutazioni attinenti alle mansioni da ciascuno effettivamente svolte.

6. Con l’appello in epigrafe si censura la sentenza di primo grado, chiedendone l’annullamento, per non aver riconosciuto:

lo scorretto esercizio della discrezionalità da parte dell’Amministrazione a fronte delle mansioni effettivamente svolte dalla ricorrente, alla quale sono stati reiteratamente affidati incarichi richiedenti autonomia, qualificazione e complessità propri della VII qualifica funzionale, come ampiamente provato dalla documentazione prodotta in giudizio;

la intervenuta disparità di trattamento a causa dell’attribuzione della VII qualifica funzionale a colleghi della ricorrente, anche inizialmente appartenenti alla IV qualifica ed esercitanti mansioni del tutto identiche a quelle da lei svolte, come sarebbe definitivamente provato dalla documentazione al riguardo, incluse le “schede” redatte per ciascuno dall’Amministrazione sullo svolgimento delle mansioni superiori; documentazione richiesta in primo grado, non depositata dall’Amministrazione e di cui si reitera la richiesta con il ricorso in esame.

7. Il Collegio nell’udienza del 10 marzo 2009 ha ritenuto necessaria, ai fini del decidere, l’acquisizione di documentazione da parte dell’Università degli Studi di Bari e ha perciò disposto, con ordinanza istruttoria n. 2770 del 2009, il deposito da parte dell’Università presso la Segreteria della Sezione, nel termine di sessanta giorni decorrenti dalla comunicazione della decisione, o dalla sua notifica se anteriore, di copia conforme:

della scheda di rilevazione delle mansioni svolte dall’appellante redatta al fine dell’inquadramento nelle qualifiche funzionali in applicazione del procedimento di cui all’articolo 1 e seguenti della legge n. 63 del 1989;

delle schede di rilevazione delle mansioni svolte da altri dipendenti, inizialmente inquadrati nella IV qualifica funzionale al pari dell’appellante, ed inquadrati, ad esito del procedimento suddetto, nella VII qualifica funzionale (come sarebbe, si asserisce nell’appello, per i signori Iozzia e Pizzi) o in qualifica superiore;

di ogni ulteriore documentazione, verbale, atto e provvedimento afferenti allo svolgimento e conclusione dei procedimenti attuati per l’inquadramento dell’appellante e dei dipendenti suddetti ai sensi della normativa di legge citata.

Con la medesima ordinanza l’udienza per la trattazione è stata fissata al 13 ottobre 2009.

8. In data 10 luglio 2009 è pervenuta documentazione da parte dell’Università degli Studi di Bari, accompagnata dalla precisazione che l’art. 1 della legge n. 63 del 1989 “non prevedeva né la redazione né tantomeno la valutazione di alcuna scheda di “rilevamento mansioni” utilizzabile ai fini dell’inquadramento del personale tecnicoamministrativo delle Università nella qualifica superiore” e che i sig.ri Iozzia Giovanni e Pizzi Ada “a far tempo dal 1.1.90, entrambi sono transitati al Politecnico di Bari”.

In date 3 settembre e 1° ottobre 2009 la ricorrente ha depositato ulteriore documentazione (in particolare, copia dei decreti rettorali, adottati a partire dal 4.7.2001, con i quali è stata delegata a rappresentare l’Università con il potere di conciliare in controversie in materia di lavoro) e memoria difensiva.

9. All’udienza del 13 ottobre 2009 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione
1. Le censure dedotte in appello non sono fondate.

Infatti:

a) nel contesto della normativa di cui alla legge n. 63 del 1989 per il raffronto fra le mansioni svolte e le qualifiche richieste si fa riferimento alla declaratoria di tali qualifiche data con il D.P.C.M. 24 settembre 1981, nel quale le mansioni proprie nell’area amministrativocontabile della VI qualifica (profilo di Assistente amministrativo) e della VII qualifica (profilo di Collaboratore amministrativo) sono caratterizzate, le prime, dall’espletamento “con autonomia operativa” di “procedure attinenti il curriculum degli studenti, le carriere del personale, l’istruzione di atti amministrativi per le quali sono richieste conoscenze teoricopratiche necessarie per la corretta applicazione di norme, nell’ambito di istruzioni ed elaborazioni da parte di appartenenti a qualifiche superiori”, e, le seconde, dalla esecuzione diretta di “procedure complesse in particolare quelle che sono soggette a frequente variabilità”, nonché dalla “esperienza per l’espletamento completo del lavoro affidato all’unità operativa”, con responsabilità di fronte ai superiori “degli atti istruttori assegnati” a tale unità.

b) le mansioni della VII qualifica attingono perciò un grado di complessità superiore a quelle proprie della VI per il contenuto delle procedure da svolgere, in particolare a ragione della loro variabilità e della competenza e responsabilità richieste, poiché relative non soltanto alla propria prestazione ma anche all’esperienza del lavoro dell’unità operativa nel suo complesso e comportanti responsabilità diretta di fronte ai superiori;

c) a fronte di ciò le mansioni indicate dalla ricorrente in primo grado e richiamate nel ricorso in esame, consistono nella istruttoria delle pratiche per il recupero crediti e per l’ammortamento titoli, con l’attivazione dei relativi contatti con gli uffici interessati, nella redazione di certificati per docenti medici convenzionati, nell’aver curato con autonomia il servizio di spedalità, nell’assunzione di informazioni e certificati in processi civili e penali, nella predisposizione di atti di ammissione al passivo fallimentare, nella rappresentanza in giudizio dell’Università in un procedimento per adeguamento canoni;

d) la ricorrente cita altresì gli incarichi di rappresentanza dell’Università in giudizi per controversie di lavoro e davanti al Collegio di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro di Bari, nonché di redazione, con altri, della bozza di regolamento sulle modalità e criteri per i controlli a campione sulle autocertificazioni, che, sulla base della loro elencazione nel ricorso di primo grado e della documentazione in atti, risultano attribuiti dopo l’adozione del provvedimento impugnato;

e) di conseguenza è corretta l’affermazione della sentenza di primo grado per cui le mansioni sopra indicate, allegate dalla ricorrente ai fini del procedimento di cui all’art. 1 della legge n. 63 del 1989, non sono coerenti con la descrizione di quelle proprie della VII qualifica, riguardando compiti di certo comportanti l’autonomia operativa e le conoscenze teoricopratiche proprie delle attività della VI qualifica ma non caratterizzati dall’ulteriore grado di autonomia proprio delle mansioni della VII, non potendo i compiti suddetti definirsi di esecuzione di procedure complesse, né in linea generale, né quanto all’adattamento delle conoscenze ed esperienze a fattispecie variabili ovvero all’assunzione di responsabilità dirette di fronte ai superiori rispetto all’operato dell’unità operativa di appartenenza;

f) sulla questione dell’asserita disparità di trattamento, al cui approfondimento è stata volta la richiesta istruttoria fatta con ordinanza all’Amministrazione, si rileva che nella documentazione pervenuta figura l’attestazione delle mansioni svolte dalla signora Ada Pizzi resa, il 4 gennaio 1991, dal Direttore della divisione presso cui la signora era impiegata al Presidente della Commissione istruttoria insediata ai sensi dell’art. 1 della legge n. 63 del 1989; attestazione che il Collegio ritiene di poter esaminare a raffronto con quelle, depositate in giudizio, dei responsabili degli uffici presso cui ha operato la ricorrente (in particolare a firma dei dott.ri Marabello, Squeo, De Santis e Terlizzi, di data 25 e 26 gennaio 1990, 23 maggio e 10 luglio 1991), in quanto anch’esse sottoposte alla Commissione dalla ricorrente con l’istanza di inquadramento e recanti la descrizione di compiti richiamata nel precedente punto c);

g) le mansioni attestate per la signora Pizzi risultano ascrivibili alla VII qualifica poiché svolte attraverso la redazione di pareri giuridici per gli organi decisionali dell’Università e per i superiori, la gestione di controversie di lavoro con l’elaborazione di proposte di soluzione, la composizione di controversie con ditte fornitrici, l’esame di questioni relative all’edilizia e problematiche connesse, la completa istruttoria delle pratiche con assunzione di diretta responsabilità al riguardo nei confronti dei superiori gerarchici in assenza del capo ufficio: procedure, perciò, tutte complesse caratterizzate dalla necessità di ricerca dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale e da variabilità del contesto di riferimento, come anche attestato;

h) dovendosi concludere, sulla base delle considerazioni svolte, per la legittimità del provvedimento impugnato e per la correttezza dell’affermazione, fatta nella sentenza di primo grado, per cui il giudizio sfavorevole sulla richiesta della ricorrente non è stato adottato per il mancato riconoscimento all’interno della struttura di attribuzioni funzionali corrispondenti alla VII o VIII qualifica ma sulla base di valutazioni attinenti alle mansioni da ciascuno effettivamente svolte.

3. Alla luce di quanto sopra il ricorso risulta infondato e deve perciò essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge il ricorso in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2009 con l’intervento dei Signori:

Claudio Varrone, Presidente

Luciano Barra Caracciolo, Consigliere

Domenico Cafini, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore

Bruno Rosario Polito, Consigliere


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 10/09/2020) 07/12/2020, n. 27976

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Metaflor Srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa a margine del ricorso, dall’Avv.to Paolo Vitiello, che ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore, alla via G. Bruno n. 1/3 in Lugo (RA), domicilio presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 254, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata il 27.6.2013 e pubblicata il 5.7.2013;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere Paolo Di Marzio;

la Corte osserva.

Svolgimento del processo
l’Agenzia delle Entrate notificava alla Srl Metaflor la quale aveva dichiarato, in relazione all’anno 2006, perdite nell’ammontare di Euro 4.427,00, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con il quale rettificava il reddito ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, nell’ammontare di Euro 371.368,00, in particolare in considerazione del possesso di immobilizzazioni per un valore di 3.094.737,00 Euro. La società aveva invero domandato all’Ente impositore la disapplicazione dell’indicata normativa antielusiva relativa alle c.d. società di comodo, ma l’Agenzia delle Entrate aveva respinto la richiesta ritenendo insussistenti i presupposti per il suo accoglimento.

La Srl Metaflor impugnava l’avviso di accertamento notificatole innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Matera, evidenziando che la società non svolgeva attività produttiva da diversi anni, essendo stata aggredita dai creditori, che avevano anche conseguito il pignoramento di beni strumentali e terreni. In conseguenza era stata posta in liquidazione per atto di notaio nell’ottobre 2002, ed aveva ceduto in comodato i beni aziendali per evitarne il deterioramento.

La CTP accoglieva il ricorso della contribuente, ritenendo che “la società contribuente non era in grado di svolgere qualsiasi attività in pendenza di numerose procedure esecutive immobiliari” (sent. CTR, p. 2).

Avverso la decisione adottata dalla CTP proponeva appello l’Ente impositore innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, sostenendo che dovesse trovare applicazione la normativa dettata per le società di comodo, perchè la contribuente era in condizione di produrre reddito ed aveva invece preferito, con scelta volontaria e discrezionale, cedere in comodato gratuito i suoi beni, ed in ogni caso non aveva fornito la prova, che su di essa incombeva, di non essere in condizione di produrre profitti. La CTR riteneva effettivamente non essere stata fornita dalla società la prova dell’impossibilità di conseguire profitti per ragioni obiettive nell’anno 2006 e, stimando correttamente applicati dall’Agenzia delle Entrate i criteri legali di quantificazione del reddito, accoglieva il ricorso proposto dall’Ente impositore ed affermava pertanto la validità ed efficacia dell’avviso di accertamento notificato alla società.

Avverso la decisione adottata dalla CTR della Basilicata ha proposto ricorso per cassazione la Srl Metaflor, affidandosi a due motivi di ricorso. Resiste mediante controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Motivi della decisione
Preliminarmente occorre esaminare la contestazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, proposta dalla controricorrente Agenzia delle Entrate per essere stato notificato “direttamente all’Ufficio periferico e non al direttore dell’Agenzia delle Entrate” (controric., p. 7). In proposito, integrando quanto già affermato dal Giudice di legittimità, può indicarsi il principio di diritto secondo cui “la notifica del ricorso per cassazione può essere effettuata dal contribuente, alternativamente, presso la sede centrale dell’Agenzia o presso i suoi uffici periferici, in tal senso orientando l’interpretazione sia il carattere unitario della stessa Agenzia delle Entrate, sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi d’inammissibilità, sia il carattere impugnatorio del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte necessaria all’organo che ha emesso l’atto o il provvedimento impugnato” (cfr. Cass. sez. V, 14.1.2015, n. 441, Cass. SU, 14.2.2006, nn. 3116 e 3118). Merita ancora di essere segnalato, peraltro, come questa Corte abbia già avuto occasione di affermare anche il principio secondo cui “nel processo tributario la nullità della notificazione del ricorso introduttivo (ovvero dell’atto di gravame) è sanata con efficacia retroattiva dalla costituzione della parte resistente od appellata, anche quando sia avvenuta al solo fine di eccepire la suddetta nullità”, Cass. sez. V, 4.4.2008, n. 8777.

1.1. – Mediante il suo primo motivo di ricorso la contribuente contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 734 del 1994, art. 30, commi 1, 4, e 4-bis, in cui è incorsa l’impugnata CTR, per aver ritenuto applicabile alla fattispecie la normativa in materia di società non operative, trascurando che in relazione alla Srl Metaflor sussistevano le condizioni per la disapplicazione della normativa, che era stata pure esplicitamente richiesta dalla contribuente.

1.2. – Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della impugnata sentenza pronunciata dalla CTR della Basilicata a causa della contraddittorietà della motivazione e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, critica il vizio di motivazione, in cui è incorsa la CTR in conseguenza della “omessa valutazione del materiale probatorio” (ric., p. 8).

2.1. – Con il suo primo motivo di impugnazione la società censura la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la CTR per aver erroneamente ritenuto applicabile nel caso di specie la normativa sulle c.d. società di comodo, che deve invece essere disapplicata, e procedendo in conseguenza ad un’erronea stima del reddito presuntivamente conseguito dalla società e posto a fondamento dell’avviso di accertamento. La Srl Metaflor, infatti, nell’anno 2006, non era in condizione di operare, essendo stata posta da anni in liquidazione perchè aggredita dalle azioni esecutive dei creditori, i quali avevano anche conseguito il pignoramento di una pluralità di beni aziendali. Il compito del liquidatore, osserva la contribuente, non è quello di provvedere all’esercizio dell’attività d’impresa, bensì di salvaguardare il valore del patrimonio aziendale, ed in conseguenza appare corretta la scelta di affidare i beni aziendali in comodato gratuito, al fine di evitarne il deterioramento, “non essendovi prova alcuna che la stessa nelle condizioni in cui si trovava avrebbe potuto trovare le risorse per gestire autonomamente l’azienda” (ric., p. 8). Secondo la ricorrente, poi, la società non avrebbe comunque potuto accedere all’esclusione dall’applicazione della normativa antielusiva prevista dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1-sexies, non potendo essere assoggettata ad alcuna procedura concorsuale essendo un imprenditore agricolo.

Le riassunte contestazioni introdotte dalla contribuente risultano mal proposte. La normativa antielusiva in questione non prevede che sia l’Ente impositore a dover dimostrare la capacità della supposta società di comodo di svolgere attività produttiva, bensì che la società debba fornire la prova di non essere in grado di svolgerla. In proposito la società si limita a richiamare l’esistenza di sequestri di beni facenti parte del patrimonio sociale, ma non ha cura di indicare specificamente quali fossero i beni sottoposti a procedura esecutiva, e neppure indica il loro valore rispettivamente al complessivo patrimonio dell’impresa, indicato come pari al rilevante importo di oltre tre milioni di Euro.

La società afferma, poi, che non avrebbe potuto accedere alla disapplicazione della normativa antielusiva ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1-sexies, non potendo essere ammessa ad alcuna procedura concorsuale perchè imprenditore agricolo. Anche in questo caso, però, la società non ha cura di indicare in quali atti processuali si rinvenga la prova che, pur essendo organizzata in forma di società a responsabilità limitata, non fosse assoggettabile a procedura concorsuale, dato peraltro contestato dall’Agenzia delle Entrate (controric., p. 9), senza che la contribuente abbia ritenuto neppure di replicare mediante memoria.

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato.

2.2. – Mediante il secondo motivo di ricorso la contribuente contesta la nullità della sentenza per essere incorsa in una motivazione contraddittoria, nonchè il vizio di motivazione, per avere la CTR travisato il rilievo del materiale probatorio acquisito in atti.

La censura non appare fondata.

La società sostiene che, nel corso della procedura liquidatoria la società non si trovava in un “periodo normale di operatività”, con la conseguenza che non poteva ritenersi applicabile la normativa antielusiva, ai sensi della circolare del Ministero delle finanze n. 48 del 1997. Ribadisce quindi che, in conseguenza di procedure esecutive mobiliari, aveva subito il pignoramento di propri beni mobili, ma neppure allega quali essi fossero, nè tantomeno chiarisce come abbia provato che, in conseguenza degli atti esecutivi, la sua attività produttiva fosse rimasta preclusa. La contribuente ripete, inoltre, che l’attività liquidatoria non è volta alla produzione, bensì alla conservazione del valore dei beni aziendali.

Occorre in proposito, ricordati e condivisi gli approdi già raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità in materia, cfr. Cass. sez. V, 20.4.2018, n. 9852, esprimere il principio secondo cui “la disapplicazione della normativa antie-lusiva consegue alla dimostrazione da parte dell’impresa dell’impossibilità oggettiva di esercitare l’attività produttiva e conseguire in tal modo proventi, ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis, e pertanto non trova applicazione nel caso in cui la mancata percezione di proventi dipenda da una scelta volontaria dell’imprenditore, quale è quella di cedere in comodato d’uso gratuito i beni aziendali”. Appare del resto non chiarito e non comprensibile perchè i beni aziendali, ritenuti improduttivi fin quando sono rimasti nella disponibilità della società, abbiano potuto essere ceduti in comodato a diverso soggetto proprio perchè li utilizzasse nello svolgimento dell’attività produttiva, conseguendo un reddito che, però, non era in grado di assicurare alcun provento alla società in liquidazione. La carenza nell’indicazione di elementi fattuali da parte della società non consente di valutare l’applicabilità della invocata normativa secondaria, neppure indicando la ricorrente da quando abbia avuto decorso l’attività liquidatoria, e dovendo anche tenersi conto che proprio la invocata Circolare del Ministero delle Finanze, n. 48 del 1997, prevede che debba essere “considerato periodo di normale svolgimento dell’attività anche quello in cui la società ha affittato o concesso in usufrutto l’unica azienda posseduta”.

Le valutazioni espresse dal giudice impugnato, il quale ha ritenuto che “la società contribuente nel periodo d’imposta 2006 era in condizione di svolgere l’attività, ma invece di rendere produttiva l’azienda agricola ha stipulato un “contratto di comodato” per la gestione della stessa, che, stante l’entità dei beni materiali del valore di Euro 3.094.737,00, consentiva al comodatario di percepire un sicuro reddito dallo sfruttamento dei fattori produttivi dell’azienda ceduta”, non avendo la contribuente fornito prove “riguardo all’impossibilità di trarne profitto” (sent. CTR, p. 3), ed avendone il giudice dell’appello desunto che non risultasse provata la sussistenza dei presupposti di legge perchè alla Srl Metaflor fosse consentito sottrarsi all’applicazione della normativa antielusiva, non risultano contraddittorie ed appaiono pure fondate in base alle risultanze di causa.

Anche il secondo motivo di ricorso introdotto dalla società dev’essere perciò respinto.

Il ricorso introdotto dalla Srl Metaflor in liquidazione deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto dalla Metaflor Srl in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2020


Palermo, obbligo di firma in caserma per 18 “furbetti del cartellino”

PALERMO. Ennesimo caso di «furbetti del cartellino» a Palermo. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo e la Polizia Municipale hanno eseguito un’ordinanza di applicazione della misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per 18 dipendenti delle società «Reset» e «Coime», partecipate dal Comune: sono accusati di falsa attestazione di presenza in servizio e truffa ai danni dell’Amministrazione. L’indagine, coordinata dalla procura, è iniziata dopo alcune segnalazioni anonime. Gli inquirenti hanno accertato un fenomeno di assenteismo di massa – 2000 le timbrature sospette – di 18 dipendenti dell’ufficio comunale che si occupa di impianti cimiteriali. In particolare, l’attività d’indagine svolta dal carabinieri si è concentrata sulle assenze dei dipendenti, sia comunali sia delle società partecipate «Reset» e «Coime», che prestano servizio all’interno degli uffici dei Servizi Cimiteriali del Comune di Palermo, in via Lincoln. I militari hanno scoperto che gli impiegati finiti sotto inchiesta timbravano per altri colleghi per fingerne la presenza in servizio o consentire loro di assentarsi durante il lavoro. Nei 5 mesi d’indagine, i militari hanno documentato quasi 2.000 «timbrature sospette», di cui 240 sviluppate e contestate. Circostanze che testimoniano che si trattava di un fenomeno diffuso tra gran parte dei dipendenti dell’ufficio comunale. Gli agenti della polizia municipale hanno indagato invece su un gruppo di dipendenti comunali addetti ai servizi di assistenza ai funerali e impiegati, dunque, prevalentemente in mansioni esterne. Sovente, piuttosto che assolvere i loro compiti di assistenza, stavano in giro per la città per sbrigare commissioni personali o rientravano in ufficio in anticipo rispetto all’orario previsto.


RICEVUTA per compensi da collaborazione occasionale

Il lavoro autonomo occasionale, per il quale è richiesta la ricevuta corrispondente, è una tipologia di rapporto di carattere sporadico e non stabile derivato dalla cessione di un’opera o di un servizio da parte di un soggetto nei confronti di un committente.
Un vantaggio garantito dalla prestazione occasionale consiste nel fatto che a colui che effettua l’attività di collaborazione non è richiesta l’apertura di una partita Iva. Si dovrà però versare una ritenuta d’acconto sul compenso.
Cos’è il lavoro per prestazione occasionale può essere definito in maniera negativa in riferimento a ciò che non contempla. Questo tipo di rapporto infatti non implica:

  • una durata continuativa nel tempo o abituale,
  • un coordinamento da parte del committente,
  • un vincolo di subordinazione.

Oltre a ciò la prestazione occasionale richiede autonomia da parte del lavoratore nei confronti del committente sia in riferimento ai tempi che alle modalità di esecuzione dell’opera o del servizio.
Ciò è dovuto proprio al fatto che questo tipo di attività non è soggetta a coordinamento o subordinazione e perciò il prestatore occasionale potrà essere libero di svolgere il compito assegnatogli in piena libertà decisionale.

Scarica: RICEVUTA per compensi da collaborazione occasionale


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 17/09/2020) 01/12/2020, n. 27400

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –

Dott. VECCHIO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34553-2018 proposto da:

COMUNE DI SANDRIGO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 318, presso lo studio dell’avvocato SCIUBBA LORENZO, rappresentato e difeso dall’avvocato MOLLO RUGGERO;

– ricorrente –

contro

T.R., elettivamente domiciliato in ROMA, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato ZUCCOLLO MAURIZIO;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza n. 22865/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 26/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/09/2020 dal Consigliere Dott. STALLA GIACOMO MARIA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. DE MATTEIS che ha chiesto rigettarsi il ricorso. Conseguenze di legge;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
p. 1.1 Il Comune di Sandrigo (VI) propone ricorso per revocazione, ex art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4), dell’ordinanza della sesta sezione civile-tributaria n. 22865 del 26 settembre 2018, con la quale questa Corte di Cassazione ha ritenuto tardivo il ricorso per cassazione dal Comune proposto – nei confronti del contribuente T.R. per il recupero dell’Ici 2009 non versata – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale Veneto n. 1092/5/2016 del 12 ottobre 2016. Ciò perchè tale ricorso per cassazione era stato consegnato per la notifica il 10 aprile 2017 e, dunque, oltre la scadenza (12 febbraio 2017) del termine ‘brevè di impugnazione, la cui applicazione nella specie conseguiva alla notificazione della sentenza di appello – direttamente al Comune – in data 14 dicembre 2016 (come da ricevuta di consegna e timbro di protocollo dell’ufficio ricevente, in atti).

Contrariamente a tale assunto, la notificazione in questione non era idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione, dal momento che il Comune aveva partecipato al giudizio di appello, non in proprio, ma con il patrocinio di un professionista di fiducia, Dott. B.M., presso il cui studio in Bologna aveva eletto domicilio D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17.

La Corte di Cassazione, travisando la situazione di fatto, non si era dunque avveduta di quest’ultima elezione di domicilio, con conseguente inidoneità della notificazione della sentenza direttamente all’amministrazione comunale a fare nella specie decorrere il termine breve di impugnazione.

p. 1.2 Per l’ipotesi di accoglimento dell’istanza di revocazione e conseguente apertura della fase rescissoria del procedimento, il Comune ripropone in questa sede l’originario motivo di ricorso per cassazione, così esposto: – violazione e falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – del D.L. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5-ter conv. in L. n. 124 del 2013; D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2-bis, conv. in L. n. 106 del 2011; D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 14 e 14-bis conv. in L. n. 214 del 2011; D.L. n. 216 del 2011, art. 29, comma 8, conv. in L. n. 14 del 2012; D.M. 26 luglio 2012, art. 5. Per avere la Commissione Tributaria Regionale erroneamente attribuito efficacia retroattiva quinquennale all’istanza del contribuente di assegnazione all’immobile in sua proprietà – fatto oggetto dell’avviso di recupero Ici 2009 opposto – della categoria catastale di ruralità A6 o D10, nonostante che tale efficacia fosse dalla legge riconosciuta unicamente alle istanze presentate all’agenzia delle entrate entro il 30 settembre 2012, mentre nel caso di specie tale domanda era stata presentata soltanto in data 21 febbraio 2014.

Resiste il contribuente con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria.

p. 2. L’istanza di revocazione è fondata.

Essa si basa sul rilievo secondo cui la Corte di Cassazione avrebbe nella specie applicato il termine breve ex artt. 325-326 c.p.c. facendolo decorrere dalla notificazione della sentenza di appello direttamente presso gli uffici comunali, nonostante che il Comune impositore avesse partecipato al giudizio di merito, ed ivi eletto domicilio, tramite un proprio difensore esterno. Sennonchè, in tanto sarebbe stato applicabile il termine breve di impugnazione, in quanto la notificazione della sentenza di appello fosse regolarmente avvenuta, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17, presso il domicilio eletto, e non direttamente presso gli uffici comunali.

Si osserva nel ricorso per revocazione: “si è convinti che nel pronunciare l’ordinanza di cui si chiede la revocazione tale rilevante circostanza sia sfuggita: infatti se la Corte Suprema di Cassazione avesse preso atto della costituzione del Comune nel giudizio di appello a mezzo del Dott. M.B. e la relativa elezione di domicilio presso il suo studio, certamente non avrebbe ritenuto la consegna della sentenza direttamente all’ufficio tributi del Comune significativa ai fini della decorrenza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.”.

Ebbene, nella peculiarità della fattispecie, si ritiene che l’errore così prospettato dal ricorrente abbia in effetti natura revocatoria ex art. 395 c.p.c., n. 4).

Occorre partire dal dato normativo secondo cui “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.

L’errore revocatorio deve dunque cadere – per regola generale, valevole anche nel caso di revocazione di sentenze di legittimità ex artt. 391-bis e 391-ter c.p.c., recettivi di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con le sentenze nn. 17/1986 e 36/1991 – su un ‘fattò; esso si concreta in una falsa percezione della realtà, a sua volta indotta da una ‘svistà di natura percettiva e sensoriale.

Proprio per tale sua natura, questa falsa percezione della realtà – che nel procedimento di cassazione concerne necessariamente i soli atti interni al giudizio di legittimità, ossia quelli che la corte esamina direttamente nell’ambito del motivo di ricorso o delle questioni rilevabili d’ufficio: Cass. 4456/15, ord. – deve emergere in maniera oggettiva ed immediata dal solo raffronto tra la realtà fattuale e la realtà rappresentata in sentenza; e ciò con riguardo tanto a fatti materiali (o storici, o empirici) di natura sostanziale, quanto agli eventi del processo.

Nel caso in esame l’ordinanza della corte di cassazione ricostruisce (esattamente) le modalità dell’avvenuta notificazione della sentenza di appello presso un impiegato comunale (“corredata del timbro dell’ufficio accettante e del numero di protocollo dell’amministrazione comunale, nonchè della sigla dell’impiegato addetto alla ricezione”), senza tuttavia menzionare il dato di fatto (pacifico in atti) che il Comune avesse partecipato al giudizio di merito con il ministero di un difensore ‘esternò, presso il quale aveva eletto domicilio.

Che non si sia trattato dell’esito di una determinata valutazione giuridica (di certo irrilevante ai fini revocatori ex art. 395 c.p.c., n. 4, cit.) si desume dal fatto che l’affermazione di idoneità della notifica di specie a far decorrere il termine breve di impugnazione fa seguito, nell’ordinanza in questione, alla esclusiva considerazione delle sue modalità di esecuzione presso l’ente comunale (come sè questo fosse rimasto contumace nei gradi di merito, ovvero vi avesse partecipato con un difensore interno e domicilio presso l’ente stesso), non anche dell’essenziale elemento (prettamente fattuale) dell’avvenuta domiciliazione presso un difensore esterno.

Elemento fattuale, quest’ultimo, la cui omissione ha indotto una rappresentazione della realtà processuale frontalmente difforme dal vero.

Ulteriore conferma di ciò deriva dal fatto che la conclusione alla quale è giunta l’ordinanza in esame viene confortata (quanto ad idoneità della notificazione all’ente ad ingenerare in questo la conoscenza legale della sentenza di appello e, di conseguenza, a far decorrere il termine breve di impugnazione) dalla citazione del precedente di cui in Cass.ord.10851/18, che appunto concerneva proprio un caso, erroneamente assimilato al presente, di mancata costituzione del Comune nei gradi di merito.

Anche il richiamo a questo precedente di legittimità, in altri termini, induce a ritenere che la pronuncia di tardività del ricorso per cassazione sia logicamente derivata proprio dal mancato rilievo delle ‘verè modalità di costituzione in giudizio e domiciliazione del Comune nei gradi di merito (profilo, questo, rimasto del resto del tutto estraneo al contraddittorio delle parti).

Pacifica è l’incidenza decisoria di tale mancato rilievo, stante l’inidoneità della notifica in oggetto (non conforme alla disciplina degli artt. 285 e 170 c.p.c., nè integrante consegna a mani D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 17, in quanto non eseguita nei confronti di soggetto legale rappresentante dell’ente) a far decorrere il termine breve ex art. 325 c.p.c..

p. 3. Accedendo dunque alla fase rescissoria del giudizio, si ritiene che il ricorso per cassazione del Comune debba trovare accoglimento sotto il dedotto profilo della violazione normativa.

Non vi sono ragioni per discostarsi da quanto stabilito da Cass. SSUU n. 18565/09, secondo cui (in motiv.): “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”. A tale orientamento hanno fatto seguito innumerevoli pronunce di legittimità (tra cui, Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14), successivamente confermate – nel senso della ininfluenza dello svolgimento o meno, nel fabbricato, di attività diretta alla manipolazione o alla trasformazione di prodotti agricoli, rilevando unicamente il suo classamento – tra le altre, da Cass. n. 16737/15 e da Cass. n. 7930/16.

Va altresì osservato come quanto stabilito dalle SSUU nella sentenza cit. si sia fatto carico anche dei profili di jus superveniens riconducibili all’emanazione sia del D.L. n. 557 del 1993, art. 9, comma 3-bis dell’art. 9 conv. in L. n. 133 del 1994, come introdotto dal D.L. n. 159 del 2007, art. 42-bis conv. in L. n. 222 del 2007; sia del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1-bis conv. in L. n. 14 del 2009.

Con la conseguenza che nemmeno in base a questa normativa – salva l’ipotesi di mancato accatastamento – è dato al giudice tributario di accertare in concreto, incidentalmente, il carattere rurale del fabbricato di cui si sostenga l’esenzione da Ici.

La stessa conclusione va, infine, riaffermata (così Cass. 7930/16 cit. ed innumerevoli altre) pur alla luce dell’ulteriore jus superveniens (D.L. n. 70 frl 2011, conv. in L. n. 106 del 2011; D.L. n. 201 del 2011 conv. in L. n. 214 del 2011; D.L. n. 102 del 2013 conv. in L. n. 124 del 2013) che ha attribuito al contribuente la facoltà di presentazione di domanda di variazione catastale per l’attribuzione delle categorie di ruralità A/6 e D/10, con effetto per il quinquennio antecedente.

Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazion catastale conforme.

Tutto ciò posto, l’efficacia retroattiva quinquennale dell’attribuzione di ruralità ai sensi della citata normativa sopravvenuta (2011/2006) concerne le istanze autocertificate a tal fine presentate, come disposto dal D.M. Finanze 26 luglio 2012, art. 2, comma 2 “entro e non oltre il 30 settembre 2012”; ferma restando la possibilità di ottenere anche successivamente la variazione catastale di ruralità con le ordinarie procedure classificatorie Docfa (D.M., comma 6, cit.), ma senza l’effetto retroattivo subordinato all’osservanza delle formalità di cui alla citata disciplina speciale.

La sentenza di appello va dunque cassata con rinvio alla CTR del Veneto che, in diversa composizione, applicherà tali principi alla fattispecie in oggetto.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente procedimento.

P.Q.M.
La Corte Revoca l’ordinanza della corte di cassazione n. 22865/18;

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto in diversa composizione, anche per le spese.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2020

 


La notifica via PEC non è sempre valida

La CTP di Roma ribadisce l’invalidità della notifica delle cartelle di pagamento effettuata da un indirizzo p.e.c. delle Entrate inidoneo a legittimarla

Molti contribuenti laziali che hanno ricevuto una cartella di pagamento dall’Agenzia delle entrate potranno tirare un respiro di sollievo grazie a una conferma di recente arrivata dalla Commissione tributaria provinciale di Roma con la sentenza n. 9274/2020.
Essa ha infatti ribadito che l’indirizzo p.e.c. “notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it” non è idoneo a essere utilizzato come mezzo per fare una notifica valida.
Tale indirizzo, del resto, non risulta dai registri ufficiali Reginde o Indice PA e non può essere riferito all’agente della riscossione neanche facendo ricorso al sito web dell’Agenzia delle entrate.
Come già specificato in più occasioni dalla giurisprudenza, invece, la notificazione via p.e.c., per essere valida, deve essere fatta esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante che risulti da pubblici elenchi. In caso contrario, la cartella di pagamento deve considerarsi inesistente.


PERSEO – opzione passaggio da TFS a TFR

Si informano i Sigg. dipendenti in regime previdenziale di trattamento di fine servizio (TFS), assunti prima dell’1/1/2001, che il Fondo di previdenza complementare Perseo Sirio per i lavoratori della Pubblica Amministrazione ha reso nota la possibilità di iscriversi al Fondo entro il 31.12.2020 per non perdere alcune peculiarità descritte nella brochure informativa sotto riportata.

Se interessati, potete contattare direttamente il Fondo di Previdenza Complementare e visitarne il sito:
sito:              https://www.fondoperseosirio.it/ 
campagna TFR:        https://campagnatfr.fondoperseosirio.it/
numero telefono:         06 85304484
mail:               consulenza@perseosirio.it
orari:              Lun-Ven 9.30-13.00

Leggi: Comunicato PERSEO – opzione passaggio da TFS a TFR
Leggi: Brochure 2020


Comm. trib. prov. Lazio Roma Sez. XIII, Sent., 24-11-2020, n. 9274

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI ROMA

TREDICESIMA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

MAFFEI CORRADO – Presidente

PATRONE FRANCESCO – Relatore

D’ORSO LUIGI – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sul ricorso n. 6896/2019

depositato il 24/05/2019

– avverso CARTELLA DI PAGAMENTO n.(…)

– avverso CARTELLA DI PAGAMENTO n.(…)

– avverso CARTELLA DI PAGAMENTO n.(…)

– avverso CARTELLA DI PAGAMENTO n.(…)

– avverso CARTELLA DI PAGAMENTO n.(…)

contro:

AG.ENTRATE – RISCOSSIONE – ROMA

difeso da:

(…)

proposto dal ricorrente:

(…)

difeso da:

PROIETTI TOPPI GIAN LUCA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Premessa.

(…) ha proposto in data 6.2.2019 ricorso avverso la cartella di pagamento n.(…) notificatagli in data 8.1.2019, riferita a crediti di natura tributaria (ICI, IMU e tasse automobilistiche), in relazione a tre ruoli differenti.

Si tratta, in particolare, delle pretese relative ai seguenti ruoli:

1. (…), riferito all’accertamento n. (…), notificato il 22.5.2015, per ICI 2010 e all’accertamento n. (…), notificato il 22.5.2015, per ICI 2011;

per 2. (…), riferito all’accertamento n. (…), notificato il 26.11.2015, per IMU 2012 e all’accertamento n. (…), notificato il 26.11.2015, per IMU 2012;

per 3. (…), riferito a tassa automobilistica per l’anno 2016.

Il ricorrente, costituitosi in data 24.5.2019, eccepisce in primo luogo la decadenza dell’agente della riscossione dal potere di notificare la cartella di pagamento relativa agli, avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2010 e 2011, dal momento che la cartella avrebbe dovuto essere notificata entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo (art. 1.183 L. n. 296 del 2006); anche ove detti avvisi si considerassero effettivamente e ritualmente notificati nella data indicata in cartella (19.5.2015), quest’ultima avrebbe dovuto essere notificata entro il 31 dicembre 2018; ne deriva che la notifica della cartella, avvenuta in data 8.1.2019, deve considerarsi tardiva.

La società ricorrente eccepisce inoltre che la cartella di pagamento deve considerarsi inesistente, essendo stata notificata attraverso una mail certificata spedita da un indirizzo pec sconosciuto (“notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it”), in quanto non risultante dai registri ufficiali né riferibile all’agente della riscossione anche attraverso il ricorso a fonti aperte; cita in ausilio giurisprudenza della Corte di Cassazione e della CTP Roma (sent. 601 e 2799/2020) e CTP Perugia (sent. 379/2019).

L’indirizzo “notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it” utilizzato per la notifica della cartella impugnata non sarebbe oggettivamente e con certezza riferibile all’Agenzia delle Entrate Riscossione, non risultando nell’elenco del Reginde – (Registro Generale degli Indirizzi Elettronici gestito dal Ministero della Giustizia) – né nella pagina ufficiale del sito internet di Agenzia Entrate Riscossione, né nella pagina della CCIAA, né in quella di INDICEPA, Indice delle Pubbliche Amministrazioni.

Un ulteriore motivo di ricorso concerne la mancata consegna da parte dell’agente della riscossione dei ruoli, oggetto di espressa impugnazione unitamente a quella delle cartella di pagamento, così impedendo un controllo sulla correttezza del titolo esecutivo.

Chiede pertanto l’annullamento degli atti impugnati, con vittoria di spese da distrarsi a, favore del difensore avv. G.L.P.T., dichiaratosi antistatario.

Agenzia delle Entrate-Riscossione, costituitasi in data 27.6.2019, chiede di ordinare la chiamata in causa dell’ente impositore Roma Capitale e di respingere il ricorso, con vittoria di spese.

Con memorie illustrative presentate prima dell’udienza la società ricorrente, nel ribadire quanto esposto in ricorso, chiede – stante la mancata contestazione da parte del concessionario della riscossione – di applicare il noto principio di non contestazione e di accogliere il ricorso, senza che occorra estendere il giudizio all’ente impositore, essendo state rilevate questioni di esclusiva pertinenza dell’ente riscossore.

All’udienza del 13 ottobre 2020 la Commissione ha deciso come in atti.

Fatto e diritto.

Il ricorso è fondato.

La cartella di pagamento impugnata deve considerarsi inesistente, essendo stata notificata – come dimostrato dalla documentazione prodotta dalla società ricorrente – attraverso una casella PEC spedita da un indirizzo di posta certificata (“notifica.acc.lazio@pec.agenziariscossione.gov.it”) non risultante dai registri ufficiali Reginde o Indice PA, né riferibile all’agente della riscossione neanche attraverso il ricorso al sito web dell’Agenzia.

Come già ritenuto da altra recentissima sentenza di questa Commissione (sent. 601/38/20), dalla sentenza della CTP Perugia 379/19 e dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 17346/19, “la notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi”; nel caso concreto, essendosi fornita la dimostrazione, che la cartella è stata spedita da un indirizzo mail diverso da quelli contenuti nei pubblici elenchi, deriva che la notificazione dell’atto impugnato deve considerarsi inesistente.

Attesa la peculiarità della vicenda sussistono giustificati motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.
accoglie il ricorso. Spese compensate.

Deciso in Roma, il 13 ottobre 2020.


Riunione del Consiglio Generale del 19.12.2020

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione del Consiglio Generale che si svolgerà sabato 19 dicembre 2020, in modalità webinar, alle ore 8:00 in prima convocazione, e alle ore 10:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
3. Nuovo sito web;
4. Attività formativa 2020/2021;
5. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale CG del 19 12 2020

 


Multa annullata se notificata oltre 90 giorni dall’accertamento

Il Giudice di Pace di Ivrea annulla la sanzione: il verbale per violazione del C.d.S. è stato notificato oltre il termine di 90 giorni dall’accertamento in caso di mancata immediata contestazione
Va annullato il verbale per violazione del Codice della Strada notificato oltre il termine di 90 giorni dall’accertamento previsto dalla legge in caso di mancata immediata contestazione dell’infrazione. Lo ha deciso il Giudice di Pace di Ivrea in una sentenza depositata il 4 novembre 2020, accogliendo l’opposizione a sanzione amministrativa di una conducente, multata per violazione dell’articolo 146 del Codice della Strada, infrazione rilevata tramite strumentazione “Redvolution”.
Nel dettaglio, l’opponente ha chiesto l’annullamento del verbale eccependo, tra l’altro, l’avvenuta prescrizione del termine di notifica dello stesso. Doglianza che il magistrato onorario ritiene meritevole di accoglimento.
Come si legge nella sentenza, il verbale inerente la violazione di norme del Codice della Strada, qualora la contestazione non avvenga nell’immediatezza del fatto, dovrà essere notificato entro 90 giorni dalla data della sua commessa infrazione.
Si tratta di una regola imposta dall’art. 201 del Codice della Strada in quale prescrive, qualora la violazione non possa essere immediatamente contestata, che il verbale, con gli estremi precisi e dettagliati della violazione e con la indicazione dei motivi che hanno reso impossibile la contestazione immediata, debba, entro novanta giorni dall’accertamento, essere notificato all’effettivo trasgressore o ad altro soggetto (cfr. art. 196 C.d.S.) quando questi non sia stato identificato.
Una conclusione ribadita anche dalla Suprema Corte che, nella sentenza n. 7066/2018, ha ribadito che, “qualora sia impossibile procedere alla contestazione immediata, il verbale deve essere notificato al trasgressore entro il termine fissato dall’art. 201 C.d.S. (novanta giorni, a seguito della modifica apportata con l’art. 36 della legge n. 120/2010), salvo che ricorra l’ipotesi prevista dall’ultima parte del citato art. 201, e cioè che non sia individuabile il luogo dove la notifica deve essere eseguita per mancanza dei relativi dati nel Pubblico registro automobilistico o nell’Archivio nazionale dei veicoli o negli atti dello stato civile”.
Nel caso in esame, la notifica, riferita a un verbale del 21 novembre 2019, è stata eseguita in data 27 febbraio 2020. È di tutta evidenza, secondo il giudice onorario, che la notifica del provvedimento è stata fatta oltre il termine di 90 giorni previsto dalla legge in caso di mancata immediata contestazione dell’infrazione.
Ancora, nella specie, la mancata tempestiva notifica del verbale non risulta imputabile all’amministrazione convenuta, avendo questa provveduto all’invio dello stesso al corretto indirizzo anagrafico della ricorrente, nei tempi previsti. Tuttavia, le Poste hanno restituito il plico al Comune che lo ha rinotificato, purtroppo oltre il termine di 90 giorni dall’infrazione.
Ciononostante, ha concluso il magistrato, la non tempestiva notifica dell’infrazione non può essere neppure imputabile alla ricorrente e dunque le relative conseguenze non potranno incidere negativamente sulla stessa. Da qui l’annullamento del provvedimento e la decisione di compensare le spese.


Riunione della Giunta Esecutiva del 21.11.2020

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 21 novembre 2020, in presenza, alle ore 8:00 presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2021;
3. Nuovo sito web;
4. Attività formativa 2020/2021;
5. Varie ed eventuali.

Causa nuove disposizioni governative relative al Covid 19, la riunione si terrà in modalità on line alle ore 8:00 in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione

Leggi: GE 21 11 2020 Verbale