Riunione Consiglio Generale del 01.02.2020

Ai sensi dell’art. 15 dello Statuto, viene convocata la riunione Consiglio Generale che si svolgerà sabato 01 febbraio 2020 alle ore 8:30 presso il Comune di Cesena (FC) – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2019;
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
  3. Approvazione Bilancio Consuntivo 2019;
  4. Approvazione Bilancio Preventivo 2020;
  5. Attività formativa 2020;
  6. Varie ed eventuali.

Leggi: Documentazione G.E. & C.G.

Leggi: Verbale CG del 01 02 2020


Riunione Giunta Esecutiva del 01.02.2020

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 01 febbraio 2020 alle ore 7:30 presso il Comune di Cesena – Palazzo Municipale – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 9:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:

  1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2019;
  2. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2020;
  3. Approvazione Bilancio Consuntivo 2019;
  4. Approvazione Bilancio Preventivo 2020;
  5. Attività formativa 2020
  6. Socializzazione, analisi e valutazione procedure operative degli ultimi provvedimenti legislativi e/o sentenze
  7. Varie ed eventuali.

Leggi: Documentazione GE&CG

Leggi: GE 01 02 2020 Verbale


Le infrazioni al C.d.s. arriveranno via web

La manovra 2020 prevede l’istituzione di una piattaforma per permettere alla PA di notificare atti e documenti multe comprese e di comunicare e avvisare i cittadini via web

La digitalizzazione della PA aggiunge un altro pezzo al suo puzzle, attraverso la creazione di una piattaforma che consentirà alla Pubblica Amministrazione di notificare, avvisare e comunicare via web a cittadini, associazioni ed enti sia in Italia che all’estero i propri atti e documenti, multe comprese. Occorrerà attendere più di due anni affinché la piattaforma entri a regime completamente per tutte le pubbliche Amministrazioni. Prima infatti verrà avviata una fase di verifiche il cui compito sarà affidato ad un apposito nucleo di monitoraggio, mentre spetterà al ministro competente relazionare al Parlamento gli esiti di detti controlli.

Con la piattaforma digitale della PA le multe arriveranno via web

Una delle novità della manovra di bilancio per il 2020, approvata dal Senato, è la piattaforma con cui la Pubblica Amministrazione potrà procedere alla notifica di atti, comunicazioni e avvisi con modalità più rapide ed economiche.

Ogni destinatario avrà un’area riservata in cui, previo accesso, potrà verificare che cosa gli è stato inviato dalla Pubblica Amministrazione. Dalle multe ai documenti, tutto potrà essere consultato comodamente via web. L’accesso però non è riservato solo ai cittadini persone fisiche, ma anche a enti e associazioni con residenza o sede in Italia o all’estero, purché muniti di codice fiscale.

Perfezionamento della notifica e interruzione della prescrizione

Alla notifica dei documenti informatici sulla piattaforma il potere di interrompere la prescrizione. Per questo sono state stabilite le date di perfezionamento della notifica stessa, ovvero:

  • il 30 giugno per i destinatari del documento;
  • il 30 settembre per i documenti depositati a gennaio, febbraio e marzo;
  • il 31 dicembre per quelli depositati a luglio, agosto e settembre;
  • il 31 marzo per quelli depositati a ottobre novembre e dicembre.

Fase di verifica e nucleo di monitoraggio

La piattaforma verrà istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri tramite una società per azioni partecipata al 100% dallo Stato. Sempre presso la presidenza sarà creato un Nucleo per il monitoraggio della piattaforma. A questo il compito di verificare l’utilizzo della piattaforma e, passati 24 mesi dall’inizio delle procedure di verifica e monitoraggio, al ministro competente l’obbligo di relazionare al Parlamento i risultati conseguiti. Nel caso in cui l’esito delle verifiche dovesse essere positivo ogni amministrazione che ha deciso di aderire al progetto dovrà, a partire da una data specifica, eseguire le notifiche degli atti o solo di una parte di esse, ricorrendo unicamente alla piattaforma.


Circolare 2019-006 Casa Comunale “delocalizzata”

Il Comune è libero di designare come “case comunali” anche altri luoghi rispetto al municipio.
Le disposizioni procedurali inerenti alla notificazione degli atti, da porsi in essere con il rito degli irreperibili, quindi l’assenza del destinatario e degli altri soggetti legittimati al ritiro, prevedono, per la validità della notifica, il deposito di copia dell’atto presso la casa comunale, rappresentando questa la sede del comune nei confronti dei terzi, nonché il luogo degli atti comunali e degli organi che li deliberano, fino a poco fa, insuscettibile di estensione a diversi “luoghi”.
Si ricorda che, ancora nell’anno 2012 la Suprema Corte aveva sentenziato circa la necessità di individuare un unico luogo designato “casa comunale”, laddove doveva avvenire il deposito degli atti notificati causa l’assenza o l’irreperibilità assoluta del destinatario.
A seguito di un ricorso proposto da un cittadino che deduceva che l’articolo 140 c.p.c., là dove stabilisce che il piego non potuto consegnare sia depositato nella “casa del comune”, il ricorrente evidenziava che non può che essere “un luogo pubblico ufficiale, certo e stabile, non certo un ufficio estemporaneamente indicato in un provvedimento” dell’amministrazione comunale.
Quindi, la Corte di Cassazione, sez. III civile, con la sentenza 5 settembre 2019 n. 22167 è entrata nel merito del problema, con una pronuncia degna di nota per la pregevole ricostruzione storico-sistematica con riguardo alla nozione di “casa comunale”.
Secondo la Cassazione, tale espressione deve interpretarsi nel senso di comprendervi il municipio – inteso come sede storica del Comune – o ogni altro luogo designato in tal senso dall’amministrazione comunale. Pertanto, una notifica effettuata in un luogo diverso dalla sede del Comune, ma indicata dallo stesso quale sede equipollente, è valida ed efficace. Parimenti, valida è la notificazione effettuata dagli incaricati di una società privata. Infatti, alla P.A. è consentito appaltare a privati l’esecuzione dei compiti del Messo Comunale, compresa la notifica dei verbali di accertamento alle violazioni del codice della strada.
II primo motivo di ricorso ha riguardato il luogo del deposito del plico, che non era avvenuto presso il Comune, ma in una sede sussidiaria dello stesso, designata con un provvedimento dirigenziale, un biennio prima dei fatti di causa. Secondo il ricorrente il dato letterale dell’art. 140 C.P.C. è di diverso segno. La norma, infatti, in caso di assenza del destinatario, prevede il deposito della copia dell’atto presso la casa comunale e non in un luogo diverso, seppur indicato dal Comune quale sede secondaria. La Suprema Corte rigetta tale ricostruzione, considerando valida ed efficace la notifica, giacché il luogo di deposito del plico è stato indicato come equipollente alla casa comunale, pertanto è da escludersi ogni vizio di notifica. La P.A., infatti, è libera di designare come “case comunali” anche luoghi ulteriori rispetto al municipio; ove ciò accada, tutti questi siti vanno considerati equivalenti, a tutti gli effetti di legge, alla casa comunale.
Per fortificare tale affermazione, la sentenza offre un’interpretazione storica e ordinata del testo normativo.
I Supremi giudici ripercorrono storicamente la legislazione per ricostruire il significato di “casa comunale”, analizzando tutte le norme in cui tale espressione, nel tempo, è stata impiegata. I molteplici provvedimenti legislativi citati dimostrano che, storicamente, il legislatore ha indicato la casa comunale come luogo deputato a molteplici attività, ammettendo sempre luoghi a essa alternativi, diversi ed equipollenti. In passato, infatti, la ratio della scelta della casa comunale era dettata dalla facilità di individuazione della stessa da parte di tutti i consociati, anche quelli non istruiti. Con il tempo, la ratio è mutata; infatti, l’evoluzione della società, la diminuzione dell’analfabetismo e, soprattutto, la facoltà da parte «della P.A. di far pervenire le proprie deliberazioni ai cittadini, rendono puramente teorica la possibilità che questi ultimi siano tratti in errore nell’individuazione della casa comunale o dei luoghi destinati a sostituirla». Pertanto, l’espressione “casa comunale” presente in ambito di notificazione, (art. 140 o 143 C.P.C. come anche nell’art. 157 C.P.P.) va intesa come sinonimo di “municipio o altro luogo a tal fine designato dall’amministrazione comunale”.
Stabiliscono i Giudici che l’espressione “casa comunale” si rinviene in numerose norme, processuali e sostanziali; in particolare, l’art. 3 DPR 396/2000 (regolamento sullo stato civile) prevede che i comuni possano istituire uno o più uffici dello stato civile; la norma e stata interpretata nel senso che «casa comunale può essere considerata qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica del Comune, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali» (Cons. di Stato, I, parere 196/2014). La disposizione in argomento riguarda la celebrazione del matrimonio. Pertanto, se la legge ammette la “delocalizzazione” rispetto alla sede storica del municipio in materia matrimoniale, a fortiori deve consentire la designazione di case comunali alternative per il deposito degli atti notificati. Diversamente opinando, si giungerebbe all’assurdo per cui si richiedono oneri formali più stringenti per atti di minor rilievo (come il deposito di un verbale di accertamento) rispetto a «un atto di preminente importanza sociale, giuridica e costituzionale» come il matrimonio.
La Corte si sofferma anche sul deposito del plico nella frazione di un Comune, poiché il ricorrente, nelle sue difese, ha invocato un precedente in materia (Cass. 1321/1993). In quel caso, I’ufficiale giudiziario aveva depositato il plico nella casa comunale di una frazione del Comune e la Corte aveva ritenuto nulla la notifica. La nullità, però, non dipendeva dal fatto che il plico fosse stato depositato in un luogo diverso dal municipio, ma dalla circostanza che le frazioni non possiedono una casa comunale e non era stato dimostrato che il Comune avesse deputato un luogo equipollente nella frazione.
Il ricorrente cita ancora un altro precedente (Cass. 16817/2012), considerato non pertinente dalla Suprema Corte perché, in quella fattispecie, la notifica era stata ritenuta nulla, non in quanto effettuata in un luogo diverso dalla casa comunale, ma in quanto la designazione di quel luogo come equipollente al municipio era avvenuta con un provvedimento amministrativo successivo all’esecuzione della notifica. I supremi giudici ribadiscono che i precedenti invocati dal ricorrente (Cass. 1321/1993 e Cass. 16817/2012) sono inconferenti al caso in esame, tuttavia, anche qualora siano da considerarsi pertinenti, non pare opportuno darvi continuità, ed enunciano il seguente principio di diritto:
«in materia di notificazione di atti e quindi anche di verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, la “casa del comune” in cui l’Ufficiale notificante deve depositare la copia dell’atto da notificare si identifica, in alternativa alla sede principale del Comune, anche in qualsiasi struttura nella disponibilità giuridica di questo, vincolata allo svolgimento di funzioni istituzionali con provvedimento adottato prima della notificazione e chiaramente menzionata nell’avviso di avvenuto deposito».
Dunque la sentenza in argomento stabilendo che, in tema di notificazioni di atti, come i verbali di accertamento di violazioni del codice della strada, I’espressione “casa del comune”, in cui l’ufficiale notificante deve depositare la copia dell’atto da notificare, va interpretata sia come la sede principale del Comune, che come qualsiasi struttura nella sua disponibilità giuridica, deputata allo svolgimento di funzioni istituzionali, tramite un provvedimento adottato prima della notificazione, di fatto, statuisce una nuova interpretazione delle norme in materia, sollevando le problematiche, soprattutto, per quelle realtà che sentivano la necessità, magari per estensione territoriale, di individuare sedi diverse laddove il cittadino può procedere al ritiro degli atti a lui destinati, per andare incontro alle mutate esigenze sociali.
Ora, la stessa sentenza, causa il secondo motivo cui il ricorrente ha fatto ricorso, in considerazione del fatto che la notificazione sia stata eseguita da un privato, in luogo del Messo Comunale ha esteso, di fatto, un orientamento già emerso in passato, individuando che, la notifica del verbale di accertamento della violazione è disciplinata dall’art. 201, c. 3, Codice della Strada.
La norma indica quattro categorie di soggetti che possono provvedere alla notificazione:
 Gli organi incaricati dei servizi di polizia stradale (ad esempio, Carabinieri o Polizia municipale);
 I messi comunali,
 Un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione.
 Il servizio postale.
La disposizione si conclude affermando che le notificazioni s’intendono comunque validamente eseguite – quindi, anche senza il rispetto delle previsioni di cui sopra – quando siano fatte alla residenza, domicilio o sede del soggetto, risultante dalla carta di circolazione o dall’archivio nazionale dei veicoli o dalla patente di guida del conducente.
Ciò premesso, la Corte rileva come molteplici norme facciano riferimento alla figura del Messo Comunale, senza tuttavia fornirne una definizione. Si ritiene che la qualifica di Messo Comunale prescinda dal rapporto giuridico che lo lega al Comune, il quale è libero di scegliere la forma contrattuale più idonea a perseguire il pubblico interesse. Pertanto, può rivestire la qualifica di messo:
• Il dipendente della P.A.,
• Il funzionario non dipendente,
• Il mandatario della pubblica amministrazione,
• L’appaltatore di servizi per l’amministrazione.
Alla luce di quanto sopra, il Comune è libero di appaltare a soggetti privati l’esecuzione dei compiti tipici del Messo Comunale, ad esempio, la notificazione dei verbali di accertamento delle infrazioni al codice della strada, come accaduto nel caso di specie.
Per completezza espositiva, si ricorda che la nozione di Messo Comunale non coincide con quella di Messo Notificatore.
In conclusione, una notifica effettuata in un luogo diverso dalla sede del Comune, ma indicata dallo stesso quale sede equipollente, è valida ed efficace. In egual misura è valida la notificazione effettuata dagli incaricati di una società privata in quanto all’ente è consentito appaltare a privati l’esecuzione dei compiti del Messo Comunale, compresa la notifica dei verbali di accertamento delle violazioni del codice della strada.

Riferimenti normativi:
R.D. 2641/1865 (regolamento di procedura): I’espressione casa comunale vi compare per la prima volta, ove si prevedeva che le udienze fossero tenute «nella casa comunale o in quell’altra che sia dal municipio destinata» (art. 173); anche qui, era prevista la facoltà di individuare un luogo diverso;
R.D. 642/1907 (regolamento di procedura davanti al Consiglio di Stato): prevedeva che la notifica potesse avvenire presso la casa comunale o con consegna al sindaco o a chi ne fa le veci o all’impiegato delegato; il ricorso alla congiunzione disgiuntiva “o” fa comprendere come il deposito presso il municipio potesse essere sostituito da atti considerati equipollenti e, quindi, il luogo diverso dalla casa comunale;
R.D. 643/1907 – Annesso A (regolamento di procedura davanti alla giunta provinciale): come sopra;
R.D. 830/1909 – Annesso A (regolamento sulla pesca): disponeva che il sindacato dei pescatori possedesse sede nella casa comunale «o nei locali di una delle associazioni che lo compongono»; anche in questo caso, la designazione della casa comunale non è assoluta, ma ammette alternative;
R.D. 1612/1942 (regolamento per I’esecuzione del TU sulla disciplina dei cittadini in tempo di guerra): disponeva che il manifesto di chiamata alla guerra dovesse essere affisso alla casa comunale e in altri principali luoghi pubblici (art. 42).
La nozione di “Messo Comunale” si rinviene nel R.D. 383/1934 art. 273; poi abrogato e sostituito dall’art. 64 legge 142/1990; altre norme in cui si rinviene sono l’art. 201 Codice della Strada, l’art. 10 legge 265/1999.
Il messo notificatore è stato introdotto dall’art. 1 commi 158 e 159 della legge 296/2006; la legge ha attribuito al messo il compito di eseguire le notificazioni di tre specifiche categorie di atti:
a) Gli atti di accertamento dei tributi locali;
b) Gli atti delle procedure esecutive di cui al testo unico sulla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato (RD 639/1910);
c) Gli atti di invito al pagamento delle entrate extratributarie dei comuni.

Leggi: Circolare 2019-006 Casa Comunale delocalizzata


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 03-10-2019) 18-12-2019, n. 33611

È dirimente, in primo luogo, che il ricorso non coglie la ratio della decisione, la quale ha rilevato, con accertamento in fatto, che la notificazione degli avvisi era stata regolarmente effettuata presso l’indirizzo del domicilio fiscale indicato dal contribuente, senza che di esso fosse mai stata inviata alcuna comunicazione in rettifica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28068/2012 R.G. proposto da:

C.B., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro Angelozzi, con domicilio eletto presso l’Avv. Massimo Gizzi in Roma via Anapo n. 29, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n. 29/02/12, depositata il 2 luglio 2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3 ottobre 2019 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Svolgimento del processo
che:

C.B. impugna per cassazione, con quattro motivi, la decisione della CTR in epigrafe che, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto legittime le cartelle di pagamento emesse dall’Agenzia delle entrate e regolare la notificazione dei pregressi avvisi di accertamento, effettuata presso il coniuge da cui era separato.

L’Agenzia delle entrate resiste, depositando atto di costituzione ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Motivi della decisione
che:

1. Il primo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione all’art. 157 c.p.c., e ss.”.

Il contribuente deduce, in particolare, che la CTR ha omesso di motivare sull’esistenza di un provvedimento di separazione personale con la coniuge, cui erano stati consegnati gli avvisi notificati, neppure considerando che essa, nell’apporre la propria firma sulla dizione moglie convivente, non comprendeva appieno la lingua italiana.

1.1. Il secondo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 157 c.p.c. e ss., all’art. 149 c.p.c. ed alla L. n. 890 del 1982, art. 3”.

Il contribuente deduce che la CTR ha omesso di motivare “sul contenuto della memoria 23/03/2011”, con cui era dedotta la nullità delle notifiche degli avvisi in quanto carenti dei requisiti formali necessari.

1.2. Il terzo motivo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 149 c.p.c., u.c. ed alla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 7, u.c.”.

Il contribuente deduce l’omesso invio dell’avviso per esser stata la notifica effettuata a persona diversa dal destinatario e l’omessa motivazione da parte della CTR in ordine alla contestata violazione.

1.3. Il quarto motivo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 24 Cost., comma 2” per aver la CTR omesso di motivare sulla violazione del diritto di difesa.

2. I motivi, che possono essere valutati unitariamente per connessione, sono tutti inammissibili e per più ragioni.

2.1. E’ dirimente, in primo luogo, che il ricorso non coglie la ratio della decisione, la quale ha rilevato, con accertamento in fatto, che la notificazione degli avvisi era stata regolarmente effettuata presso l’indirizzo del domicilio fiscale indicato dal contribuente, senza che di esso fosse mai stata inviata alcuna comunicazione in rettifica.

Presso lo stesso indirizzo, del resto, era stata inviata l’invito per la comparizione al contraddittorio (trattandosi di accertamento scaturito dall’applicazione degli studi di settore), contraddittorio che – come pure accertato dalla CTR – era stato pienamente instaurato dal contribuente stesso.

Da ciò, dunque, la CTR ha tratto la conclusione della regolarità e ritualità della notifica degli avvisi di accertamento, esito che, oltre ad essere in linea con la giurisprudenza della Corte (v. Cass. n. 25680 del 14/12/2016; Cass. n. 15258 del 21/07/2015), non è stato in alcun modo censurato.

2.2. Quanto al primo motivo, inoltre, la censura è altresì del tutto carente in punto di autosufficienza, introduce profili di novità e, comunque, è del tutto inammissibilmente formulata, neppure sussistendo la lamentata omessa motivazione poichè la CTR non ha affatto trascurato l’avvenuta separazione, ritenendola ininfluente ai fini della regolarità della notifica.

2.3. Quanto al secondo motivo, la doglianza è parimenti carente di autosufficienza sia con riguardo alle asserite nullità della notifica, sia alla dedotta contestazione in giudizio (asseritamente introdotta con memoria), nulla sul punto essendo stato riprodotto, essendo ignoto l’esatto tenore della questione, nonchè la regolare e tempestiva introduzione sia in primo grado che in appello, nè, comunque, risultando dalla stessa sentenza.

2.4. Analoghe considerazioni rilevano quanto al terzo motivo, neppure essendo chiaro, sul punto, se sia stata contestata una violazione di legge o un vizio motivazionale (entrambi inammissibili perchè inosservanti del principio di autosufficienza, nulla essendo stato riprodotto, nè la relata di notifica, nè la memoria in cui la questione sarebbe stata posta, sicchè la stessa questione non si sottrae all’ulteriore rilievo di inammissibilità per novità) ovvero di omessa pronuncia (comunque insussistente).

2.5. Il quarto motivo, infine, è inammissibile perchè, oltre a non cogliere la ratio della decisione, è del tutto generico e indeterminato, neppure censurando, in realtà, la sentenza, della quale non specifica i passaggi oggetto di contestazione, sicchè, in conclusione, è un “non motivo”.

3. Il ricorso va pertanto rigettato per inammissibilità dei motivi. Nulla per le spese attesa la mancata costituzione dell’Ufficio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 dicembre 2019


FESTIVITA’ DI FINE ANNO 2019

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Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 25-06-2019) 03-12-2019, n. 31479

La C.T.R. pare equiparare l’indirizzo indicato da Poste Italiane e individuato per il servizio “seguimi” (di natura contrattuale e finalizzato a far pervenire la corrispondenza – diversa dagli atti giudiziari – all’indirizzo indicato dal richiedente) al domicilio eletto.

Al contrario, l’attivazione del servizio “seguimi” non assume alcuna rilevanza giuridica ai fini della validità delle notificazioni, né l’indicazione di un indirizzo al quale recapitare la corrispondenza può assurgere ad elezione di domicilio ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. d), difettando i requisiti formali prescritti dalla citata disposizione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA E. Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18779-2012 proposto da:

O.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICA PEZZATO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

CONCESSIONARIA BRESCIA EQUITALIA ESATRI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5/2012 della COMM. TRIBUTARIA II GRADO di TRENTO, depositata il 23/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/06/2019 dal Consigliere Dott. FANTICINI GIOVANNI.

Svolgimento del processo
CHE:

– O.F. impugnava innanzi alla C.T.P. di Trento la cartella di pagamento n. (OMISSIS) notificatagli da Equitalia Esatri S.p.A. per il pagamento di sanzioni in materia di IVA (2003) contestate a società di persone di cui il ricorrente era legale rappresentante (considerato alla stregua di autore materiale dell’illecito); lamentava il ricorrente (tra l’altro) che gli avvisi di accertamento, atti prodromici all’emissione della cartella, non gli erano stati notificati;

– la C.T.P. di Trento accoglieva il ricorso affermando la nullità della cartella per omessa indicazione del nominativo del responsabile del procedimento;

– la C.T.R. del Trentino, con la sentenza n. 5/02/12 del 23/1/2012, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate e respingeva l’appello incidentale di O.F.; nella parte che ancora qui rileva la C.T.R. affermava: “Le notifiche degli avvisi sono state ritualmente effettuate dall’Ufficio in conformità con quanto previsto dalla normativa. Infatti l’Ufficio ha consegnato alle poste le raccomandate degli avvisi indirizzati al domicilio fiscale del rag. O. come dai dati dell’anagrafe tributaria (Manerba del Garda). I plichi sono stati restituiti dalle poste con la scritta “seguimi” ed inoltrati al nuovo indirizzo di cui il contribuente aveva chiesto l’attivazione (Solano del Lago – via Portole 2). Tale documentazione è stata consegnata alla signora F.B. quale “persona delegata al ritiro”. Ne consegue che le notifiche dei due avvisi di accertamento, prodromici alla cartella cartella impugnata, sono state correttamente perfezionate.”;

– avverso tale decisione O.F. propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, al quale resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;

– l’intimata Equitalia Esatri non ha svolto difese.

Motivi della decisione
CHE:

1. Col primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dell’art. 139 c.p.c. e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, per avere la C.T.R. ritenuto che la notificazione degli avvisi di accertamento fosse stata correttamente eseguita in luogo diverso dal domicilio fiscale.

2. Il motivo è fondato.

Risulta dalla sentenza impugnata che gli avvisi di accertamento, dapprima inviati al domicilio fiscale di O.F., sono stati restituiti con la scritta “seguimi” e che l’Agenzia ha quindi provveduto ad un successivo inoltro degli stessi al nuovo indirizzo, in un comune diverso rispetto a quello dove si trovava il domicilio fiscale del destinatario.

Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 stabilisce che “c) salvo il caso di consegna dell’atto o dell’avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario; d) è in facoltà del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano. In tal caso l’elezione di domicilio deve risultare espressamente da apposita comunicazione effettuata al competente ufficio a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento ovvero in via telematica con modalità stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate; e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c., in busta chiusa e sigillata, si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione…”.

E’ pacifico che la notificazione degli atti presupposti alla cartella esattoriale non sia avvenuta nel domicilio fiscale.

La C.T.R. pare equiparare l’indirizzo indicato da Poste Italiane e individuato per il servizio “seguimi” (di natura contrattuale e finalizzato a far pervenire la corrispondenza – diversa dagli atti giudiziari – all’indirizzo indicato dal richiedente) al domicilio eletto.

Al contrario, l’attivazione del servizio “seguimi” non assume alcuna rilevanza giuridica ai fini della validità delle notificazioni, nè l’indicazione di un indirizzo al quale recapitare la corrispondenza può assurgere ad elezione di domicilio ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. d), difettando i requisiti formali prescritti dalla citata disposizione.

La notificazione degli avvisi di accertamento, dunque, è stata compiuta in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, nè può reputarsi sanata dal raggiungimento dello scopo in mancanza di elementi atti a far ritenere che i plichi siano stati comunque consegnati a O.F..

Ne consegue la cassazione della decisione impugnata e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. la controversia può essere decisa nel merito accogliendo l’originario ricorso del contribuente.

3. Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso.

4. Ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2, occorre provvedere sulle spese di tutti i gradi del giudizio.

L’Agenzia delle Entrate deve essere condannata alla rifusione delle spese sostenute dal ricorrente per il giudizio di cassazione.

Ritiene il Collegio di compensare le spese dei gradi di merito in ragione delle alterne vicende processuali.

P.Q.M.
La Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso;

dichiara assorbiti gli altri motivi;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., accoglie il ricorso originario;

condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere a O.F. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.600,00, oltre a spese forfettarie e accessori di legge;

compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 25 giugno 2019.

Depositato in cancelleria il 3 dicembre 2019


Cass. civ., Sez. V, Ord., (data ud. 16/10/2019) 27/11/2019, n. 30948

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9513/2018 R.G. proposto da EEMS Italia s.p.a. (C.F. (OMISSIS)), in persona legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Romano Carlo e Longobardi Marco, elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma largo Angelo Fochetti 29;

– ricorrente –

contro

ADER Agenzia delle Entrate Riscossione (C.F (OMISSIS)), in persona del presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata presso i suoi uffici in Roma via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 5543/15/2017 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, depositata il giorno 26 settembre 2017.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2019 dal Consigliere Fichera Giuseppe.

Svolgimento del processo
EEMS Italia s.p.a. impugnò una cartella di pagamento notificata da Equitalia Sud s.p.a. relativa ad accise per l’anno 2014, assumendo l’inesistenza della relativa notifica.

Il ricorso venne respinto integralmente in primo grado; proposto appello dalla contribuente, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con sentenza depositata il 26 settembre 2017, lo respinse assumendo che la notifica della cartella era avvenuta correttamente.

Avverso la detta sentenza, EEMS Italia s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste con controricorso ADER Agenzia delle Entrate Riscossione s.p.a., già Equitalia Sud s.p.a.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso EEMS Italia s.p.a. lamenta la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 2, del D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 14 e art. 16, comma 4, e del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, art. 20 (il CAD), poichè la commissione tributaria regionale ha ritenuto valida la notifica, a mezzo posta elettronica certificata, di una cartella in origine in formato cartaceo che era stata copiata per immagini su supporto informatico.

1.2. Il motivo non ha fondamento.

Com’è noto, il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 2, come aggiunto dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 38, comma 4, lett. b), convertito con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, nel testo applicabile ratione temporis, prevede che la notifica della cartella di pagamento “può essere eseguita, con le modalità di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l’art. 149-bis c.p.c.”.

A sua volta il D.P.R. n. 68 del 2005, art. 1, lett. f), definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come “un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati”.

La lett. i-ter), dell’art. 1 del CAD – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), -, poi, definisce “copia per immagine su supporto informatico di documento analogico” come “il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico”, mentre la lett. lett. i-quinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD – inserita dal D.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 1, comma 1, lett. c), -, nel definire il “duplicato informatico” parla di “documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario”.

1.2. Dunque, alla luce della disciplina surriferita, la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”), come è avvenuto pacificamente nel caso a mano, dove il concessionario della riscossione ha provveduto a inserire nel messaggio di posta elettronica certificata un documento informatico in formato PDF (portable document format) – cioè il noto formato di file usato per creare e trasmettere documenti, attraverso un software comunemente diffuso tra gli utenti telematici -, realizzato in precedenza mediante la copia per immagini di una cartella di pagamento composta in origine su carta.

Va esclusa, allora, la denunciata illegittimità della notifica della cartella di pagamento eseguita a mezzo posta elettronica certificata, per la decisiva ragione che era nella sicura facoltà del notificante allegare, al messaggio trasmesso alla contribuente via PEC, un documento informatico realizzato in forma di copia per immagini di un documento in origine analogico.

1.3. Inammissibile, poi, perchè formulata per la prima volta nel processo con la memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., si palesa la doglianza concernente l’omessa sottoscrizione, con firma digitale o firma elettronica qualificata, della cartella di pagamento allegata al messaggio di PEC. 1.4. La censura peraltro risulta manifestamente infondata, per l’assorbente ragioni che nessuna norma di legge impone che la copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea, notificata dall’agente della riscossione tramite PEC, venga poi sottoscritta con firma digitale.

1.5. Può soggiungersi, per completezza, che ai sensi dell’art. 22 CAD, comma 3 – come modificato dal D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, art. 66, comma 1, – “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta”. E nella vicenda che ci occupa, giammai, la ricorrente nel corso del processo ha disconosciuto espressamente la conformità della copia informatica della cartella di pagamento, allegata alla PEC ricevuta, all’originale cartaceo in possesso dell’amministrazione.

2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione degli artt. 156 c.p.c., comma 3, e art. 160 c.p.c., avendo ritenuto il giudice di merito comunque sanata, per raggiungimento dello scopo, una notifica che era invece inesistente.

2.1. Il motivo, che resterebbe inammissibile avuto riguardo al rigetto del primo motivo, è comunque manifestamente infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno già affermato in tema che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna in via telematica del’atto ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. S.U. 28/09/2018, n. 23620; Cass. S.U. 18/04/2016, n. 7665).

E proprio con riferimento alla notifica di una cartella di pagamento, si è chiarito che la natura sostanziale e non processuale dell’atto non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria; sicchè il rinvio operato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c. (Cass. 05/03/2019, n. 6417).

3. Le spese seguono la soccombenza; sussistono i presupposti per l’applicazione nei confronti della ricorrente del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente, liquidate in complessivi Euro 10.000,00, oltre alle spese generali al 15% e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2019


Circolare 2019-005 Ingiunzione Fiscale – Il Messo Comunale è competente alla notifica?

CircolareANNA1Facendo seguito ad una comunicazione che sta circolando ad opera di alcuni uffici Tributi di Enti Locali che giudicano illegittime le affermazioni contenute nella circolare n. 1/2017 di questa Associazione in merito all’Ingiunzione fiscale (o di pagamento) di cui al R.D. 639/1910 si precisa quanto nella circolare sotto riportata viene esplicitato.

Leggi: Circolare 2019-005 Ingiunzione Fiscale – Il Messo Comunale è competente alla notifica

Per opportuna conoscenza il testo della lettera cui fa riferimento la circolare:

Lettera del 23 10 2019


Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 28-05-2019) 26-11-2019, n. 30787

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28160-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BI KIRA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA E.Q. VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato ANGELO PETRONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIO MODESTO MARIA ROSSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5120/2014 della COMM. TRIB. REG. della Campania, depositata il 23/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/05/2019 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

Svolgimento del processo
CHE:

– la Bi-Kira S.r.l. impugnava la cartella di pagamento con cui, a seguito di revisione della dichiarazione doganale, l’Agenzia delle Dogane di Napoli (OMISSIS), a mezzo dell’agente della riscossione, chiedeva il pagamento della somma di Euro 112.763,25 per imposte doganali e IVA su importazione; in particolare, la ricorrente eccepiva l’invalidità della cartella in ragione della mancata notifica del presupposto avviso di accertamento;

– la C.T.P. di Napoli respingeva il ricorso affermando che, essendo stata dimostrata la consegna di una busta raccomandata proveniente dall’Agenzia, sarebbe stato onere del destinatario dimostrare che il plico non conteneva alcun atto o che ne conteneva uno diverso;

– la C.T.R. della Campania, con la sentenza n. 5120/32/14 del 23/5/2014, accoglieva l’appello della Bi-Kira; in particolare, il giudice d’appello rilevava che l’onere probatorio, in caso di contestazione del contenuto dell’involucro, spettava al mittente e che, perciò, “era il mittente, cioè l’ente impositore, a dover provare di avere inserito nella busta, oltre al processo verbale di revisione (la cui ricezione è pacifica), anche l’avviso di rettifica contenente l’invito al pagamento a cui si riferiva la cartella di pagamento impugnata”;

– avverso tale decisione l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli propone ricorso per cassazione (affidato a due motivi), al quale resiste con controricorso la Bi-Kira S.r.l..

Motivi della decisione
CHE:

1. Col primo motivo la ricorrente Agenzia deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), degli art. 1335 e 2697 c.c., per avere la C.T.R. ritenuto che spettasse al mittente l’onere di dimostrare che l’atto notificato – unitario, pur se costituito da diversi documenti (segnatamente l’avviso di rettifica e l’allegato processo verbale di constatazione) – fosse stato inserito nella busta notificata alla società.

2. Il motivo è fondato.

La C.T.R. richiama nella motivazione il principio espresso da Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20027 del 30/09/2011, Rv. 619195-01 secondo cui “la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere, ex art. 1335 c.c., l’invio e la conoscenza dell’atto, spettando al destinatario l’onere eventuale di provare che il plico non conteneva l’avviso. Tale presunzione, però, opera per la sola ipotesi di una busta che contenga un unico atto, mentre ove il mittente affermi di averne inserito più di uno (come nella specie, gli avvisi di accertamento per più annualità) ed il destinatario contesti tale circostanza, grava sul mittente l’onere di provare l’intervenuta notifica e, quindi, il fatto che tutti gli atti fossero contenuti nel plico e ciò in quanto, secondo l’id quod plerumque accidit, ad ogni atto da comunicare corrisponde una singola spedizione” – ma ne fa erronea applicazione alla fattispecie de qua.

Infatti, come rilevato nel ricorso della difesa erariale, l’avviso di rettifica dell’accertamento e il processo verbale di constatazione non costituiscono atti distinti – per i quali si deve presumere la notificazione mediante singola spedizione – bensì un atto unitario posto che il processo verbale è parte integrante dell’avviso e ne costituisce allegato ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, nel caso di contestazione dell’atto comunicato a mezzo raccomandata, l’onere di provare che il plico non conteneva l’atto stesso, ovvero che ne conteneva uno diverso da quello spedito, grava sul destinatario in forza della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale. Tale conclusione discende altresì dal cosiddetto “principio di vicinanza della prova” poichè, una volta effettuata la consegna del plico per la spedizione, esso fuoriesce dalla sfera di conoscibilità del mittente e perviene in quella del destinatario, il quale può dunque dimostrare che al momento del ricevimento il plico era privo di contenuto (o ne aveva uno diverso).

In altri termini, conformemente a quanto statuito da questa stessa Sezione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16528 del 22/6/2018; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 33563 del 28/12/2018), “la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di provare eventualmente che il plico non conteneva l’atto spetta non già al mittente (in tal senso, Cass. ord. n. 9533 del 12/5/2015; n. 2625 del 11/2/2015; n. 18252 del 30/7/2013; n. 24031 del 10/11/2006; n. 3562 del 22/2/2005), bensì al destinatario (in tal senso, oltre ai precedenti già citati, Cass. 22 maggio 2015, n. 10630; conf. Cass. n. 24322 del 14/11/2014; n. 15315 del 4/7/2014; n. 23920 del 22/10/13; n. 16155 del 8/7/2010; n. 17417 del 8/8/2007; n. 20144 del 18/10/2005; n. 15802 del 28/7/2005; n. 22133 del 24/11/2004; n. 771 del 20/1/2004; n. 11528 del 25/7/2003; n. 4878/1992; 4083/1978; cfr. Cass., ord. n. 20786 del 2/10/2014, per la quale tale presunzione non opererebbe con inversione dell’onere della prova – ove il mittente affermasse di avere inserito più di un atto nello stesso plico ed il destinatario contestasse tale circostanza). L’orientamento prevalente risulta peraltro conforme al principio generale di c.d. “vicinanza della prova”, poichè la sfera di conoscibilità del mittente incontra limiti oggettivi nella fase successiva alla consegna del plico per la spedizione, mentre la sfera di conoscibilità del destinatario si incentra proprio nella fase finale della ricezione, ben potendo egli dimostrare (ed essendone perciò onerato) che al momento dell’apertura il plico era in realtà privo di contenuto.”.

3. Resta assorbito il secondo motivo del ricorso dell’Agenzia.

4. In conclusione, il ricorso è accolto e la sentenza cassata con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, per l’ulteriore esame e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte:

accoglie il primo motivo del ricorso di Agenzia delle Dogane e dei Monopoli;

cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, anche per la statuizione spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2019


Circolare 2019-004 Notifica art. 65 DPR 600/1973 – Applicabile anche ai Tributi Locali

L’articolo 65 del D.P.R. 600/1973 prende in considerazione l’eventualità in cui non risultino ancora identificati gli eredi del contribuente defunto ma non introduce una procedura speciale di notificazione, rimanendo fermo a tal fine il riferimento all’art. 60 della medesima legge.

……

Leggi: Circolare 2019-004 Notifica art. 65 DPR 600-1973 – Applicabile anche ai Tributi Locali


INI-PEC valido e attendibile: la Corte di Cassazione modifica la sua valutazione

Con un provvedimento di correzione materiale, gli Ermellini confermano la validità del Registro INI-PEC a seguito del provvedimento che aveva messo a rischio centinaia di notifiche

Leggi: Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 14-11-2019) 15-11-2019, n. 29749


In pensione a 67 anni fino al 2022

A darne la conferma è il decreto del ministero dell’Economia, di concerto con quello del Lavoro, pubblicato in Gazzetta ufficiale

Fino al biennio 2021/2022 si potrà andare in pensione a 67 anni. A darne la conferma, dopo l’anticipazione data nei giorni scorsi (leggi Pensione a 67 anni fino al 2022) è il decreto del ministero dell’Economia, di concerto con quello del Lavoro, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 15 novembre.

«Dal 1° gennaio 2021 i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici non sono ulteriormente incrementati». Questo perché la speranza di vita non è cresciuta e quindi i requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia non s’innalzano. Così il decreto e in molti possono tirare un respiro di sollievo. Il provvedimento determina gli eventuali aggiornamenti dell’età di vecchiaia e di altri requisiti alla variazione della speranza di vita: il possibile aumento di un mese, conseguente all’incremento della longevità registrato nel 2018, non scatterà grazie all’arrotondamento alla terza cifra dopo la virgola.

L’aumento della speranza di vita a 65 anni è di 0,021 decimi di anno. E dunque «Trasformato in dodicesimi di anno equivale ad una variazione di 0,025 che, a sua volta arrotondato in mesi, corrisponde ad una variazione pari a 0». Nero su bianco il riferimento è all’anno 2021 ma, considerato che gli adeguamenti sono biennali, il livello fissato a 67 anni resterà in vigore anche l’anno successivo.

Si cambia dal 2023: da quel momento scatterà l’ulteriore adeguamento che, comunque, non potrà superare in ogni caso i 67 anni e 3 mesi, se si tiene presente che il requisito dell’età può aumentare per un massimo di 3 mesi alla volta. Resta il requisito dei 20 anni di contributi versati per andare in pensione a 67 anni. Per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 – regime contributivo – è necessario avere un trattamento pari a una volta e mezzo il minimo. In ogni caso c’è quota 100.


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 31-01-2019) 15-11-2019, n. 29729

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20865-2017 R.G. proposto da:

B.S., rappresentato e difeso dall’avvocato Mauro Mercadante ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Giovanni Nicotera 29, presso lo studio dell’avvocato Maria Teresa Pagano;

– ricorrente –

contro

FINO 1 SECURITISATION s.r.l. e per essa DOBANK s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Claudio Luca Migliorisi ed elettivamente domiciliata in Roma, Via Isonzo 42/A, presso lo studio dell’avvocato Achille Reali;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3370/2017 della Corte d’appello di Milano, depositata il 17 luglio 2017;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso, il controricorso e le memorie difensive;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 31 gennaio 2019 dal Consigliere Dott. Cosimo D’Arrigo.

Svolgimento del processo
B.S. ha proposto opposizione avverso l’atto di precetto con il quale Unicredit s.p.a. gli intimava il pagamento della somma di Euro 437.701,51, oltre spese interessi ed accessori, indicando quale titolo esecutivo un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Monza. A sostegno dell’opposizione deduceva una serie di vizi del titolo, fra i quali l’incertezza circa l’identificazione dell’Ufficio giudiziario emittente (il ricorso era stato presentato al Tribunale di Monza e il decreto risultava sottoscritto da un giudice in servizio presso tale ufficio, ma nell’intestazione del provvedimento e quale luogo di sottoscrizione era riportata la dicitura “Milano”) e l’invalidità della notificazione.

Il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione. La sentenza è stata appellata dal B., che ha riproposto le medesime censure. La corte d’appello di Milano ha rigettato il gravame, condannando l’appellante alle spese di lite.

Avverso tale decisione il B. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Il B. ha depositato memorie difensive ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.

Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile.

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 131 e 132 c.p.c., consistita nella violazione della forma legale prescritta per il decreto ingiuntivo.

In realtà, si tratta della riproposizione della censura già disattesa nei gradi di merito circa l’impossibilità di individuare con certezza l’ufficio giudiziario emittente il decreto ingiuntivo, a causa di un errore contenuto nell’intestazione del provvedimento e nell’indicazione del luogo di emissione. Ma, lo stesso ricorrente dà atto della circostanza che il provvedimento è sottoscritto da un magistrato certamente in servizio, a quella data, presso il Tribunale di Monza, cui era rivolto il ricorso. Si è in presenza, pertanto, come già correttamente rilevato dalla Corte d’appello, di un mero errore materiale, che non inficia l’esistenza del titolo esecutivo.

Il motivo è quindi inammissibile.

Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2719 c.c. e degli artt. 115, 116, 140 e 215 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1341 c.c., comma 2, e dell’art. 140 c.p.c.. Con il quarto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2700 c.c. e degli artt. 115, 116 e 140 c.p.c. Le tre censure, largamente sovrapponibili, riguardano la notificazione del titolo esecutivo, che, a parere del ricorrente, sarebbe invalida in quanto eseguita presso un luogo ove egli non era più residente, in violazione delle norme sostanziali e processuali in tema di elezione di domicilio, di notificazione e di onere della prova.

I motivi possono essere unitariamente disattesi, in quanto, nel loro complesso, non denunciano un’ipotesi di radicale inesistenza della notificazione, specialmente nei termini puntualizzati dalle Sezioni Unite. Infatti, l’inesistenza della notificazione di un atto giudiziario è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603 – 01).

Pertanto, i vizi denunciati dal ricorrente avrebbero potuto giustificare, tutt’al più, un’opposizione tardiva ai sensi dell’art. 650 c.p.c. Con la conseguenza che, qualora l’ingiunto, opponente tardivo, non abbia, con l’opposizione proposta ai sensi dell’art. 650 c.p.c., dedotto altre ragioni ulteriori rispetto a quelle della nullità della notificazione, quest’ultima risulta sanata per effetto dell’opposizione stessa (Sez. 2, Sentenza n. 1038 del 28/01/1995, Rv. 490073 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 5907 del 04/11/1980, Rv. 409701 – 01).

Per queste stesse ragioni, i vizi di notificazione del decreto ingiuntivo non possono essere dedotti con l’opposizione a precetto ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., davanti ad un giudice diverso da quello funzionalmente competente a giudicare sull’opposizione a decreto ingiuntivo (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25713 del 04/12/2014, Rv. 633681 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8011 del 02/04/2009, Rv. 607885 – 01). Infatti, innanzi al giudice dell’esecuzione potrebbero dedursi vizi idonei a determinare la radicale inesistenza del titolo esecutivo, mentre ogni questione attinente alla sua validità o nullità deve essere decisa dal giudice funzionalmente compente.

Va quindi affermato, in continuità con il precedente orientamento, il seguente principio di diritto:

“La nullità della notificazione del decreto ingiuntivo non determina in sè l’inesistenza del titolo esecutivo e, pertanto, non può essere dedotta mediante opposizione a precetto o all’esecuzione intrapresa in forza dello stesso, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., restando invece attribuita alla competenza funzionale del giudice dell’opposizione al decreto – ai sensi dell’art. 645 c.p.c. e, ricorrendone le condizioni, dell’art. 650 c.p.c. – la cognizione di ogni questione attinente all’eventuale nullità o inefficacia del provvedimento monitorio”.

Nel caso di specie, l’opponente non ha prospettato, neppure in astratto, la sussistenza di vizi idonei a determinare l’inesistenza del titolo esecutivo e quindi i motivi in esame sono inammissibili.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello già dovuto per l’impugnazione da lui proposta.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019


Cass. civ. Sez. VI – 3, Ord., (ud. 14-11-2019) 15-11-2019, n. 29749

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marinella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA PER CORREZIONE ERRORE MATERIALE

sul ricorso 29544-2019 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCA RUZZETTA;

– ricorrente –

contro

M.L., F.M.;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 24160/2019 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 27/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/11/2019 dal Presidente Relatore Dott. FRASCA RAFFAELE.

Svolgimento del processo
che:

1. Con ricorso per regolamento di competenza iscritto al n. r.g. 21066 del 2018 S.P. impugnava l’ordinanza del Tribunale di Genova con la quale quel tribunale – investito di una controversia di querela di falso ai sensi dell’art. 221 c.p.c., proposta dalla S. nei confronti di M.L., magistrato del Tribunale di Firenze, in riferimento a provvedimenti da questo emessi nell’ambito di un giudizio civile – aveva d’ufficio rilevato l’incompetenza territoriale ai sensi dell’art. 18 c.p.c. in favore del Tribunale di Firenze e rinviato la causa per consentire all’attrice di munirsi di nuovo difensore e per l’eventuale deposito di memorie.

2. Il M. non svolgeva attività processuale.

3. Il ricorso per regolamento veniva avviato a trattazione con il procedimento di cui all’art. 380-ter c.p.c. ed all’esito del deposito delle conclusioni del Pubblico Ministero, deciso con l’ordinanza n. 24160 del 2019, la quale dichiarava il regolamento di competenza inammissibile.

3.1. L’inammissibilità veniva dichiarata perchè proposto nei confronti di una ordinanza priva del carattere di provvedimento impugnabile con il regolamento di competenza, in quanto carente di definitività ai fini della risoluzione della questione di competenza.

3.2. In via gradata veniva altresì ravvisata anche un’ulteriore causa di inammissibilità per inosservanza del requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

3.3. La Corte, inoltre, nell’affermare l’inammissibilità del regolamento per le ragioni indicate, osservava ancora quanto segue: “questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al M. “con elezione di domicilio presso l’avvocato Tribunale di Firenze” a un indirizzo di posta elettronica che è quello della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze, ovvero anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INIPEC, elenco che, oltre a non essere riferibile alla posizione del M., è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019, secondo cui “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INIPEC”). Questo indipendentemente dal fatto che la notifica ad un magistrato non può essere validamente effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica della Cancelleria dell’immigrazione o del protocollo del Tribunale di appartenenza;”.

4. In relazione all’affermazione finale inerente alla notificazione del ricorso, questa Corte ravvisava l’esistenza nell’ordinanza n. 24160 del 2019 di un palese errore materiale e, per tale ragione, veniva redatta dal relatore designato proposta di correzione d’ufficio a norma del secondo inciso dell’art. 391-bis c.p.c., comma 1 e veniva fissata l’odierna adunanza della Corte, in vista della quale non sono state svolte attività difensive.

Motivi della decisione
che:

1. Il Collegio rileva che la proposta di correzione di ufficio appare fondata per le ragioni e nei termini di cui si verrà dicendo.

1.1. Mette conto in primo luogo di rilevare che la circostanza che essa riguarda sicuramente un’affermazione fatta dalla decisione senza efficacia effettivamente giustificativa dell’adottato decisum di inammissibilità non esclude, ma anzi rafforza il convincimento in ordine all’esercizio del potere officioso di correzione.

Tanto perchè, non comportando alcuna incidenza sulla decisione assunta non è possibile dubitare che, in realtà, la Corte proceda ad una correzione che, in ipotesi, possa riguardare impropriamente un errore di diritto, in quanto – al di là della oggettiva connotazione nella specie dell’errore che si rileverà come errore materiale per quanto si dirà trattandosi di errore non incidente sulla decisione, esso per definizione non potrebbe essersi concretato in un errore di diritto, una volta inteso l’errore di diritto come rilevante ex necesse sulla decisione.

1.2. In secondo luogo, una volta considerato, che detta affermazione concerne, nel tenore in cui è stata espressa, una pretesa inidoneità dell’efficacia di un registro rilevante ai fini delle notificazioni a mezzo PEC e, dunque, un apparente principio esegetico suscettibile di applicazione ove dovesse porsi un problema di validità di una notificazione, l’esercizio del potere di correzione risulta giustificato dall’esigenza di evitare che detto principio venga inteso come espressione di un effettivo convincimento esegetico della Corte nei termini in cui figura letteralmente espresso.

2. Tanto premesso, l’errore materiale indicato nella proposta si annida nella parte su indicata della motivazione dell’ordinanza, là dove essa, pur mostrando chiaramente di assumere come presupposto soltanto – per quanto attiene alla notifica presso l’indirizzo di posta elettronica certificata “del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INIPEC” e, si badi, non anche per l’indirizzo di PEC che indica come “quello della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze”, che è estratto dal REGINDE una condivisibile “inidoneità soggettiva” del registro INIPEC da giustificarsi con esclusivo riferimento alla qualità del soggetto destinatario della notifica, ha poi riferito l’inidoneità al registro INIPEC nella sua oggettività, indicandolo espressamente come “dichiarato non attendibile” da un precedente di questa Corte, sul quale, peraltro, risulta in corso di pubblicazione un’ordinanza di correzione d’ufficio.

E’ palese, viceversa, che nell’ordinanza corrigenda la Corte avrebbe voluto, in realtà, soltanto evidenziare che le due notifiche del ricorso indirizzate al magistrato M. sia come domiciliato presso un indirizzo INIPEC riferito al Tribunale di Firenze come “prot.tribunale.firenzegiustiziacert.it”, sia come domiciliato presso un indirizzo estratto dal REGINDE e riferito allo stesso Tribunale come “cancelleria.immiglrazione.tribunale.firenzegiustizia.it”, riguardavano indirizzi soggettivamente non riferibili – al contrario di quanto dichiarato nelle relate di notifica telematica – quali pretesi luoghi di elezione di domicilio al magistrato. Sicchè, al di là delle espressioni usate, la Corte avrebbe voluto alludere, con riferimento al caso di quello estratto dall’INIPEC (ma non diversamente per quello estratto dal REGINDE) ad una mera inidoneità sul piano soggettivo, cioè per non essere esistenti indirizzi di tal fatta come riferibile al magistrato, nel Registro INIPEC (e nel registro REGINDE), cioè – in sostanza – per non essere presenti in detto registro (e nel REGINDE) indirizzi di domiciliazione elettiva del magistrato in servizio presso un tribunale in plessi organizzatori come quelli dei due indirizzi utilizzati.

L’affermazione generica della inattendibilità di quello che si definì “elenco INIPEC” – quale obiter dictum che, sebbene all’apparenza appoggiato al precedente, isolato, n. 3709 del 2019, non è suscettibile di mettere il discussione il principio, enunciato dalle S.U. n. 23620/2018 (ma, nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui “In materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del “domicilio digitale”, previsto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16 sexies, conv. con modif. dalla L. n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv. con modif. dalla L. n. 114 del 2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 6 bis, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al D.M. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia” – voleva essere giustificata, in realtà, dalla rilevata non riferibilità soggettiva.

In sostanza, l’ordinanza voleva dire che le due notificazioni indirizzate al magistrato come asseritamente domiciliato presso i due indirizzi di PEC relativi al Tribunale di Firenze avevano riguardato indirizzi in alcun modo riferibili, sebbene sub specie di elettiva domiciliazione, al magistrato.

3. Ritiene, dunque, la Corte di disporre la correzione dell’ordinanza n. 24160 del 2019 nel seguente modo, con alcune variazioni rispetto al tenore della proposta.

Si intenda espunta in detta ordinanza la seguente proposizione: “questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al M. “con elezione di domicilio presso l’avvocato Tribunale di Firenze” a un indirizzo di posta elettronica che è quello della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze, ovvero anche all’indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INI PEC, elenco che, oltre a non essere riferibile alla posizione del M., è stato dichiarato non attendibile da Cass. n. 3709 del giorno 8 febbraio 2019, secondo cui “per una valida notifica tramite PEC si deve estrarre l’indirizzo del destinatario solo dal pubblico registro ReGIndE e non dal pubblico registro INI4 PEC”). Questo indipendentemente dal fatto che la notifica ad un magistrato non può essere validamente effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica della Cancelleria dell’immigrazione o del protocollo del Tribunale di appartenenza;”.

Si intenda essa sostituita con la seguente proposizione:

“questo a prescindere dal fatto che il ricorso è stato notificato a mezzo PEC al M. “con elezione di domicilio presso l’avvocato Tribunale di Firenze” (sic) a un indirizzo di posta elettronica della cancelleria dell’immigrazione del Tribunale di Firenze (presente nel REGINDE) e ad un indirizzo di posta elettronica del Protocollo del Tribunale di Firenze, estratto dall’indice nazionale degli indirizzi INIPEC, senza che essi siano riferibili alla posizione del M., tenuto conto che la notifica ad un magistrato non si comprende come possa validamente essere effettuata presso l’indirizzo di posta elettronica della Cancelleria dell’immigrazione o presso l’ufficio del protocollo del Tribunale di appartenenza sul presupposto di una inesistente elezione di domicilio da parte del magistrato ai sensi dell’art. 141 c.p.c., comunque in alcun modo è configurabile ai sensi di tale norma”.

4. Si dispone che la cancelleria provveda ad annotare la presente ordinanza sull’originale dell’ordinanza n. 24160 del 2019.

P.Q.M.
La Corte, visto l’art. 391-bis c.p.c., comma 1, secondo inciso, dispone d’ufficio la correzione della propria ordinanza n. 24160 del 2019 nei termini indicati nella motivazione.

Visto l’art. 288 c.p.c., comma 2, secondo inciso, manda alla cancelleria di provvedere ad annotare la presente ordinanza sull’originale dell’ordinanza n. 24160 del 2019.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 14 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 15 novembre 2019