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Eppure se ne resta sempre sbalorditi.

DINO BUZZATI, Lo strano fenomeno che si chiama Natale


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 26/05/2014) 05/12/2014, n. 2577

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5712-2009 proposto da:

EQUITALIA POLIS SPA già GEST LINE SPA in persona del Direttore Operativo pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che lo rappresenta e difende con procura speciale del Not. Dr. SCOGNAMIGLIO RENATO in SANTANGELO rep. n. 52857 del 30/10/2008;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ CALZATURIFICIO CARMENS SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ESTE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

sul ricorso 6011-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ CALZATURIFICIO CARMENS SPA in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2007 della COMM.TRIB.REG. del VENETO depositata il 21/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/05/2014 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il n. r.g. 5712/09 ricorrente l’Avvocato BOCCIA delega Avvocato MARESCA che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il n. r.g. 6011/09 ricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sorrentino Federico che ha concluso per l’accoglimento di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo
1. Equitalia Polis ricorre per cassazione avverso la sentenza 43/30/07 del 21.1.2008 con la quale la CTR Veneto, in accoglimento dell’appello spiegato dalla contribuente, ha riformato la sentenza di primo grado che ne aveva respinto il ricorso nei confronti di una cartella di pagamento per IVA e Irpeg 1999, dichiarandone la nullità sul rilievo che essa era priva di sottoscrizione e non recava l’indicazione del soggetto responsabile del procedimento.

La CTR ha motivato la propria decisione muovendo dalla considerazione che “il prevalente orientamento giurisprudenziale … individua quale atto amministrativo a tutti gli effetti la cartella esattoriale …

con la conseguenza che la stessa, come previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 deve contenere l’indicazione del responsabile del procedimento”; e da ciò ha tratto la conclusione, con riguardo alla specie in giudizio, che, “poichè l’impugnata cartella di pagamento non reca l’indicazione del funzionario responsabile dell’emanazione dell’atto, nè vi è alcuna sottoscrizione della stessa, non essendovi neppure un contrassegno che impegni la responsabilità del titolare dell’organo, quale la stampigliatura del nome o la firma della persona titolare, la cartella deve intendersi illegittima per la mancanza di requisiti essenziali”.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame.

Analogo ricorso con due motivi è proposto avverso la medesima sentenza anche dalla Agenzia delle Entrate.

In entrambi i pendenti giudizi resiste con controricorso la parte intimata. Equitalia Polis ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
2. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi a mente dell’art. 335 c.p.c., trattandosi di separate impugnazione avverso la medesima sentenza.

3.1. Con il primo motivo di gravame entrambi i ricorrenti censurano l’impugnata sentenza sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 per aver dichiarato la nullità della cartella priva di sottoscrizione in quanto “la sottoscrizione deve intendersi quale requisito necessario dell’atto per la sua validità nei soli casi in cui essa sia espressamente richiesta dalla legge” (Equitalia) ovvero “deve ritenersi elemento essenziale solo nei casi in cui sia espressamente prevista dalla legge, dal momento che di regola è sufficiente che dai dati contenuti nella cartella sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui proviene” (Agenzia).

2.2. Il motivo è fondato.

Ancorchè nella specie non si renda applicabile ratione temporis il dettato del D.L. n. 78 del 2009, art. 15, comma 7, convertito in L. n. 102 del 2009, in base al quale “la firma autografa prevista sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione dalle norme che disciplinano le entrate tributarie erariali amministrate dalle Agenzie fiscali e dall’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato può essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile dell’adozione dell’atto in tutti i casi in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati” (13461/12), corrisponde tuttavia ad un consolidato insegnamento del diritto vivente (1425/13), autorevolmente ribadito tra l’altro dall’ordinanza 21.4.2000, n. 117 della Corte Costituzionale, che attinta proprio sullo specifico rilievo della legittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 nella parte in cui non prevedeva che la cartella di pagamento sia provvista di sottoscrizione autografa ha avuto modo di chiarire che “l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi in cui sia espressamente prevista dalla legge”, l’affermazione secondo cui, per un verso, “la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che, di là da questi elementi formali, esso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo” (4757/09) e, per altro verso, che “la cartella esattoriale prevista dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, come documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, dev’essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, essendo sufficiente la sua intestazione per verificarne la provenienza nonchè l’indicazione, oltre che della somma da pagare, della causale, tramite apposito numero di codice” (14894/08).

La sentenza della CTR qui impugnata oblitera manifestamente il detto principio e va quindi cassata.

3. Il secondo motivo, parimenti comune ad entrambe le parti, denuncia violazione e falsa applicazione di legge e segnatamente della L. n. 212 del 2000, art. 7, in cui la CTR è incorsa per aver dichiarato la nullità dell’opposta cartella mancante dell’indicazione del soggetto responsabile del procedimento, giacchè seppur la norma richiamata concerna anche il concessionario, “è ovvio che la stessa trovi applicazione – e giustificazione – solo nei casi in cui il predetto soggetto responsabile del procedimento sia concretamente in grado, poichè titolare di potere discrezionale del procedimento in itinere di soddisfare le esigenze di tutela del contribuente”, di modo che la prescrizione in parola non si applica agli atti dell’agente della riscossione, atteso che egli è “privo di qualsivoglia potere discrezionale in relazione all’attività svolta” e che la cartella di pagamento è “atto a carattere vincolato”, rispetto al quale l’agente della riscossione è privo di qualsiasi potere di modificazione (Equitalia); ovvero perchè “la mancanza di quest’ultima indicazione non comporta tuttavia la nullità dell’atto, nè tanto meno questa è desumibile dal tenore o dalla ratio della norma”, stante altresì il disposto della L. n. 241 del 1991, art. 5, che della norma statutaria violata costituisce il modello di riferimento, che in difetto di detta indicazione assegna la qualifica di responsabile del procedimento al funzionario preposto all’unità organizzativa che ha emanato l’atto.

3.2. Il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite hanno affermato il principio, che si rende esattamente applicabile al caso di specie atteso che l’iscrizione a ruolo di cui qui si discute è avvenuta in epoca antecedente, secondo cui “l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 (c.d. Statuto del contribuente), a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di pagamento dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4 ter, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008” (11722/10). Successivamente, questa Corte ha altresì specificato che la cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita, come nel caso in esame, a ruoli consegnati ad agenti della riscossione in data anteriore al 1 giugno 2008, pur essendo formata in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 2, lett. a), non soltanto non è nulla, per le ragioni sopra specificate, ma non è affetta neanche da annullabilità, in quanto la disposizione citata è priva di sanzione e la violazione in questione non incide direttamente sui diritti costituzionali del destinatario, sicchè trova allora applicazione la L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, il quale, allo scopo di sanare con efficacia retroattiva tutti gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, esclude l’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma di atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, come nel caso della cartella esattoriale, il suo contenuto dispositivo non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (6395/14; 1425/13; 4516/12).

Ne consegue che non essendosi attenuta a questo principio neppure in parte qua la sentenza impugnata deve essere doverosamente cassata.

4. Non potendo peraltro questa Corte decidere nel merito, in ragione della pregiudizialità delle questioni decise dalla CTR rispetto alle altre portate al suo esame va disposto il rinvio della causa alla medesima che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie i ricorsi riuniti cassa l’impugnata sentenza e rinvia avanti alla CTR Veneto che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile, il 26 maggio 2014.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2014


Cass. civ., Sez. VI – 3, Sent., (data ud. 13/11/2014) 28/11/2014, n. 25307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9719/2013 proposto da:

CO.IN. (OMISSIS), E.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso lo studio dell’avvocato DARIO DE BLASIIS, rappresentati e difesi dall’avvocato BRANCATELLI ANTONINO, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

C.C. (OMISSIS), C.R. (OMISSIS), C.A. (OMISSIS), C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato MERLINO NICOLA, giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 203/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del 13/03/2012, depositata il 12/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO.

Svolgimento del processo
1. Ai fini che ancora rilevano nella presente controversia, nel 1996, Ca.Ca. convenne in giudizio E.S. e chiese il risarcimento dei danni. Assunse di essere stato investito, e di aver riportato delle lesioni, da E.S. alla guida di una Alfa Romeo, che sopraggiunse mentre egli cercava di trovare riparo allontanandosi dalla vettura Mercedes ferma a causa di un altro sinistro stradale.

Il C. all’udienza di prima comparizione chiese di integrare il contraddittorio nei confronti della proprietaria dell’Alfa Romeo, Co.In., avendo il convenuto eccepito l’irregolarità del contraddittorio per non essere stata citata la proprietaria del veicolo. Disposta l’integrazione del contraddittorio e rilevato da parte del giudice che non era andata a buon fine, l’attore chiese e ottenne il rinnovo della notifica, che effettuò tempestivamente in mani del figlio convivente della Co., la quale restò contumace.

Il Tribunale di Messina accolse la domanda e condannò, in solido, il conducente e la proprietaria della vettura, al pagamento di oltre Euro 27 mila e accessori.

Il processo di appello, instaurato dalla Co., nel quale l’ E. era restato contumace, venne interrotto per la morte del danneggiato e proseguì nei confronti degli eredi di questi, verso i quali era stato effettuato l’atto di riassunzione del contraddittorio dalla Co..

La Corte di appello di Messina rigettò l’impugnazione (sentenza del 12 aprile 2012).

2. Avverso la suddetta sentenza, la proprietaria ( Co.) e il conducente ( E.) dell’Alfa Romeo propongono un ricorso unico, affidato a due motivi di natura processuale.

I C. resistono con controricorso.

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 153 e 294 c.p.c..

Sotto un primo profilo – riproponendo l’eccezione di nullità dell’integrazione del contraddittorio di primo grado, rigettata dal giudice di appello – sostengono che erroneamente il giudice avrebbe concesso all’attore la possibilità di rinnovare la notifica dell’atto introduttivo di primo grado alla Co. nonostante la prima notifica disposta dal giudice, su richiesta dell’attore danneggiato, non fosse andata a buon fine per colpa del notificante a causa della incompleta trascrizione dell’indirizzo imputabile allo stesso notificante. Secondo i ricorrenti, il giudice, rilevata la mancata correttezza della prima notifica, avrebbe dovuto ritenere estinto il processo trattandosi di litisconsorzio necessario.

La censura non ha pregio e va rigettata.

2.1. Nella specie è pacifico: che si versa in ipotesi di contraddittorio necessario nei confronti del proprietario dell’autovettura; che l’integrazione del contraddittorio fu effettuata nel termine perentorio individuato dal giudice e che la stessa non si perfezionò per via dell’incompleta trascrizione dell’indirizzo del destinatario; che il giudice, richiesto, concesse nuovo termine per l’integrazione, il quale fu rispettato.

La tesi dei ricorrenti, secondo cui il giudice avrebbe erroneamente concesso nuovo termine, atteso che il mancato rispetto del primo termine era dipeso dalla parte e che comunque la parte non aveva dimostrato che il mancato rispetto fosse dipeso da fattori estranei alla sua volontà, non ha pregio.

2.2. In primo luogo deve rilevarsi che i ricorrenti invocano la violazione dell’art. 153 cit. e, sostanzialmente nella parte esplicativa del ricorso, dell’art. 184 bis c.p.c., ora abrogato, ma astrattamente applicabile alla causa ratione temporis, il quale, nel dare rilievo alla non imputabilità rispetto al richiedente della rimessione in termini, disciplina la diversa ipotesi di decadenza per mancato rispetto del termine perentorio. Mentre, nella specie, il termine era stato rispettato, ma l’integrazione del contraddittorio – tempestivamente richiesta – non si era perfezionata.

2.3. Nella specie, quindi, viene in questione la possibilità della rinnovazione dell’atto di integrazione del contraddittorio qualora il termine perentorio assegnato dal giudice sia stato rispettato.

La giurisprudenza di legittimità relativa alla fase dell’impugnazione è costante nell’affermare il principio che “In tema di integrazione del contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c., qualora risultino violate le norme che disciplinano il procedimento di notificazione, la nullità è sanabile attraverso la rinnovazione dell’atto di integrazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c., con fissazione di un nuovo termine anch’esso perentorio, purchè il precedente termine assegnato sia stato rispettato sia pure attraverso una notifica nulla, e non inesistente”. (da ultimo, Cass. 23 dicembre 2011, n. 28640); si ravvisa una nullità sanabile tutte le volte che sia possibile riconoscere nell’atto di integrazione la rispondenza ai modello legale della sua categoria; si ravvisa l’inesistenza quando tale riconduzione non sia possibile o, naturalmente, quando la integrazione non sia stata proprio effettuata (Cass. 7 febbraio 2006, n. 2593; Cass. 6 febbraio 2004, n. 2292).

Peraltro, anche in riferimento al processo di primo grado, si è affermato che “Qualora l’ordine di integrazione del contraddittorio nella fase di primo grado del processo, sia stato dalla parte eseguito nel termine fissato, con la consegna in tempo utile all’ufficiale giudiziario degli esemplari dell’atto da notificare, la eventuale nullità della notificazione dell’atto di integrazione, non rende inesistente o nulla la integrazione e non produce quindi l’estinzione del processo” e il giudice fissa un termine perentorio per rinnovare la notificazione. (Cass. 24 marzo 1971, n. 844).

Nella specie, trattandosi di errore materiale nella trascrizione dell’indirizzo del destinatario, che ne ha reso impossibile il perfezionamento, non può neanche propriamente parlarsi di violazione delle norme che disciplinano il procedimento di notificazione.

2.4. In conclusione, il profilo di censura è rigettato in applicazione del seguente principio di di rito: “In tema di integrazione del contraddittorio a norma dell’art. 102 c.p.c., qualora l’integrazione, effettuata nel rispetto del termine perentorio concesso dal giudice, non si sia perfezionata per incompleta trascrizione dell’indirizzo del destinatario, non viene in rilievo l’art. 184 bis c.p.c. (poi art. 153 c.p.c.) – il quale presuppone l’essere la parte incorsa nella decadenza e, quindi, rispetto alla ipotesi rilevante nella specie, il non aver posto in essere l’atto di integrazione o l’aver effettuato un atto di integrazione qualificabile come inesistente – ma è applicabile l’art. 291 c.p.c., trattandosi di un vizio assimilabile alla violazione delle norme che disciplinano il procedimento di notificazione, con conseguente fissazione di un termine perentorio per rinnovare l’integrazione del contraddittorio”.

3. Sotto un secondo profilo, per la verità non collegato alle norme censurate, si sostiene la nullità della notificazione alla Co. (quella rinnovata) perchè il figlio non era convivente, ma presente nell’abitazione solo occasionalmente.

3.1. Il profilo è inammissibile.

La sentenza non si pronuncia su tale questione e nel ricorso non si deduce di averla dedotta con l’appello, con conseguente novità.

Peraltro, sarebbe manifestamente infondato, atteso che “In tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare a persona di famiglia, secondo il disposto dell’art. 139 c.p.c., non postula necessariamente nè il solo rapporto di parentela – cui è da ritenersi equiparato quello di affinità – nè l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma, risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la persona di famiglia consegnerà l’atto al destinatario stesso; resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l’atto l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo”. (Cass. 15 ottobre 2010, n. 21362).

4. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 101 e 292 c.p.c., e art. 125 disp att. c.p.c..

Rilevato che la riassunzione del processo di appello – interrotto per morte del danneggiato – effettuata impersonalmente nei confronti degli eredi di questo, non era stata notificata dall’appellante Co. all’altro appellato ( E., guidatore) contumace, mentre tale notifica sarebbe stata necessaria per il radicale mutamento della preesistente situazione processuale, i ricorrenti Co. ed E. deducono la nullità del giudizio per violazione del contraddittorio (potendo avere l’appellato contumace interesse a far valere eccezioni processuali da opporre ai nuovi soggetti), che avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio dal giudice.

4.1 Il motivo è inammissibile.

I ricorrenti invocano una violazione processuale senza rispettare l’art. 366 c.p.c., n. 6, non riportando, per la parte di interesse, l’atto processuale di riassunzione che avrebbe omesso tra i destinatari il conducente contumace in appello. Anche considerando che nella sentenza non vi è cenno di tale omessa notifica, affermandosi genericamente che il processo veniva riassunto nei confronti degli eredi del danneggiato, la Corte non è posta in grado di verificare la decisività della censura.

Si consideri, inoltre, che il ricorrente interessato ( E.) pur invocando quella giurisprudenza che da rilievo all’interesse del contumace ad essere informato in presenza di variazioni soggettive del giudizio, si limita a richiamare i motivi di possibile interesse senza indicare specificamente quelli che avrebbe potuto far valere nel processo di appello se fosse stato informato, senza, quindi, indicare l’interesse concreto all’accertamento della eventuale nullità.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate sulla base dei parametri vigenti.

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore dei contro ricorrenti, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2014


Cass. civ. Sez. VI – 3, Sent., (ud. 13-11-2014) 27-11-2014, n. 25215

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6302/2013 proposto da:

G.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati RAGOZZINO RENATO, GIULIANA SCARICABAROZZI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, in persona del procuratori elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

AZIENDA SANITARIA LOCALE “(OMISSIS)”, AZIENDA OSPEDALIERA CTO – CRF (OMISSIS);

– intimate –

avverso la sentenza n. 1476/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO del 21/12/2011, depositata il 13/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato Renato Ragozzino difensore della ricorrente che si riporta agli scritti;

udito l’Avvocato Giorgio Spadafora difensore della controricorrente che si riporta agli scritti ed insiste per l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
1. G.B. convenne in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale “(OMISSIS)”, già AUSL n. (OMISSIS) di Vercelli, e l’Azienda Ospedaliere C.T.O. – CRF (OMISSIS) e chiese il risarcimento dei danni materiali e non materiali conseguenti alla responsabilità sanitaria dei medici. Il giudizio di primo grado, nel quale l’Azienda Ospedaliera C.T.O. aveva chiamato in manleva l’Allianz spa, si concluse con la condanna della ASL di Vercelli al pagamento di Euro 4.000,00 a titolo di danni morali, nonchè della Azienda ospedaliera al risarcimento a vario titolo per oltre Euro 45 mila, e con l’accoglimento della domanda di manleva.

La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione di prime cure, condannò l’ASL di Vercelli al pagamento di quasi Euro 8.000,00, oltre accessori, a titolo di danno biologico temporaneo, escludendo la condanna a tale titolo della Azienda ospedaliera, con conseguente riduzione della manleva; confermò per il resto la decisione (sentenza del 13 settembre 2012).

2. Avverso la suddetta sentenza, la G. propone ricorso per cassazione con unico motivo.

L’Allianz spa resiste con controricorso e deduce preliminarmente l’inammissibilità.

Nelle memorie, presentate dalle parti costituite, viene discusso il profilo della inammissibilità del controricorso della Allianz per essere stato notificato presso la cancelleria della Corte di cassazione, nonostante l’indicazione nel ricorso della posta elettronica certificata (PEC).

Le altre parti, ritualmente intimate, non svolgono difese.

Motivi della decisione
1. Preliminare è l’esame della eccezione di inammissibilità del controricorso, formulata dalla difesa della ricorrente con la memoria illustrativa, sul rilievo che la notificazione dell’atto è stata effettuata presso la cancelleria di questa Corte, e ciò nonostante che nel ricorso fosse indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata.

1.1. L’eccezione non è fondata.

Nel ricorso, gli avvocati – muniti di procura speciale per rappresentare e difendere la parte sia congiuntamente che disgiuntamente – hanno dichiarato “ai sensi degli artt. 136 e 170 c.p.c….di accettare le comunicazioni loro inviate dalla cancelleria all’utenza telefax….ovvero all’indirizzo di posta elettronica certificata……con domicilio eletto a Milano,….presso lo studio dei…difensori”.

Ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 2, (nel testo introdotto dalla L. n. 183 del 2011, applicabile ratione temporis, trattandosi di ricorso notificato nel marzo 2013) “se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma ovvero non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicata al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione”.

Quindi, la notificazione del controricorso può essere validamente effettuata presso la cancelleria della Corte di cassazione se manca la elezione del domicilio in Roma da parte del ricorrente e se questi non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata. La domiciliazione ex lege presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria innanzi alla quale è in corso il giudizio consegue solo ove il difensore non abbia indicato l’indirizzo suddetto. Mentre, se tale indicazione sussiste la notificazione del controricorso deve essere effettuata nella forma telematica (Cass. 28 novembre 2013, n. 26696; Sez. Un. n. 10143 del 2012).

Nella specie, è pacifico che la ricorrente non aveva eletto domicilio a Roma e, ritiene il Collegio, che non sia stato indicato in ricorso l’indirizzo di posta elettronica certificata, richiesto dall’art. 366 cit. ai fini delle notificazioni. Infatti il riferimento alla PEC è fatto nell’intestazione del ricorso – peraltro solo in riferimento ad uno dei difensori – ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria. E, mentre la indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo per il notificante di utilizzare la notificazione in forma telematica, non altrettanto può dirsi nel caso di inequivocabile riferimento alle sole comunicazioni inviate dalla cancelleria.

Consegue che il controricorso, notificato presso la cancelleria di questa Corte sul presupposto della sussistenza di entrambi i requisiti della mancata elezione di domicilio e della mancata indicazione della posta elettronica certificata, va dichiarato ammissibile.

1.2. Deve aggiungersi che, comunque, anche ipotizzando la irritualità della notifica così effettuata, la nullità non potrebbe essere dichiarata stante il raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c., comma 3), atteso che il ricorrente ha riconosciuto di aver avuto conoscenza del controricorso (ottenuto via fax dalla cancelleria della Corte di cassazione) (Cass. 18 giugno 2014, n. 13857).

2.Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 2043 c.c., quale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di gravame e di discussione tra le parti, costituito dalla mancata liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, quale danno distinto dal danno biologico e dal danno non patrimoniale.

Nella parte esplicativa, la ricorrente/danneggiata richiama gli atti processuali del processo di appello nei quali aveva chiesto la liquidazione del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, in via autonoma dal danno biologico, che assorbirebbe solo la perdita della capacità lavorativa generica. Sostiene che la Corte di merito, omettendo di esaminare tale profilo di impugnazione, avrebbe violato l’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’”attuale formulazione”, avendo omesso di esaminare un fatto principale costitutivo di un diritto, così non esaminando uno specifico profilo di danno il cui esame era stato sollecitato con l’impugnazione.

Il motivo è inammissibile.

2.1. E’ applicabile ratione temporis l’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato nel 2012, atteso che la sentenza impugnata è stata depositata il 13 settembre 2012.

E, tuttavia, il motivo è inammissibile a prescindere dalla nuova formulazione della norma in argomento.

Di recente, le Sez. Un. hanno affermato il principio secondo cui “Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”. (24 luglio 2013, n. 17931).

2.2. Nella specie, ai fini della inammissibile invocazione dell’art. 360, n. 5 cit. rileva, non la mancanza del richiamo formale all’art. 112 c.p.c., ma, lo svolgersi di tutta la parte esplicativa del motivo quale mancanza di motivazione sulla censura di appello, con violazione della legge sostanziale (art. 2043 c.c.), che avrebbe imposto la liquidazione della voce di danno da perdita della capacità lavorativa specifica. Argomentazioni che si accompagnano alla totale assenza di ogni riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, la quale costituisce, invece, la peculiarità della violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulla domanda.

Ne consegue la indeterminatezza e la mancanza di specificità della censura, con conseguente violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, che consente il ricorso di legittimità solo nell’ambito di una griglia vincolata secondo le previsioni del legislatore.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate sulla base dei parametri vigenti nei confronti della controricorrente.

Non sussistono i presupposti per la liquidazione delle spese nei confronti delle parti che non si sono difese.

P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 novembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 27 novembre 2014


Cass. civ., Sez. V, Sent., (data ud. 17/07/2014) 26/11/2014, n. 25079

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Equitalia Centro spa, quale incorporante Equitalia Emilia Nord spa (già denominata S.E.I.T. Parma spa), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma Via Monte delle Gioie 13, presso lo studio dell’Avv.to VALENSISE CAROLINA, che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente al’l’Avv.to Mara Lodi, in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.B., elettivamente domiciliato in Roma Viale Giuseppe Mazzini 113, presso lo studio dell’Avv.to PAGNOTTA NICOLA, che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

e Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente e ricorrente Incidentale –

e sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege;

– ricorrente –

contro

B.B.;

– intimato –

e Equitalia Centro spa, quale incorporante Equitalia Emilia Nord spa (già denominata S.E.I.T. Parma spa), in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma Via Monte delle Gioie 13, presso lo studio dell’Avv.to Carolina Valensise, che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’Avv.to Mara Lodi, in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1-62/22/2007 della Commissione Tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, Sezione Staccata di Parma, depositata il 26/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/07/2014 dal Consigliere Dott. Giulia Iofrida;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo
La società Equitalia Emilia Nord spa (già denominata S.E.I.T. Parma spa), agente della riscossione, da un lato, e l’Agenzia delle Entrate, dall’altro, propongono separati ricorsi per cassazione, affidati, il primo, ad un motivo, il secondo, a tre motivi, nei confronti, rispettivamente, di B.B., dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero dell’Economia e delle Finanze (ricorso n. 7121/2009) e di B.B. ed Equitalia Emilia Nord spa (già Seit Parma spa), (ricorso n. 9334/2009), avverso la stessa sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, Sez. Staccata di Parma, n. 162/22/2007, depositata in data 26/02/2008, con la quale – in una controversia concernente lrimpugnazione di una cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo formale, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 ter, della dichiarazione dei redditi Modello Unico 2001, in relazione a maggiore IRPEF dovuta dal contribuente B.B., stante il disconoscimento della deducibilità di un importo versato a titolo di assegno divorzile, per l’anno d’imposta 2000 – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

Il contribuente aveva impugnato la cartella, eccependo la nullità assoluta della sua notifica (effettuata in data 21/01/2005, ai sensi dell’art. 140 c.p.c., a mezzo di affissione all’Albo Pretorio del Comune di Parma, residenza anagrafica del medesimo, essendo risultato il destinatario dalla relata dell’ufficiale postale “trasferito”), nonchè, nel merito, l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo per violazione del disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 ter, e carenza del presupposto impositivo.

I giudici della C.T.P. di Parma avevano ritenuto fondata l’eccezione pregiudiziale di nullità assoluta della notifica della cartella esattoriale, effettuata dall’agente per la riscossione. I giudici d’appello, nel respingere gli appelli della SEIT e dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che la notifica della cartella esattoriale, ex art. 140 c.p.c., non poteva ritenersi ritualmente avvenuta e dovesse essere qualificata come “inesistente ed in nessuno modo sanabile”, in quanto, a fronte della restituzione al mittente della raccomandata, contenente l’avviso di affissione all’Albo pretorio del Comune di Parma, con “la dizione “trasferito”, erroneamente appostatavi dall’ufficiale postale” (tanto che, a seguite di ulteriori verifiche, era “risultato che il B.B. non aveva mai variato la propria residenza”), l’agente della riscossione, anzichè rimanere inerte, avrebbe dovuto procedere “alla rinnovazione della notifica” (avendo scelto invece di inoltrare una semplice lettera di sollecito, “regolarmente notificata al contribuente alla stessa residenza”), non essendo il contribuente “senza sua colpa” venuto a conoscenza dell’atto impostivo al fine di poter proporre una tempestiva impugnazione.

Nel ricorso n. 7121/2009, le parti intimate B. ed Agenzia delle Entrate hanno depositato controricorsi. L’Agenzia delle Entrate ha. depositato altresì ricorso incidentale, affidato a tre motivi, cui ha replicato, con controricorso, la ricorrente Equitalia. La Equitalia Centro spa, incorporante Equitalia Emilia Nord, ha pure depositato memoria, ex art. 378 c.p.c..

Nel ricorso n. 9334/2009, ha depositato controricorso la sola Equitalia Emilia Nord spa, ora Equitalia Centro spa.

Motivi della decisione
Vanno preliminarmente riuniti i due ricorsi nn. 7121/2009 e 9334/2004 ed il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate, trattandosi di ricorsi proposti avverso la medesima sentenza, ex art. 335 c.p.c..

Sempre in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da Equitalia anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di legittimazione passiva, non avendo assunto l’Amministrazione statale la posizione di parte processuale nel giudizio di appello svoltosi avanti la C.T.R. della Emilia-Romagna, in data successiva all’I.1,2001 (subentro delle Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici tributar pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita estromissione della Amministrazione statale ex art. 111 c.p.c., comma 3, (cfr. Cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).

La ricorrente Equitalia lamenta l’erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 140 c.p.c., richiamato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, dovendo ritenersi che, in ipotesi di notifica di un atto non processuale, quale la cartella esattoriale, debbano essere salvaguardati, a fronte dell’avvenuta impugnazione da parte del contribuente della cartella di pagamento o di un atto ad essa successivo, gli effetti del comportamento del concessionario per la riscossione, il quale, correttamente, abbia effettuato la notifica del suddetto atto, ex art. 140 c.p.c., all’indirizzo, rimasto invariato, costituente la residenza anagrafica del contribuente, ed abbia successivamente compiuto le formalità, prescritte in assenza temporanea del destinatario, del deposito di un avviso presso la casa comunale e dell’affissione all’albo pretorio.

Ad avviso di Equitalia, infatti, il successivo errore, dell’agente postale nella consegna della raccomandata, contenente l’informativa al destinatario del deposito e dell’affissione suddetti, con indicazione, sulla relata, dell’avvenuto “trasferimento” del destinatario, pur essendo invece corretto ed invariato l’indirizzo, e conseguenti mancato recapito al destinatario e restituzione al Concessionario mittente, integra un vizio comunque sanato dall’impugnazione del contribuente.

L’Agenzia ricorrente lamenta, a sua volta, nel ricorso principale n. 9334/2009 e nel ricorso incidentale al ricorso n. 7121/2009: 1) con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 140 c.p.c., D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, per avere i giudici della Commissione Tributaria Regionale ritenuto inesistente la notifica della cartella, pur effettuata in conformità al disposto dell’art. 140 c.p.c., e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, non essendo necessario, ai fini della validità del procedimento notificatorio, che la raccomandata, con la quale viene data comunicazione, al destinatario della notifica, del deposito dell’atto presso la Casa comunale, venga effettivamente ricevuta dal medesimo, essendo necessaria soltanto la sua spedizione presso la residenza anagrafica, lo stesso luogo nel quale l’Ufficiale giudiziario aveva lasciato l’avviso; 2) cori il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 140, 156 e 160 c.p.c., D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, per avere comunque i giudici d’appello ritenuto addirittura inesistente anzichè nulla detta notifica, pur non essendo stato l’atto notificato in luogo privo di qualsiasi collegamento con il destinatario; 3) con il terzo motivo, sempre ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 ter, D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 25 e 26, L. n. 212 del 2000, art. 7, dovendo ritenersi, in ogni caso, che la nullità del procedimento notificatorio fosse stata sanata dalla proposizione, da parte del contribuente, del ricorso giurisdizionale, non avendo lo stesso eccepito l’intervenuta decadenza dell’Amministrazione finanziaria dal potere impositivo.

Tutti i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

Va premesso che il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, prevede che, nelle fattispecie di cui all’art. 140 c.p.c., (irreperibilità c.d. relativa del destinatario o rifiuto di ricevere la copia nei luoghi di residenza, dimora o domicilio, noti ed esattamente individuati, dovendo altrimenti osservarsi il disposto dell’art. 143 c.p.c.), la notifica della cartella di pagamento si effettui con le modalità fissate dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 (“lett. e) quando nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi è abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l’avviso del deposito prescritto dall’art. 140 c.p.c., si affigge nell’albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell’ottavo giorno successivo a quello di affissione”).

La notifica, secondo l’art. 26 citato, “si ha per eseguita nel giorno successivo a quello in cui l’avviso del deposito è affisso nell’albo del comune”.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 3 del 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., disposizione richiamata dall’art. 26 citato, nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anzichè con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione. A seguito di tale sentenza, pertanto, la notificazione effettuata ai sensi di tale disposizione si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione (Cass. 14316/2011).

La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 258/2012, ha dichiarato inoltre l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, comma 3, (corrispondente all’attualmente vigente comma 4), nella parte in cui stabilisce, per L’appunto, che la notificazione della cartella di pagamento “nei casi pxevisti dall’art. 140 c.p.c. … si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60”, anzichè “nei casi in cui nel comune nel quale deve eseguirsi la notificazione non vi sia abitazione, ufficio o azienda del destinatario… si esegue con le modalità stabilite dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, comma 1, alinea e lett. e)”.

I giudici della Consulta hanno infatti evidenziato che, nell’ipotesi di irreperilpilità meramente “relativa” del destinatario (vale a dire, nei casi previsti dall’art. 140 c.p.c., come recita il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3), la cartella di pagamento andrebbe notificata, secondo la lettera della disposizione, applicando, in realtà, non l’art. 140 c.p.c., ma le formalità previste per la notificazione degli atti di accertamento a destinatari “assolutamente” irreperibili (lettera e) del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1) e che pertanto, a differenza di quanto previsto per la notifica dell’avviso di accertamento, per la validità della notificazione della cartella, “nonostante che il domicilio fiscale sia noto ed effettivo”, non Sarebbero “necessarie… nè l’affissione dell’avviso di deposito alla porta dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, nè la comunicazione del deposito mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”, essendo prevista solo l’affissione nell’albo del Comune, secondo modalità improntate ad un criterio legale tipico di conoscenza della cartella (sul modello di quanto previsto dall’art. 143 c.p.c.), con evidente disparità di trattamento di situazioni omologhe e violazione dell’art. 3 Cost..

La Consulta ha quindi ritenuto necessario “restringere” la sfera di applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 3, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1, alinea e lett. e), “alla sola ipotesi di notificazione di cartelle di pagamento a destinatario “assolutamente” irreperibile e, quindi, escludendone l’applicazione al caso di destinatario “relativamente” irreperibile, previsto dall’art. 140 c.p.c.”, cosicchè, nei casi di “irreperibilità c.d. relativa” (cioè nei casi di cui all’art. 140 c.p.c.), va invece applicato, con riguardo alla notificazione delle cartelle di pagamento, il disposto dello stesso D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, u.c., in forza del quale “per quanto non è regolato dal presente articolo, si applicano le disposizioni del predetto D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60” e, quindi, in base all’interpretazione data,a tale normativa dal diritto vivente, quelle dell’art. 140 c.p.c., cui anche rinvia l’alinea del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1.

Pertanto, le disposizioni sopra richiamate richiedono effettivamente, per la validità della notificazione della cartella di pagamento, effettuata nei casi di irreperibilità c.d. relativa del destinatario, quali disciplinati dall’art. 140 c.p.c., l’inoltrò al destinatario della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la Casa – comunale e la sua effettiva ricezione, non essendo, per tale modalità di notificazione degli atti, sufficiente la sola spedizione.

Il perfezionamento della notifica effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., necessita dunque del compimento di tutti gli adempimenti stabiliti da tale norma, con la conseguenza che, in caso di omissione di uno di essi la notificazione è da considerarsi nulla.. La notificazione, è invece inesistente quando essa manchi del tutto ovvero sia stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla legge, come, ad es., nel caso sia avvenuta in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano attinenza alcuna (o che non presentino alcun…. riferimento o collegamento) con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea.

Orbene, nella specie non sono stati effettuati tutti gli adempimenti previsti dall’art. 140 c.p.c., per il perfezionamento del procedimento notificatorio, atteso che la raccomandata, contenente la notizia del deposito presso la casa comunale dell’atto impositivo (non consegnato al contribuente per una sua irreperibilità c.d.

relativa), a causa di un errore dell’ufficiale postale, il quale apponeva sulla relata la dicitura “trasferito” riferita al destinatario, pur essendone rimasta invariata la residenza, non perveniva nella sfera di conoscenza di quest’ultimo e veniva restituita al mittente.

In definitiva, la notifica della cartella di pagamento è stata effettuata senza il rispetto di tutte le prescrizioni dettate dalla normativa operante nei casi di irreperibilità c.d. relativa del destinatario dell’atto.

E’ stato altresì accertato dai giudici di merito (ed è comunque pacifico) che il B. ha avuto conoscenza del carico tributario iscritto a ruolo (che risultava notificato “in data 20/01/2005, ai sensi dell’art. 140 c.p.c.”, con le modalità sopra descritte) solo nel maggio 2005, a seguito di ricezione di un “sollecito di pagamento” da parte del Concessionario S.E.I.T..

Ora, questa Corte ha già affermato (Cass. 4308/1992; Cass. 11156/1996; Cass. 5100/1997), con riguardo alla notificazione dell’avviso di accertamento in materia di imposte sui redditi, che, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, la notificazione “è ritualmente eseguita mediante deposito dell’atto nella casa comunale ed affissione dell’avviso di deposito nell’albo del comune – senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, nè di ulteriori ricerche al di fuori del comune di domicilio fiscale – soltanto nell’ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il messo notificante deve svolgere nell’ambito del detto comune, in esso non si rinvenga l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente; nel caso invece di mancato rinvenimento del contribuente o di altra persona capace e disposta a ricevere l’atto nel luogo di effettiva abitazione o ufficio o azienda del contribuente nel comune di domicilio fiscale, la notificazione và eseguita per intero a norma dell’art. 140 c.p.c., con tutti gli adempimenti ivi prescritti (deposito di copia dell’atto nella casa comunale, affissione dell’avviso alla porta dell’abitazione, spedizione della raccomandata), che sono tutti essenziali per il compimento e la costituzione della stessa fattispecie notificatoria”, con la conseguente “inesistenza” della notificazione “eseguita direttamente a norma dell’art. 140 c.p.c., mediante il solo deposito nella casa comunale ed affissione nel relativo albo, senza che dalla, relata risulti lo svolgimento di ricerche che abbiano accertato la mancanza nel comune dell’effettiva abitazione – o ufficio o azienda del contribuente”.

Risulta pertanto corretta la decisione dei giudici d’appello, in punto di inesistenza della notifica, in quanto effettuata con modalità non conformi allo schema legale tipico.

In ordine poi al profilo, eccepito sia da Equitalia sia dall’Agenzia delle Entrate, relativo all’intervenuta sanatoria del vizio di notificazione della cartella esattoriale, per effetto dell’impugnazione comunque proposta, nel dicembre 2005, dal contribuente, occorre rilevare che, da un lato, non può parlarsi di “raggiungimento dello scopo dell’atto”, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., (alla luce di quanto affermato da queste S.U. nella sentenza del n. 19854 del 2004, relativamente anche alle ipotesi in cui la nullità dell’atto impositivo attenga alla sua notificazione), avendo il B. avuto conoscenza dell’esistenza del ruolo soltanto a seguito della notifica di un successivo e distinto sollecito di pagamento, da parte del concessionario per la riscossione, e che, dall’altro lato, lo stesso Concessionario aveva, in giudizio, eccepito la tardività dell’impugnazione del contribuente, in quanto proposto oltre i termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.

Al riguardo, questa Corte ha, con consolidato orientamento, affermato che “la nullità della notificazione dell’atto impositivo è sanata, a norma dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per effetto del raggiungimento del suo scopo, il quale, postulando che alla notifica invalida sia comunque seguita la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, può desumersi anche dalla tempestiva impugnazione, ad òpera di quest’ultimo, dell’atto invalidamente notificato” (Cass.1238/2014;

Cass. 1088 e 17251/2013; Cass. 15849/2006; Cass. S.U. 19854/2004).

I ricorsi riuniti vanno pertanto respinti.

Le spese processuali, considerate tutte le peculiarità della concreta fattispecie, vanno integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.
La Corte, riunito al ricorso n. 7121/2009 il ricorso incidentale e quello n. 9334/2009, rigetta tutti i ricorsi riuniti; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2014


Istanze alla P.A.: per il responsabile del procedimento vige l’obbligo di motivazione sulle osservazioni presentate a seguito del preavviso di rigetto

L’art. 10-bis della legge 241/1990 “Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza” stabilisce l’obbligo per la P.A. – nei procedimenti ad istanza di parte – del c.d. preavviso di rigetto. Tale istituto si sostanzia nell’obbligo di comunicazione agli istanti, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, dei motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza. Entro il termine di 10 gg. gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale.

Si tratta senza dubbio di una norma di garanzia partecipativa che ha la finalità di consentire, anche nei procedimenti ad istanza di parte, gli apporti collaborativi dei privati, allo scopo di porli in condizione di chiarire – già nella fase procedimentale (come fattore deflattivo di contenzioso) – tutte le circostanze ritenute utili ai fini della definizione del vicenda. In questa direzione, il cittadino ha la possibilità di formulare osservazioni scritte, del cui mancato accoglimento “deve essere data ragione nel provvedimento finale” (TAR Lazio, sez. III, sentenza n. 13300/2009). E’ quindi del tutto evidente che è illegittimo il provvedimento amministrativo che riproduca in sostanza le stesse argomentazioni poste a fondamento del diniego, senza considerare e valutare le osservazioni e le eventuali controdeduzioni presentate dall’istante (a seguito del preavviso di rigetto).

Su questo delicato aspetto, vanno segnalate 2 nuove interessanti sentenze che richiamano l’attenzione sul difetto di motivazione.

TAR Sardegna, sezione II, sentenza n. 264/2014

Se è vero infatti che l’art. 10-bis della legge 241/1990 … non impone la puntuale e analitica confutazione delle argomentazioni svolte dalla parte privata – essendo sufficiente ai fini della giustificazione del provvedimento adottato la motivazione complessivamente e logicamente resa a sostegno dell’atto stesso – è altrettanto vero che l’assolvimento dell’obbligo di dar conto nella motivazione del provvedimento finale delle ragioni del mancato accoglimento delle osservazioni presentate a seguito della comunicazione del motivi ostativi, non può consistere nell’uso di formule di stile che affermino genericamente la loro non accoglibilità, dovendosi dare espressamente conto delle ragioni che hanno portato a disattendere le controdeduzioni formulate.

Consiglio Stato, sezione III, sentenza n. 4021/2014

Si deve ritenere precluso alla P.A. fondare il provvedimento conclusivo su ragioni del tutto nuove rispetto a quelle rappresentate nella comunicazione ex art. 10-bis legge 241, pena la violazione del diritto dell’interessato di effettiva partecipazione al procedimento, che si estrinseca nella possibilità di presentare le proprie controdeduzioni utili all’assunzione della determinazione conclusiva dell’ufficio. L’obbligo dell’Amministrazione inerente al contraddittorio partecipativo non implica la confutazione puntuale di tutte le osservazioni svolte dall’interessato, essendo sufficiente che il provvedimento amministrativo sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione dell’Amministrazione alle deduzioni difensive del privato


Si chiamerà Spid il Pin unico per accedere ai servizi della P.A.

Il Pin unico per accedere a tutti i servizi online prende forma. Si chiamerà ‘Spid’ un acronimo che sta per Sistema pubblico di identità digitale. E c’è già una tabella di marcia, che prevede due fasi, la prima scatterà ad aprile del 2015 per arrivare al 2017 con 10 milioni di utenti collegati. Una sola chiave quindi per accedere da casa, senza fare file allo sportello, ai diversi servizi web, da quelli previdenziali (Inps) alle pratiche fiscali (Agenzia Entrate).

Porte aperte anche per Comuni, scuole o ASL: basterà un click. Lo Spid mira così a facilitare la vita dei cittadini, riducendo costi e tempi (sarà un caso, ma la pronuncia coincide con la parola che in inglese sta per velocità).

L’accordo tra Stato, Regioni e comuni sull’Agenda per la semplificazione contiene molti altri elementi. In tutto si tratta di 37 punti, muniti di scadenze e obiettivi.
A dare l’annuncio, via web, dell’intesa è lo stesso Ministro della p.a., Marianna Madia.

In un tweet il Ministro, sotto l’hashtag #Repubblicasemplice, sintetizza così l’accordo raggiunto in Conferenza unificata: “tempi certi su digitale, fisco, welfare, edilizia, impresa”.

Cinque capitoli quindi che raccolgono semplificazioni sbandierate da anni ma mai realizzate, promesse pronunciate di recente e new entry come la dichiarazione di successione online, con riduzione di tempi e oneri (basterà un adempimento unico per denuncia di successione, voltura catastale e trascrizione).


Poste Italiane – Nuove condizioni economiche in vigore dal 01/12/2014

A partire dal 01/12/2014, nel rispetto dei limiti e delle prescrizioni contenute nella Delibera 728/13/CONS dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, varieranno le condizioni economiche di alcuni servizi universali di corrispondenza e pacchi così come di seguito indicato:

 a) Le tariffe della Posta Prioritaria (Retail) saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e formati. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da € 0,70 a € 0,80.

 b) Le tariffe della Posta Raccomandata (Retail) saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da € 3,60 a € 4,00. Tale incremento sarà applicato anche alle comunicazioni connesse alla notificazione degli Atti Giudiziari.

 c) Le tariffe dell’Atto Giudiziario saranno diminuite in tutti gli scaglioni di peso. In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi varierà da € 7,20 a € 6,60.

 e) Le tariffe del Pacco Ordinario Nazionale saranno rimodulate in due scaglioni di peso per le due tipologie di formato esistenti. In particolare, ai pacchi da 0-10 kg (standard) sarà applicata la tariffa di € 9,00 e a quelli da 10-20 kg (standard) sarà applicata la tariffa di € 12,00.

 f) Le tariffe della Posta Prioritaria Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici ed online). In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da € 0,85 a € 0,95.

 g) Le tariffe della Posta Raccomandata Internazionale saranno incrementate in tutti gli scaglioni di peso e per tutte le zone tariffarie di destinazione e per tutti i canali di accettazione (fisici ed online).

In particolare, la tariffa per gli invii fino a 20 grammi per la Zona 1 varierà da € 4,80 a € 5,30.

h) Le tariffe del Pacco Ordinario Internazionale saranno modificate e articolate in unico listino prezzi suddiviso in zone.

i) Le tariffe dell’Avviso di Ricevimento (A.R.) dei seguenti servizi saranno incrementate:

  • per l’interno: Posta Raccomandata Retail, nonché, ove accettati presso gli UP, Posta Assicurata Retail, Pacco Ordinario Nazionale e pieghi di libri da € 0,70 a € 0,80
  • per l’estero: Posta Raccomandata Internazionale, Posta Assicurata Internazionale, M-Bags Economy raccomandato, Pacco Ordinario Internazionale da € 0,85 a € 0,95.

Gli altri prodotti e servizi universali (ivi compresi quelli accessori) non subiranno variazioni tariffarie.

Le informazioni di dettaglio relative alle variazioni introdotte sono disponibili dal 1° novembre 2014 presso gli Uffici Postali e negli altri centri di accettazione.


Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 09-10-2014) 13-11-2014, n. 24260

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CICALA Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – rel. Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Riscossione Sicilia s.p.a., in persona del legale rapp.te pro tempore, elett.te dom.to in Roma, alla via Tibullo 20, presso lo studio dell’avv. Tarantino Maria, rapp.to e difeso dall’avv. Di Salvo Giovanni, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

B.G., elett.te dom.to in Roma, alla via Arbia 15, presso lo studio dell’avv. Sernicola Maria Rosaria, rapp.to e difeso, unitamente all’avv. D’Asaro Giacomo, giusta procura in atti;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia n. 87/1/2012 depositata il 28/6/2012;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 9/10/2014 dal Dott. Marcello Iacobellis;

Udito l’avv. Di Salvo per la ricorrente e l’avv. D’Asaro per il controricorrente.

Svolgimento del processo
La controversia promossa da B.G. contro Riscossione Sicilia s.p.a. è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il rigetto dell’appello proposto dalla Società contro la sentenza della CTP di Palermo n. 41/10/2009 che aveva accolto il ricorso avverso gli avvisi di intimazione n. (OMISSIS).

Il ricorso proposto si articola in unico motivo. Resiste con controricorso il contribuente.

Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c.. Il presidente ha fissato l’udienza del 9/10/2014 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione
Assume la ricorrente la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. E) e dell’art. 140 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Contrariamente a quanto affermato dalla CTR, la notifica delle cartelle di pagamento ex art. 60 cit – avvenuta nel 2001 e nel 2002 – sarebbe stata rituale, vertendosi in ipotesi di irreperibilità assoluta, come attestato dal certificato di residenza storica rilasciato nel 2008, allegato fin dal primo grado di giudizio.

La censura è infondata. Questa Corte ripetutamente ha affermato (Sez. 5, Sentenza n. 16696 del 03/07/2013; Sez. 5, Sentenza n. 14030 del 27/06/2011) che la notificazione degli avvisi e degli atti tributali impositivi, nel sistema delineato dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 cod. proc. civ. quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perchè questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui all’art. 60 cit., comma 1, lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perchè risulta trasferito in luogo sconosciuto, accertamento questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel Comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune.

Orbene l’affermazione della CTR secondo cui “in ogni caso la procedura disciplinata dalla norma mentovata non esclude la formalità di cui all’art. 140 c.p.c.” non è di per sè sufficiente a determinare la cassazione della decisione sulla base dell’assunto vizio, avendo la CTR altresì affermato che “manca la prova che all’atto della notificazione delle cartelle (2001,2002) fosse già acclarata siffatta posizione del contribuente”.

Tale affermazione risulta conforme a diritto dovendo escludersi che l’attestazione circa l’irreperibilità o il trasferimento in altro comune possa essere fornita dalla parte, nel corso del giudizio, laddove il messo notificatore abbia attestato la sola irreperibilità, senza ulteriore attestazione in ordine alle ricerche compiute “per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune”. Inammissibile è altresì il riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 contenuto nella rubrica della censura non essendo specificato il fatto controverso. Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso.

Le circostanze che caratterizzano la vicenda giustificano la compensazione delle spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso compensando tra le parti le spese del giudizio. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2014.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2014


DECRETO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 novembre 2014(1).

Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005.

(1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 gennaio 2015, n. 8.

IL PRESIDENTE

DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Visto il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, recante «Codice dell’amministrazione digitale» e, in particolare, gli articoli 20, 22, 23-bis, 23-ter, 40, comma 1, 41 e l’71, comma 1;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa»;

Visto il decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e successive modificazioni, recante «Codice in materia di protezione dei dati personali»;

Visto il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, recante «Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137»;

Visti gli articoli da 19 a 22 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure urgenti per la crescita del Paese», con cui è stata istituita l’Agenzia per l’Italia digitale;

Visto il Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea serie L 257 del 28 agosto 2014;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 febbraio 2013, recante «Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme elettroniche avanzate, qualificate e digitali, ai sensi degli articoli 20, comma 3, 24, comma 4, 28, comma 3, 32, comma 3, lettera b), 35, comma 2, 36, comma 2, e 71», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21 maggio 2013, n. 117;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 dicembre 2013, recante «Regole tecniche in materia di sistema di conservazione ai sensi degli articoli 20, commi 3 e 5-bis, 23-ter, comma 4, 43, commi 1 e 3, 44, 44-bis e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005», pubblicato nel Supplemento ordinario n. 20 alla Gazzetta Ufficiale – serie generale – 12 marzo 2014, n. 59;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 dicembre 2013, recante «Regole tecniche per il protocollo informatico ai sensi degli articoli 40-bis, 41, 47, 57-bis e 71, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005», pubblicato nel Supplemento ordinario n. 20 alla Gazzetta Ufficiale – serie generale – 12 marzo 2014, n. 59;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 21 febbraio 2014 con cui l’onorevole dottoressa Maria Anna Madia è stata nominata Ministro senza portafoglio;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 febbraio 2014 con cui al Ministro senza portafoglio onorevole dott.ssa Maria Anna Madia è stato conferito l’incarico per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 aprile 2014 recante delega di funzioni al Ministro senza portafoglio onorevole dott.ssa Maria Anna Madia per la semplificazione e la pubblica amministrazione;

Acquisito il parere tecnico dell’Agenzia per l’Italia digitale;

Sentito il Garante per la protezione dei dati personali;

Sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 nella seduta del 24 agosto 2013;

Espletata la procedura di notifica alla Commissione europea di cui alla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, modificata dalla direttiva 98/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 luglio 1998, attuata con decreto legislativo 23 novembre 2000, n. 427;

Di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo per le parti relative alla formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni;

Decreta:

Capo I

Definizioni e ambito di applicazione

Art. 1. Definizioni

1. Ai fini del presente decreto si applicano le definizioni del glossario di cui all’allegato 1 che ne costituisce parte integrante.
2. Le specifiche tecniche relative alle regole tecniche di cui al presente decreto sono indicate nell’allegato n. 2 relativo ai formati, nell’allegato n. 3 relativo agli standard tecnici di riferimento per la formazione, la gestione e la conservazione dei documenti informatici, nell’allegato n. 4 relativo alle specifiche tecniche del pacchetto di archiviazione e nell’allegato n. 5 relativo ai metadati. Le specifiche tecniche di cui al presente comma sono aggiornate con delibera dell’Agenzia per l’Italia digitale, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, e pubblicate sul proprio sito istituzionale.

Art. 2. Oggetto e ambito di applicazione

1. Il presente decreto detta le regole tecniche per i documenti informatici previste dall’art. 20, commi 3 e 4, dall’art. 22, commi 2 e 3, dall’art. 23, e dall’art. 23-bis, commi 1 e 2, e del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante «Codice dell’amministrazione digitale», di seguito Codice.
2. Il presente decreto detta le regole tecniche previste dall’art. 23-ter, commi 3 e 5, dall’art. 40, comma 1 e dall’art. 41, comma 2-bis del Codice in materia di documenti amministrativi informatici e fascicolo informatico.
3. Ai sensi dell’art. 2, comma 5, del Codice, le presenti regole tecniche si applicano nel rispetto della disciplina rilevante in materia di tutela dei dati personali e, in particolare, del Codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
4. Le disposizioni del presente decreto si applicano ai soggetti di cui all’art. 2, commi 2 e 3, del Codice, nonché agli altri soggetti a cui è eventualmente affidata la gestione o la conservazione dei documenti informatici.

Capo II

Documento informatico

Art. 3. Formazione del documento informatico

1. Il documento informatico è formato mediante una delle seguenti principali modalità:
a) redazione tramite l’utilizzo di appositi strumenti software;
b) acquisizione di un documento informatico per via telematica o su supporto informatico, acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico, acquisizione della copia informatica di un documento analogico;
c) registrazione informatica delle informazioni risultanti da transazioni o processi informatici o dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli o formulari resi disponibili all’utente;
d) generazione o raggruppamento anche in via automatica di un insieme di dati o registrazioni, provenienti da una o più basi dati, anche appartenenti a più soggetti interoperanti, secondo una struttura logica predeterminata e memorizzata in forma statica.
2. Il documento informatico assume la caratteristica di immodificabilità se formato in modo che forma e contenuto non siano alterabili durante le fasi di tenuta e accesso e ne sia garantita la staticità nella fase di conservazione.
3. Il documento informatico, identificato in modo univoco e persistente, è memorizzato in un sistema di gestione informatica dei documenti o di conservazione la cui tenuta può anche essere delegata a terzi.
4. Nel caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettera a), le caratteristiche di immodificabilità e di integrità sono determinate da una o più delle seguenti operazioni:
a) la sottoscrizione con firma digitale ovvero con firma elettronica qualificata;
b) l’apposizione di una validazione temporale;
c) il trasferimento a soggetti terzi con posta elettronica certificata con ricevuta completa;
d) la memorizzazione su sistemi di gestione documentale che adottino idonee politiche di sicurezza;
e) il versamento ad un sistema di conservazione.
5. Nel caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettera b), le caratteristiche di immodificabilità e di integrità sono determinate dall’operazione di memorizzazione in un sistema di gestione informatica dei documenti che garantisca l’inalterabilità del documento o in un sistema di conservazione.
6. Nel caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettere c) e d), le caratteristiche di immodificabilità e di integrità sono determinate dall’operazione di registrazione dell’esito della medesima operazione e dall’applicazione di misure per la protezione dell’integrità delle basi di dati e per la produzione e conservazione dei log di sistema, ovvero con la produzione di una estrazione statica dei dati e il trasferimento della stessa nel sistema di conservazione.
7. Laddove non sia presente, al documento informatico immodificabile è associato un riferimento temporale.
8. L’evidenza informatica corrispondente al documento informatico immodificabile è prodotta in uno dei formati contenuti nell’allegato 2 del presente decreto in modo da assicurare l’indipendenza dalle piattaforme tecnologiche, l’interoperabilità tra sistemi informatici e la durata nel tempo dei dati in termini di accesso e di leggibilità. Formati diversi possono essere scelti nei casi in cui la natura del documento informatico lo richieda per un utilizzo specifico nel suo contesto tipico.
9. Al documento informatico immodificabile vengono associati i metadati che sono stati generati durante la sua formazione. L’insieme minimo dei metadati, come definiti nell’allegato 5 al presente decreto, è costituito da:
a) l’identificativo univoco e persistente;
b) il riferimento temporale di cui al comma 7;
c) l’oggetto;
d) il soggetto che ha formato il documento;
e) l’eventuale destinatario;
f) l’impronta del documento informatico.
Eventuali ulteriori metadati sono definiti in funzione del contesto e delle necessità gestionali e conservative.

Art. 4. Copie per immagine su supporto informatico di documenti analogici

1. La copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico di cui all’art. 22, commi 2 e 3, del Codice è prodotta mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia.
2. Fermo restando quanto previsto dall’art. 22, comma 3, del Codice, la copia per immagine di uno o più documenti analogici può essere sottoscritta con firma digitale o firma elettronica qualificata da chi effettua la copia.
3. Laddove richiesta dalla natura dell’attività, l’attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di un documento analogico di cui all’art. 22, comma 2, del Codice, può essere inserita nel documento informatico contenente la copia per immagine. Il documento informatico così formato è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di uno o più documenti analogici può essere altresì prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l’impronta di ogni copia per immagine. Il documento informatico così prodotto è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Art. 5. Duplicati informatici di documenti informatici

1. Il duplicato informatico di un documento informatico di cui all’art. 23-bis, comma 1, del Codice è prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione, o su un sistema diverso, contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine.

Art. 6. Copie e estratti informatici di documenti informatici

1. La copia e gli estratti informatici di un documento informatico di cui all’art. 23-bis, comma 2, del Codice sono prodotti attraverso l’utilizzo di uno dei formati idonei di cui all’allegato 2 al presente decreto, mediante processi e strumenti che assicurino la corrispondenza del contenuto della copia o dell’estratto informatico alle informazioni del documento informatico di origine previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza del contenuto dell’originale e della copia.
2. La copia o l’estratto di uno o più documenti informatici di cui al comma 1, se sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata da chi effettua la copia ha la stessa efficacia probatoria dell’originale, salvo che la conformità allo stesso non sia espressamente disconosciuta.
3. Laddove richiesta dalla natura dell’attività, l’attestazione di conformità delle copie o dell’estratto informatico di un documento informatico di cui al comma 1, può essere inserita nel documento informatico contenente la copia o l’estratto. Il documento informatico così formato è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L’attestazione di conformità delle copie o dell’estratto informatico di uno o più documenti informatici può essere altresì prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l’impronta di ogni copia o estratto informatico. Il documento informatico così prodotto è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

Art. 7. Trasferimento nel sistema di conservazione

1. Il trasferimento dei documenti informatici nel sistema di conservazione avviene generando un pacchetto di versamento nelle modalità e con il formato previsti dal manuale di conservazione di cui all’art. 8 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 dicembre 2013, in materia di conservazione dei documenti informatici.
2. I tempi entro cui i documenti informatici devono essere versati in conservazione sono stabiliti per le diverse tipologie di documento e in conformità alle regole tecniche vigenti in materia.
3. Il buon esito dell’operazione di versamento è verificato tramite il rapporto di versamento prodotto dal sistema di conservazione.

Art. 8. Misure di sicurezza

1. I soggetti privati appartenenti ad organizzazioni che applicano particolari regole di settore per la sicurezza dei propri sistemi informatici possono adottare misure di sicurezza per garantire la tenuta del documento informatico di cui all’art. 3.
2. I soggetti privati, per garantire la tenuta del documento informatico di cui all’art. 3, possono adottare, quale modello di riferimento, quanto previsto dagli articoli 50-bis e 51 del Codice e dalle relative linee guida emanate dall’Agenzia per l’Italia digitale. I sistemi di gestione informatica dei documenti rispettano le misure di sicurezza previste dagli articoli da 31 a 36 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e dal disciplinare tecnico di cui all’allegato B del predetto codice.

Capo III

Documento amministrativo informatico

Art. 9. Formazione del documento amministrativo informatico

1. Al documento amministrativo informatico si applica quanto indicato nel Capo II per il documento informatico, salvo quanto specificato nel presente Capo.
2. Le pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 40, comma 1, del Codice, formano gli originali dei propri documenti attraverso gli strumenti informatici riportati nel manuale di gestione ovvero acquisendo le istanze, le dichiarazioni e le comunicazioni di cui agli articoli 5-bis, 40-bis e 65 del Codice.
3. Il documento amministrativo informatico, di cui all’art. 23-ter del Codice, formato mediante una delle modalità di cui all’art. 3, comma 1, del presente decreto, è identificato e trattato nel sistema di gestione informatica dei documenti di cui al Capo IV del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, comprensivo del registro di protocollo e degli altri registri di cui all’art. 53, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, dei repertori e degli archivi, nonché degli albi, degli elenchi, e di ogni raccolta di dati concernente stati, qualità personali e fatti già realizzati dalle amministrazioni su supporto informatico, in luogo dei registri cartacei, di cui all’art. 40, comma 4, del Codice, con le modalità descritte nel manuale di gestione.
4. Le istanze, le dichiarazioni e le comunicazioni di cui agli articoli 5-bis, 40-bis e 65 del Codice sono identificate e trattate come i documenti amministrativi informatici nel sistema di gestione informatica dei documenti di cui al comma 3 ovvero, se soggette a norme specifiche che prevedono la sola tenuta di estratti per riassunto, memorizzate in specifici archivi informatici dettagliatamente descritti nel manuale di gestione.
5. Il documento amministrativo informatico assume le caratteristiche di immodificabilità e di integrità, oltre che con le modalità di cui all’art. 3, anche con la sua registrazione nel registro di protocollo, negli ulteriori registri, nei repertori, negli albi, negli elenchi, negli archivi o nelle raccolte di dati contenute nel sistema di gestione informatica dei documenti di cui al comma 3.
6. Fermo restando quanto stabilito nell’art. 3, comma 8, eventuali ulteriori formati possono essere utilizzati dalle pubbliche amministrazioni in relazione a specifici contesti operativi che vanno esplicitati, motivati e riportati nel manuale di gestione.
7. Al documento amministrativo informatico viene associato l’insieme minimo dei metadati di cui all’art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, fatti salvi i documenti soggetti a registrazione particolare che comunque possono contenere al proprio interno o avere associati l’insieme minimo dei metadati di cui all’art. 3, comma 9, come descritto nel manuale di gestione.
8. Al documento amministrativo informatico sono associati eventuali ulteriori metadati rilevanti ai fini amministrativi, definiti, per ogni tipologia di documento, nell’ambito del contesto a cui esso si riferisce, e descritti nel manuale di gestione.
9. I metadati associati al documento amministrativo informatico, di tipo generale o appartenente ad una tipologia comune a più amministrazioni, sono definiti dalle pubbliche amministrazioni competenti, ove necessario sentito il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e trasmessi all’Agenzia per l’Italia digitale che ne cura la pubblicazione on line sul proprio sito.
10. Ai fini della trasmissione telematica di documenti amministrativi informatici, le pubbliche amministrazioni pubblicano sui loro siti gli standard tecnici di riferimento, le codifiche utilizzate e le specifiche per lo sviluppo degli applicativi software di colloquio, rendendo eventualmente disponibile gratuitamente sul proprio sito il software per la trasmissione di dati coerenti alle suddette codifiche e specifiche. Al fine di abilitare alla trasmissione telematica gli applicativi software sviluppati da terzi, le amministrazioni provvedono a richiedere a questi opportuna certificazione di correttezza funzionale dell’applicativo e di conformità dei dati trasmessi alle codifiche e specifiche pubblicate.

Art. 10. Copie su supporto informatico di documenti amministrativi analogici

1. Fatto salvo quanto previsto all’art. 4, l’attestazione di conformità, di cui all’art. 23-ter, comma 3, del Codice, della copia informatica di un documento amministrativo analogico, formato dalla pubblica amministrazione, ovvero da essa detenuto, può essere inserita nel documento informatico contenente la copia informatica. Il documento informatico così formato è sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata del funzionario delegato.
2. L’attestazione di conformità di cui al comma 1, anche nel caso di uno o più documenti amministrativi informatici, effettuata per raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza del contenuto dell’originale e della copia, può essere prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l’impronta di ogni copia. Il documento informatico prodotto è sottoscritto con firma digitale o con firma elettronica qualificata del funzionario delegato.

Art. 11. Trasferimento nel sistema di conservazione

1. Il responsabile della gestione documentale, ovvero, ove nominato, il coordinatore della gestione documentale:
a) provvede a generare, per uno o più documenti informatici, un pacchetto di versamento nelle modalità e con i formati concordati con il responsabile della conservazione e previsti dal manuale di conservazione;
b) stabilisce, per le diverse tipologie di documenti, in conformità con le norme vigenti in materia, con il sistema di classificazione e con il piano di conservazione, i tempi entro cui i documenti debbono essere versati in conservazione;
c) verifica il buon esito dell’operazione di versamento tramite il rapporto di versamento prodotto dal sistema di conservazione.

Art. 12. Misure di sicurezza

1. Il responsabile della gestione documentale ovvero, ove nominato, il coordinatore della gestione documentale predispone, in accordo con il responsabile della sicurezza e il responsabile del sistema di conservazione, il piano della sicurezza del sistema di gestione informatica dei documenti, nell’ambito del piano generale della sicurezza ed in coerenza con quanto previsto in materia dagli articoli 50-bis e 51 del Codice e dalle relative linee guida emanate dall’Agenzia per l’Italia digitale. Le suddette misure sono indicate nel manuale di gestione.
2. Si applica quanto previsto dall’art. 8, comma 2, secondo periodo.

Capo IV

Fascicoli informatici, registri e repertori informatici della pubblica amministrazione

Art. 13. Formazione dei fascicoli informatici

1. I fascicoli di cui all’art. 41 del Codice e all’art. 64, comma 4, e all’art. 65 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 fanno parte del sistema di gestione informatica dei documenti e contengono l’insieme minimo dei metadati indicati al comma 2-ter del predetto art. 41 del Codice, nel formato specificato nell’allegato 5 del presente decreto, e la classificazione di cui al citato art. 64 del citato decreto n. 445 del 2000.
2. Eventuali aggregazioni documentali informatiche sono gestite nel sistema di gestione informatica dei documenti e sono descritte nel manuale di gestione. Ad esse si applicano le regole che identificano univocamente l’aggregazione documentale informatica ed è associato l’insieme minimo dei metadati di cui al comma 1.

Art. 14. Formazione dei registri e repertori informatici

1. Il registro di protocollo e gli altri registri di cui all’art. 53, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, i repertori, gli albi, gli elenchi e ogni raccolta di dati concernente stati, qualità personali e fatti realizzati dalle amministrazioni su supporto informatico in luogo dei registri cartacei di cui all’art. 40, comma 4, del Codice sono formati ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d).
2. Le pubbliche amministrazioni gestiscono registri particolari informatici, espressamente previsti da norme o regolamenti interni, generati dal concorso di più aree organizzative omogenee con le modalità previste ed espressamente descritte nel manuale di gestione, individuando un’area organizzativa omogenea responsabile.

Art. 15. Trasferimento in conservazione

1. Il responsabile della gestione documentale ovvero, ove nominato, il coordinatore della gestione documentale provvede a generare, per uno o più fascicoli o aggregazioni documentali informatiche o registri o repertori informatici di cui all’art. 14, un pacchetto di versamento che contiene i riferimenti che identificano univocamente i documenti informatici appartenenti al fascicolo o all’aggregazione documentale informatica.
2. Ai fascicoli informatici, alle aggregazioni documentali informatiche, ai registri o repertori informatici si applica quanto previsto per il documento informatico all’art. 11, comma 1, lettere b) e c).

Art. 16. Misure di sicurezza

1. Ai fascicoli informatici, alle aggregazioni documentali informatiche, ai registri o repertori informatici si applicano le misure di sicurezza di cui all’art. 12.

Capo V

Disposizioni finali

Art. 17. Disposizioni finali

1. Il presente decreto entra in vigore decorsi trenta giorni dalla data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
2. Le pubbliche amministrazioni adeguano i propri sistemi di gestione informatica dei documenti entro e non oltre diciotto mesi dall’entrata in vigore del presente decreto. Fino al completamento di tale processo possono essere applicate le previgenti regole tecniche. Decorso tale termine si applicano le presenti regole tecniche. (2)
Il presente decreto è inviato ai competenti organi di controllo e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

(2) Per la sospensione dell’obbligo previsto dal presente comma vedi l’ art. 61, comma 1, D.Lgs. 26 agosto 2016, n. 179.


Cass. civ., Sez. Unite, Ord., (data ud. 15/07/2014) 06/11/2014, n. 23675

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente di sez. –

Dott. RORDORF Renato – Presidente di sez. –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 24468-2012 proposto da:

G.L.P. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato SASSANI BRUNO NICOLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SILVIA PAJANI, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

STEDA S.P.A., in persona del Presidente pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARZI MASSIMO FILIPPO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIUSEPPE MAIOLINO, SEBASTIANO ARTALE, per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il provvedimento definitivo del TRIBUNALE di UDINE depositato il 24/09/2012, r.g. n. 1555/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/07/2014 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

uditi gli avvocati Bruno Nicola SASSANI, Massimo Filippo MARZI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 28.03.2012 Steda s.p.a. ha chiesto al Tribunale di Bassano del Grappa che fosse ingiunto a G.LP. s.r.l. il pagamento della somma di Euro 664.604,81 a titolo di corrispettivo di contratto di appalto, variazioni richieste dal committente e svincolo di ritenute. La società ingiunta ha proposto opposizione chiedendo in riconvenzionale la risoluzione del contratto e la condanna di Steda s.p.a. al risarcimento dei danni per vizi e difetti dell’opera nonchè per ritardo nell’adempimento, domande già proposte dinanzi al Tribunale di Udine con atto di citazione consegnato all’ufficiale giudiziario il 19.03.2012 per la notifica, il cui procedimento si perfezionava con la compiuta giacenza il 7 aprile 2012. Il Tribunale di Udine, con ordinanza del 24 settembre 2012, ritenuta la sussistenza di un rapporto di continenza tra le due cause, declinava la competenza in favore del Tribunale di Bassano del Grappa, identificato come giudice previamente adito sulla base della considerazione che, nelle cause introdotte con citazione, la pendenza della lite è determinata dal momento del perfezionamento della notificazione per il destinatario, mentre nelle cause introdotte con ricorso la lite deve ritenersi pendente dal momento del deposito del ricorso.

G.L.P. s.r.l. ha impugnato la suddetta ordinanza con istanza di regolamento di competenza contestando (col primo motivo) l’omessa applicazione del principio della scissione soggettiva del perfezionamento della notificazione ai fini della litispendenza e della continenza, con violazione degli artt. 39, 149, 156 nonchè art. 643 c.p.c. in relazione agli artt. 25 e 111 Cost. e (col secondo motivo) la competenza del Tribunale di Bassano del Grappa in sede monitoria, condizione necessaria per l’attrazione dinanzi ad esso della causa pendente presso al Tribunale di Udine.

Steda s.p.a. ha resistito ai sensi dell’art. 47 c.p.c. opponendosi all’accoglimento del ricorso. Il requirente Sostituto P.G. ha concluso ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c. per il rigetto del ricorso. Le parti hanno depositato memorie.

La sesta sezione civile di questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 22454 del 1 ottobre 2013, ha invocato – ai sensi dell’art. 374 c.p.c., commi 2 e 3 – l’intervento chiarificatore di queste sezioni unite sulla questione relativa alla individuazione del momento di pendenza della lite, ai fini dell’applicazione del criterio di prevenzione di cui all’art. 39 c.p.c., u.c. con riguardo ai procedimenti introdotti con citazione.

In particolare, nell’ordinanza di rimessione, preso atto che su questione omologa si sono già recentemente pronunciate queste sezioni unite con sentenza n. 9535 del 2013 affermando che la litispendenza con riferimento a procedimento introdotto con citazione coincide col momento di perfezionamento della notificazione del relativo atto per il destinatario, si è ritenuto che “la delicatezza della conseguenza di una simile estensione ed i dubbi….. sulla persuasività di tale generalizzazione ed ancor prima sul presupposto stesso da cui muovono le sezioni unite in ordine alla ricostruzione del significato delle decisioni del giudice delle leggi che hanno sancito il principio della rilevanza dei due distinti momenti” rendano preferibile sollecitare un nuovo intervento delle sezioni unite anche al fine di chiarire: a) se, alla luce degli interventi del legislatore e della Corte costituzionale in materia, l’individuazione del momento di perfezionamento della notifica per il notificante operi solo per impedire una decadenza a suo carico o comunque al fine di valutare la tempestività di un suo adempimento, rilevando invece a tutti gli altri effetti il momento del perfezionamento della notifica per il destinatario (ipotesi nella quale non verrebbe in alcun modo in rilievo la scissione soggettiva del momento perfezionativo del procedimento notificatorio; b) se debba, al contrario, ritenersi rilevante per l’ordinamento in linea generale il momento di perfezionamento della notifica per il notificante tranne che nelle ipotesi di insorgenza, a carico dello stesso notificante o del destinatario, dell’obbligo di osservare un termine o del dovere di ottemperare ad un adempimento ovvero in relazione alla determinazione di conseguenze a carico del destinatario; c) in relazione a quest’ultima ipotesi, che cosa debba intendersi per “conseguenza” a carico del destinatario; d) se, infine, quando il problema della litispendenza e della continenza si ponga, come nella specie, con riguardo ad una domanda introdotta con ricorso monitorio (in relazione alla quale la pendenza del giudizio è collegata al deposito e non presuppone che sia data alcuna conoscenza legale alla controparte) e ad una domanda introdotta con citazione, il rispetto del principio di uguaglianza imponga di adottare la medesima regola anche per la seconda domanda, attribuendo rilievo al momento di perfezionamento della notifica per il notificante.

Motivi della decisione
1. Come rilevato nell’ordinanza interlocutoria della sesta sezione civile, queste sezioni unite (peraltro ribadendo un orientamento chiaramente ed univocamente espresso in precedenza da questa Corte – v. tra le altre cass. n. 9181 del 2006 e cass. n. 27710 del 2005), in riferimento alla omologa questione della individuazione del momento di pendenza della lite ai fini del riparto di giurisdizione, hanno, con sentenza n. 9535 del 2013, affermato che la distinzione tra i diversi momenti del procedimento di notificazione – quello di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario ad opera del notificante e quello di ricezione da parte del destinatario – si impone ogni volta che dall’individuazione della data di notificazione possano discendere decadenze o altri impedimenti, distintamente a carico dell’una o dell’altra di dette parti, mentre la pendenza della lite, ai fini dell’individuazione del giudice al quale spetta pronunciarsi, non rientra in questo ambito di questioni nè potrebbe, evidentemente, essere diversamente definita dal punto di vista di una parte e da quello dell’altra, con la conseguenza che la litispendenza non può che coincidere col momento in cui il procedimento di notificazione dell’atto introduttivo della causa si è completato, e tale momento necessariamente corrisponde con quello nel quale la notifica si è perfezionata mediante la consegna dell’atto al destinatario o a chi sia comunque abilitato a riceverlo. In tali termini le sezioni unite si sono dunque già espresse (peraltro pochi mesi prima della ordinanza di rimessione in questione) in maniera esplicita ed univoca in ordine alla quasi totalità delle questioni sollevate nella citata ordinanza.

Tanto premesso, il collegio ritiene preliminarmente di evidenziare che la salvaguardia dell’unità e della “stabilità” dell’interpretazione giurisprudenziale (massimamente di quella del giudice di legittimità e, in essa, di quella delle sezioni unite) è ormai da considerare – specie dopo l’intervento del D.Lgs. n. 40 del 2006 e della L. n. 69 del 2009, in particolare con riguardo alla modifica dell’art. 374 c.p.c. ed all’introduzione dell’art. 360 bis – alla stregua di un criterio legale di interpretazione delle norme giuridiche. Non l’unico certo e neppure quello su ogni altro prevalente, ma di sicuro un criterio di assoluto rilievo.

Occorre dunque, per derogarvi, che vi siano buone ragioni. E, quando si tratta di interpretazione delle norme processuali, occorre che vi siano ottime ragioni, come insegna il “travaglio”che ha caratterizzato negli ultimi anni l’evoluzione giurisprudenziale di queste sezioni unite civili con riguardo all’overruling in materia di interpretazione di norme processuali, posto che, soprattutto in tale ambito, la “conoscenza” delle regole (quindi, a monte, l’affidabilità, prevedibilità ed uniformità della relativa interpretazione) costituisce imprescindibile presupposto di uguaglianza tra i cittadini e di “giustizia” del processo medesimo.

Certo alla giurisprudenza va riconosciuta una importante funzione di aggiornamento, adattamento e adeguamento delle norme, che può presentare profili innovativi, quindi (nei limiti e nei termini dell’adeguamento suddetto) in certa misura “creativi”, ed indubbiamente la natura interpretativa dell’attività giurisprudenziale si configura come legittimazione costituzionale delle relative espressioni innovative, essendo proprio la differenza tra interpretazione e “mera dichiarazione” (secondo l’utopia illuministica del giudice “bouche de la loi”) ciò che spiega – e giustifica – l’innovazione giurisprudenziale quale connotato proprio – naturale e non eversivo – della giurisdizione, senza determinare, al contempo, confusioni tra quest’ultima e la legislazione.

Ma i problemi reali posti da questo carattere intrinseco all’esercizio della giurisdizione quando esso determina una svolta giurisprudenziale involgono considerazioni di ampio respiro ed impongono “valutazioni di sistema”, specie quando l’interpretazione abbia ad oggetto norme processuali ed il revirement riguardi un precedente, peraltro recente, della Corte di cassazione, e, più precisamente, della più elevata espressione dell’attività nomofilattica considerata dall’ordinamento, cioè le sezioni unite della Corte medesima.

E’ per questo che la “creatività” dell’interpretazione giurisprudenziale deve interpellare il senso di misura e soprattutto il senso di responsabilità dell’interprete, dovendo, al di là delle convinzioni tecnico-giuridiche soggettive dei singoli giudici o dei singoli collegi, essere sempre considerati i parametri della “giustizia” del processo – prima ancora che delle singole regole che Io informano – intesa come valore tendenzialmente condiviso.

Il problema della nomofilachia è in realtà proprio questo:

garantire al sistema giuridico-normativo la possibilità di evolversi, adattarsi, correggersi e al tempo stesso conservare, entro ragionevoli limiti, l’uniformità e la prevedibilità dell’interpretazione, soprattutto con riguardo a quella avente ad oggetto norme strumentali (come quelle processuali o comunque procedimentali).

Ciò non impone automaticamente e necessariamente di ritenere che gli overruling in materia processuale debbano sempre essere evitati o sempre operare per il futuro, ma impone certamente al giudice innanzitutto di valutare con estrema attenzione la sussistenza o meno di buone ragioni per il mutamento di un indirizzo giurisprudenziale e, prima ancora, di individuare quali siano le condizioni legittimanti l’evoluzione interpretativa.

In proposito non esistono formule matematiche. E’, come detto, un problema di equilibrio e misura: di responsabilità.

Ed è proprio su questo piano che la intrinseca “creatività” dell’interpretazione giurisprudenziale, il principio del giusto processo e la funzione nomofilattica del giudice di legittimità si incrociano: il nodo che essi formano tra loro è già il tessuto possibile di un processo che sia, sotto vari profili, innanzitutto ragionevole, per mutuare un aggettivo pregnante utilizzato dal legislatore costituzionale in tema di processo giusto. Perchè si possa procedere ad un revirement giurisprudenziale in materia processuale non è dunque sufficiente che l’interpretazione precedente sia, in ipotesi, ritenuta meno plausibile o meno condivisibile della precedente sul piano letterale, logico e/o sistematico dal collegio chiamato a decidere successivamente su analoga questione, posto che, giova ripetere, l’overruling, soprattutto in materia processuale, non solo incide sull’affidamento dei cittadini in ordine alla portata delle “regole del gioco”, ma, imponendo (in mancanza di valide ragioni) un ulteriore sforzo ermeneutico alla Corte, incide sulla ragionevole durata dei processi e, soprattutto, inflaziona l’intervento nomofilattico depotenziando la relativa funzione, con ulteriore (indiretta) incidenza anche sulla durata dei processi oltre che sulla “affidabilità” del sistema.

Un overruling delle sezioni unite in materia processuale può pertanto essere giustificato solo quando l’interpretazione fornita dal precedente in materia risulti manifestamente arbitraria e pretestuosa e/o comunque dia luogo (eventualmente anche a seguito di mutamenti intervenuti nella legislazione o nella società) a risultati disfunzionali, irrazionali o “ingiusti”. Venendo al caso di specie, non risulta che (nei mesi intercorsi tra il citato precedente e l’ordinanza di rimessione o comunque tra il medesimo e l’odierna udienza) siano intervenuti il legislatore o la Corte costituzionale a modificare (direttamente o indirettamente) il quadro normativo di riferimento nè comunque risulta – e neppure, peraltro, è stato allegato – che in tale ridotto lasso di tempo si siano prodotti nella società mutamenti politici e/o economici e/o tecnologici tali da determinare un cambiamento nella cultura del processo con particolare riguardo alla disciplina della notificazione imponendo il ripensamento di un orientamento giurisprudenziale espresso, in maniera chiara e netta, non solo più volte dalla Corte,” ma, molto recentemente, proprio dalle stesse sezioni unite chiamate a pronunciarsi oggi nuovamente sul punto. E neppure risulta che il precedente in esame proponga una interpretazione manifestamente arbitraria e pretestuosa o dia luogo a risultati disfunzionali oppure irrazionali ovvero ponga comunque macroscopici problemi di compatibilità col sistema. La vicenda legislativa e giurisprudenziale che ha interessato la disciplina del procedimento di notificazione a decorrere dal lontano 1994 (quando, con la sentenza n. 69, la Corte costituzionale, in tema di notificazione all’estero di un provvedimento di sequestro ante causam, dichiarò l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 142 c.p.c., comma 3, dell’art. 143 c.p.c., comma 3 e dell’art. 680 c.p.c., comma 1 nella parte in cui non prevedevano che la notificazione all’estero del decreto che autorizza il sequestro si perfeziona, ai fini dell’osservanza del prescritto termine, col tempestivo adempimento delle formalità imposte al notificante dalle convenzioni internazionali e dal D.P.R. n. 200 del 1967, artt. 30 e 75) è assai complessa e si è sviluppata in più anni attraverso l’intervento reiterato del giudice costituzionale – con numerose decisioni sia dichiarative della illegittimità costituzionale di alcune norme sia interpretative di rigetto – e del legislatore, il quale, tra l’altro, con L. n. 263 del 2005, è intervenuto (a seguito della sentenza n. 477 del 2002 dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 149 c.p.c. e L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3) a modificare l’art. 149 c.p.c. in tema di notificazione a mezzo del servizio postale.

E’ evidente che in un simile contesto il moltiplicarsi degli interventi della Corte costituzionale (con le inevitabili diverse “sfumature” rinvenibili nelle motivazioni delle relative decisioni) nonchè l’inadeguatezza del richiamato intervento legislativo (eccessivamente “superficiale” rispetto alle problematiche in gioco, come si dirà meglio in prosieguo), imponendo una impegnativa attività ermeneutica, rendano in materia “plausibili” più interpretazioni anche diverse tra loro, e, al contempo, “opinabili” le diverse ricostruzioni possibili.

Peraltro, se si ritiene che non esistono interpretazioni oggettivamente “corrette” se non sotto il profilo del metodo utilizzato per giungere ad esse (ed a prescindere dai referenti assiologici dell’interprete), è proprio in un contesto ermeneutico come quello sopra delineato che emerge la funzionalità della previsione di cui all’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario, che, al di là della discutibile formulazione, fornisce l’unico criterio (sia pure meramente formale ed estrinseco) di valutazione della “esattezza” (per mutuare l’infelice terminologia utilizzata nella citata norma) di una interpretazione.

Il presupposto di tale norma – oltre che di numerose disposizioni del codice di rito – è che l’interpretazione della legge espressa dall’organo al quale è attribuito il controllo di legittimità sulle sentenze di altri giudici sia da ritenersi convenzionalmente, se non quella “esatta”, almeno la più “esatta” (possibile) o, se si vuole, la più “giusta” e/o la più “corretta”, e da tale interpretazione non possa perciò prescindersi tutte le volte che venga in discussione il contenuto di una norma nel suo significato “oggettivo” (v., a proposito della c.d. “dottrina del diritto vivente”, tra le altre C.Cost. n. 350 del 1997).

Se dunque la funzione nomofilattica risponde all’esigenza strutturale di stabilire punti fermi o “gerarchie” tra le possibili opzioni ermeneutiche, l’interpretazione della legge fornita dalla Corte di cassazione (e massimamente dalle sezioni unite di essa) va tendenzialmente intesa come una sorta di “oggettivazione convenzionale di significato”, e non potrebbe perciò la stessa Corte di cassazione, in un immutato contesto normativo e culturale di riferimento ed in assenza di macroscopica arbitrarietà, irrazionalità o “ingiustizia” del precedente (ossia in assenza di validi motivi per mutare un orientamento già espresso), rimettere in discussione una questione già esaminata e decisa in nome di una diversa, plausibile ricostruzione e/o della ritenuta opinabilità di quella precedentemente operata dalla stessa Corte, anzi dalle medesime sezioni unite. E’ peraltro da notare che anche recentemente le sezioni unite di questa Corte hanno sottolineato che quando “la formula di un segmento di legge processuale, la cui interpretazione è nuovamente messa in discussione, è rimasta inalterata, una sua diversa interpretazione non ha ragione di essere ricercata e la precedente abbandonata, quando l’una e l’altra siano compatibili con la lettera della legge, essendo da preferire – e conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario – l’interpretazione sulla cui base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile”, e che “soltanto fattori esterni alla formula della disposizione di cui si discute – derivanti da mutamenti intervenuti nell’ambiente processuale in cui la formula continua a vivere, o dall’emersione di valori prima trascurati – possono giustificare l’operazione che consiste nell’attribuire alla disposizione un significato diverso” (cfr. SU n. 10864 del 2011).

2. Fermo tutto quanto sopra esposto, il collegio, anche in relazione alla esigenza – espressa nella ordinanza di rimessione – di chiarezza su alcuni specifici aspetti della questione in esame, ritiene di aggiungere, alla conferma dell’orientamento già recentemente espresso da queste sezioni unite, le considerazioni che seguono, innanzitutto evidenziando che l’opzione ermeneutica fatta propria dalla citata sentenza n. 9535 del 2013 delle sezioni unite è (anche a prescindere da quanto sopra doverosamente precisato) in ogni caso da condividere, tra l’altro perchè, senza sacrificare i diritti costituzionali delle parti nel processo, meglio si presta a rispondere alla fondamentale esigenza che l’interpretazione della norma processuale, nel rispetto dei cittadini e degli operatori del diritto nonchè del principio costituzionale del giusto processo, non indulga, senza stringente ed ineludibile necessità, a scelte interpretative che aumentino il carico di astrattezza e formalismo gravante sul sistema nè imponga ampie ricostruzioni implicanti ingiustificate divaricazioni dalla realtà storico-normativa con l’effetto di rendere il processo più difficilmente comprensibile e le sue regole meno “decifrabili” ed affidabili per i cittadini.

Per meglio chiarire il pensiero che precede occorre considerare che nel codice di rito la notificazione non è prevista come atto istantaneo bensì come il risultato di una sequenza di atti che, pur posti in essere da soggetti diversi, sono nel loro complesso preordinati all’unico scopo di determinare la conoscenza legale dell’atto oggetto di notifica.

Il fenomeno deve dunque essere riguardato come un procedimento che si conclude nel momento in cui viene completata la serie procedimentale prevista, con conseguente possibilità di ritenere in quel momento intervenuta la conoscenza legale dell’atto da notificare, e ciò a prescindere dalla effettiva ricezione e presa di conoscenza del contenuto di esso da parte del destinatario.

Il procedimento di notificazione dunque, in nome di una scelta legislativa imposta dalla necessità di assicurare al processo tempi il più possibile certi riducendo la possibilità, per il destinatario, di sottrarsi alla notificazione (o renderla comunque più difficile), si basa su di una fictio in virtù della quale l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del destinatario, pur costituendo lo scopo della notificazione, rimane estranea alla sua struttura.

Tuttavia, benchè volto al raggiungimento di una conoscenza “solo” legale, l’iter procedimentale che consente di ritenere raggiunta tale conoscenza presenta determinate caratteristiche oggettive che permettono con certezza di identificare, alla stregua della disciplina codicistica, il momento in cui, completato il procedimento all’uopo previsto, la notificazione può ritenersi oggettivamente, giuridicamente e “storicamente” avvenuta.

Questo è un “fatto” – espressamente considerato dal legislatore – dal quale non è consentito prescindere, se è vero che, quale che sia il significato e la portata che si ritenga di attribuire alla anodina formulazione dell’art. 149 c.p.c., u.c. (ed agli interventi della Corte costituzionale che ne hanno determinato l’introduzione), l’anticipazione del perfezionamento della notifica ad un momento anteriore al completamento dell’iter appositamente previsto non può che essere risolutivamente condizionata al completamento della procedura (e porsi quindi eventualmente soltanto come provvisoria), venendo a “stabilizzarsi” solo se e quando il procedimento notificatorio -siccome minutamente regolamentato dal codice-sia stato effettivamente completato, cioè quando possa ritenersi che la notifica sia “andata a buon fine”, e sia quindi intervenuta la “conoscenza legale” dell’atto.

Le considerazioni che precedono consentono di affermare che il momento di perfezionamento della notifica non può che essere unico, corrispondente a quello identificato dal legislatore (in maniera “storica” e “oggettiva”) con l’effettivo completamento del procedimento all’uopo previsto e con il contemporaneo raggiungimento del relativo scopo (ossia l’intervenuta conoscenza “legale” dell’oggetto di notifica), e perciò di inquadrare – come sarà più chiaro in prosieguo – la vicenda legislativa e giurisprudenziale della c.d. “scissione soggettiva” del momento di perfezionamento della notifica nei termini (e nei limiti) di una fictio iuris ritenuta necessaria a fine di “correggere” alcune conseguenze disfunzionali del sistema di notificazione. In particolare, con riferimento all’art. 149 c.p.c., comma 3 (introdotto dalla L. n. 263 del 2005, art. 2 a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, e prevedente che “la notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto”) deve innanzitutto rilevarsi che il momento di perfezionamento della notifica considerato dalla norma in esame per il notificatario coincide esattamente col momento di perfezionamento dell’iter procedimentale previsto dal codice (ossia il momento in cui, compiuta la sequenza di atti previsti, si può dire intervenuta la conoscenza legale dell’atto), pertanto in parte qua la previsione non sembra avere alcuna ragion d’essere e quindi, nonostante la norma risulti strutturata secondo un pleonastico parallelismo tra notificante e destinatario (verosimilmente indotto dalla suggestione riveniente da una predicata “scissione soggettiva” del momento di perfezionamento della notifica), la sua portata precettiva si riduce sostanzialmente ad una fittizia anticipazione del perfezionamento della notifica per il notificante al momento in cui questi ha consegnato il plico all’ufficiale giudiziario.

Pur così precisatane la reale portata innovativa, la norma resta estremamente generica ed impone pertanto una precisazione ricognitiva dei limiti e delle conseguenze di una simile anticipazione “provvisoria” di effetti, dovendo in proposito innanzitutto considerarsi che la previsione in esame, siccome eccezione alla regola secondo la quale gli effetti di un atto si producono quando l’atto interviene nel mondo giuridico, basata su di una fictio iuris che allontana la regola dalla “realtà” del dato storico-oggettivo (sia pure nella convenzionale considerazione normativa) ed introducente nel sistema elementi di incertezza in relazione alla “provvisorietà” della prevista anticipazione, va considerata con attenzione ed interpretata in stretta relazione con le esigenze che ne hanno indotto la formulazione. Giova inoltre evidenziare che l’amplissima e generica previsione della prima parte dell’art. 149 c.p.c., comma 3 (secondo la quale la notifica si perfeziona per il notificante “al momento della consegna dei plico all’ufficiale giudiziario”) non si presta in ogni caso ad una lettura “diffusa” e generalizzante, non fosse altro per gli interrogativi che porrebbe ad esempio in relazione ai c.d. “effetti processuali bilaterali”, ovvero, come nell’ipotesi della litispendenza, comuni ad entrambe le parti della notifica, quindi da prodursi necessariamente in modo identico, anche dal punto di vista temporale, per entrambe le parti.

E’ poi da considerare che la stessa Corte costituzionale ha ritenuto più volte di precisare che il principio di “scissione” non può operare nei casi in cui il perfezionamento della notifica assuma rilievo non già ai fini dell’osservanza di un termine pendente nei confronti del notificante, bensì al fine di stabilire il dies a quo di un termine successivo del processo a suo carico, in particolare quello della sua costituzione in giudizio, esulando dalla sua ratio, che è quella di tutela del diritto di difesa del notificante, l’anticipazione di incombenti processuali e la creazione di decadenze a carico delle parti (cfr. C.Cost. n. 318 del 2009 e, in precedenza, v. C. cost n. 154 del 2005 e n. 107 del 2004) e che questa Corte di cassazione ha più volte ribadito il principio suddetto con riguardo al termine di costituzione dell’attore in primo grado e in appello, al termine per il deposito del ricorso per cassazione o per la notifica del controricorso ed al termine breve per impugnare (v. tra le altre SU n. 458 del 2005 e cass. numeri 9329 del 2010; 12185 del 2008; 11783 del 2007 e 18087 del 2004).

L’ambito e i limiti della norma in esame vanno pertanto innanzitutto valutati in relazione alle situazioni nelle quali si è palesata l’esigenza di anticipare fittiziamente il momento del perfezionamento della notifica, per verificare le ragioni che hanno indotto tale anticipazione e limitare pertanto la portata della suddetta fictio ai soli casi in cui si rinvengano le medesime ragioni, posto che, quanto più si recide il legame manifesto con le ragioni per cui una regola processuale o una interpretazione giurisprudenziale è sorta, tanto più si moltiplica il formalismo e, con esso, gli “arcana iuris”, ossia le vuote ripetizioni di una ritualità, assolutamente da rifuggire in relazione ad una “norma agendi” quale quella processuale, la cui interpretazione deve tendere il più possibile alla chiarezza, alla comprensibilità ed alla uniformità. In proposito è estremamente significativo il fatto che le numerose sentenze della Corte costituzionale in materia (non solo quelle di accoglimento ed interpretative di rigetto, ma anche quelle in cui il ricorso introduttivo del giudizio di legittimità costituzionale in via principale è stato ritenuto ammissibile proprio in virtù della tempestività della notificazione valutata alla stregua del principio di scissione soggettiva – v. tra le altre c.cost. nn. 300 del 2007;

30 e 250 del 2009 -) traggono tutte origine da eccezioni di tardività della notifica dell’atto introduttivo del giudizio e che quindi il principio della c.d. “scissione soggettiva” sia stato dalla Corte di legittimità enunciato, definito ed applicato al fine di valutare la tempestività degli adempimenti posti a carico del notificante.

Dalle sentenza della Corte costituzionale in materia risulta infatti che esse sono intervenute, ad esempio, in relazione ad ipotesi in cui (v. c. cost. n. 69 del 1994) si è reso necessario evitare che venisse addebitato “al notificante l’esito intempestivo di un procedimento notificatorio parzialmente sottratto ai suoi poteri di impulso”, ritenendosi (v. c. cost. n. 477 del 2002) “palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che un effetto di decadenza possa discendere …. dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile non al medesimo notificante, ma a soggetti diversi”.

Risulta dunque evidente (a prescindere dal fatto – posto in rilievo nell’ordinanza di rimessione – che la citata sentenza n. 477 del 2002 non riporti in dispositivo i limiti e le ragioni della decisione chiaramente esplicitati nella motivazione e che in successive sentenze interpretative la Corte costituzionale utilizzi espressioni in ipotesi suscettibili di indurre interpretazioni “estensive”) che l’anticipazione del momento di conclusione del procedimento di notificazione attraverso la c.d. “scissione soggettiva” nasce come una fictio iuris – peraltro sprovvista di corrispondente consistenza ontologica prenormativa ed in contrasto con una notificazione il cui procedimento per il codice di rito si perfeziona, oggettivamente e storicamente, al momento del completamento dell’iter previsto – utilizzata sostanzialmente come uno strumento in certa misura “restitutorio”, vale a dire come una sorta di rimessione in termini per l’esercizio di diritti di azione/impugnazione incolpevolmente perduti dal notificante. L’anticipazione del momento perfezionativo della notifica si correla perciò all’esigenza di sottrarre il notificante alle conseguenze negative di un procedimento di notificazione conclusosi intempestivamente per circostanze dal medesimo non controllabili e comunque a lui non addebitagli. Ed è in tali confini che nella più volte citata sentenza n. 9535 del 2013 queste sezioni unite hanno circoscritto la “scissione soggettiva” del momento perfezionativo del procedimento notificatorio, limitandola appunto alle ipotesi in cui dalla individuazione della data di notificazione possano discendere decadenze o altri impedimenti ed escludendo quindi che essa possa valere ad ogni possibile effetto ricavabile dalla disciplina codicistica e segnatamente ai fini della determinazione della prevenzione ai sensi dell’art. 39 c.p.c..

Per contro, la diversa e più ampia ricostruzione sostenuta nel primo motivo del ricorso in esame sarebbe sostenibile solo ove si ritenesse che l’ordinamento abbia attribuito a ciascuna parte processuale un complesso di diritti potestativi connessi alla determinazione dei tempi di intervento di qualunque attività processuale che debba essere compiuta o ricevere impulso dalla parte medesima, ed in particolare abbia riconosciuto alla suddetta parte anche il diritto a che sia esclusivamente e completamente riferibile ad una sua scelta (senza interferenze esterne) ogni conseguenza comunque riconducibile al momento di intervento nel processo di un atto il cui compimento (almeno ne suo impulso iniziale) sia ad essa attribuito.

Questa impostazione richiederebbe però la configurabilità di un processo totalmente e assolutamente dominato, in tutte le sue più minute articolazioni, dal principio dispositivo, esplicantesi in una struttura a catena che colleghi al momento del compimento delle attività di parte – in rapporto a ciascuna di esse e rispetto ad ogni evenienza considerata e disciplinata dal codice in ragione proprio della collocazione di ognuna nella struttura processuale – un complesso di situazioni soggettive a carattere potestativo connesse a corrispondenti opzioni (ed innanzitutto alla “regina” di esse, quella che attiene alla scelta dei tempi – ed eventualmente dei modi – di introduzione del giudizio) riconosciute alle parti medesime e ritenute dall’ordinamento meritevoli di tutela.

La disciplina positiva non autorizza però in alcun modo una simile ipotesi esegetica, non fosse altro perchè, se la disponibilità dei diritti agiti può comportare anche, in certa misura, la “signoria” sui fatti e sulle relative prove nel processo, deve escludersi che possa ritenersi disponibile dalle parti il processo medesimo e i suoi tempi, ed inoltre perchè nel codice di rito i tempi delle attività di parte (e quindi la connessa valutazione della soggettiva determinazione “volitiva” in ordine ai medesimi) vengono in diretta considerazione soltanto in relazione ai termini entro i quali devono o possono essere compiute alcune attività e quindi in relazione ad eventuali preclusioni o decadenze ad essi collegate.

Certamente il momento in cui viene introdotta la lite è considerato dal legislatore ai fini di una serie di effetti – in primis la determinazione della giurisdizione e della competenza, quindi l’individuazione del giudice naturale (e persino – passando dalle norme giuridiche alle disposizioni amministrative – l’individuazione del giudice come persona fisica, ad esempio nel caso in cui all’interno degli uffici giudiziari l’assegnazione automatica delle controversie ai singoli giudici sia determinata sulla base del momento di introduzione della controversia), e certamente su questo momento possono (più o meno, a seconda delle diverse circostanze ipotizzabili, dei diversi tipi di processo considerati dal legislatore e, in particolare, a seconda del diverso atto introduttivo per essi previsto) incidere le parti, tuttavia si tratta di una incidenza “di fatto”, esplicantesi nei termini e nei limiti della corrispondente previsione normativa, senza che, ripetesi, risulti configurabile il riconoscimento di un corrispondente diritto della parte a determinare, esclusivamente sulla base di una propria scelta, senza alcuna interferenza esterna, i suddetti effetti e quindi un corrispondente dovere dell’interprete di “leggere” le norme processuali in guisa da garantire sempre il pieno esercizio di tale diritto.

E peraltro, se è vero che, come ricorda la ricorrente, la Costituzione riconosce alla parte il diritto di non essere distolta dal giudice naturale precostituito per legge, ciò significa soltanto che è riconosciuto alle parti il diritto a che il giudice sia previamente individuato in linea generale ed astratta sulla base delle norme di legge in materia di giurisdizione e competenza, senza che la costituzione, e tantomeno il codice di rito, riconoscano alla parte il diritto di “scegliersi” il giudice naturale ed in particolare riconoscano all’attore in giudizio il diritto di incidere sempre (e per giunta in maniera esclusiva, quindi al di là di ogni possibile interferenza esterna) sull’individuazione del suddetto giudice (nella specie, del giudice preventivamente adito), al di là di quanto non sia espressamente previsto dalla normativa applicabile.

Al contrario, il codice di rito prevede che, come imposto dalla costituzione, detto giudice naturale sia individuato sulla base di una serie di regole predeterminate (non, quindi, della mera volontà della parte), regole che, tra l’altro, sono diverse in relazione ai diversi tipi di processo considerati dal legislatore, a partire dalle differenti modalità di introduzione della lite. Deve pertanto ritenersi che nella “precostituzione” del giudice naturale in ipotesi di continenza di cause (una delle quali introdotta con citazione) il legislatore abbia anche “preconsiderato” il fatto che la notificazione della citazione (come di ogni altro atto processuale) non avviene in maniera istantanea ma solo all’esito di un iter procedimentale al cui compimento cooperano più persone, e nondimeno abbia previsto che la litispendenza è determinata dalla notificazione della citazione, il che significa che non ha attribuito all’attore il diritto di incidere in maniera esclusiva e determinante sulla individuazione del giudice previamente adito e che una maggiore o minore incidenza della opzione temporale della parte in ordine all’avvio del procedimento di notificazione potrebbe perciò, come già evidenziato, venire in considerazione solo come conseguenza di mero fatto delle scelte del legislatore in proposito.

Invero, quando si riferisce alla prevenzione, il legislatore indica un criterio di individuazione della competenza e fa rinvio alle norme sulla litispendenza, eventualmente anche diversificate rispetto ai diversi processi considerati, ma non rimanda certo alla determinazione delle parti nè attribuisce ad esse alcun diritto in proposito nè, ovviamente, fa riferimento ad una “prevenzione” in senso naturalistico, rispetto alla quale gli attori delle cause interessate dalla continenza si pongano come concorrenti in una sorta di “gara” per la determinazione del giudice competente, ai quali garantire condizioni di partenza paritarie, magari anche utilizzando – se necessario allo scopo – una interpretazione che “azzeri” le eventuali differenze previste dal legislatore nella complessiva disciplina di ciascuno dei diversi processi coinvolti, in ipotesi, come nella specie, soggetti a differente regolamentazione quanto ai modi di introduzione della lite. E’ perciò che la determinazione del giudice preventivamente adito effettuata sulla base delle norme che stabiliscono la litispendenza nei vari tipi di processo non può essere considerata – come sembra invece ipotizzato dalla ricorrente – alla stregua di un effetto “pregiudizievole” per la parte che non sia riuscita ad “incidere” su di essa, considerato che l’individuazione del giudice naturale – siccome per legge determinata – non può in sè considerarsi “pregiudizievole” per alcuna delle parti e, soprattutto, come già evidenziato, che non è configurarle un “diritto” delle parti di incidere su detta individuazione, rispetto al quale possa venire in considerazione un eventuale pregiudizio.

La ricostruzione prospettata nel ricorso in esame sembra dunque muovere dall’indimostrato presupposto che l’ordinamento abbia attribuito al notificante il diritto di determinare in maniera esclusiva ogni e qualsiasi conseguenza collegata dal codice di rito alla notificazione e quindi, poichè la notificazione consta di un procedimento che vede l’intervento di diverse persone, sia stato necessario anticipare ad ogni effetto il perfezionamento di essa al compimento dell’unica attività che, nell’ambito del procedimento notificatorio, sia interamente controllabile dal notificante medesimo.

Questo collegio ritiene invece, sulla scorta di tutte le argomentazioni già esposte, che occorra procedere da un presupposto antitetico, in ragione del fatto che, a tacer d’altro, proprio la previsione di una notificazione che si sviluppa attraverso un procedimento comportante l’intervento di più persone esclude l’attribuzione al notificante dei diritto di determinare in maniera esclusiva tutti gli effetti collegati dal codice al compimento della medesima e che, d’altro canto, proprio perchè la notificazione ed il suo perfezionamento non sono completamente governabili dal notificante, è necessario evitare che quest’ultimo subisca conseguenze negative in relazione al mancato rispetto di termini posti a suo carico e connessi al completamento della suddetta notificazione.

3a. Ritenuto dunque, alla stregua di tutto quanto sopra esposto, che deve considerarsi ad ogni effetto come momento di perfezionamento del procedimento di notificazione quello in cui interviene il completamento del relativo iter procedimentale (salva la necessità di anticipare fittiziamente e provvisoriamente tale momento per evitare al notificante eventuali decadenze a lui non addebitabili), occorre ora esaminare se (come prospettato nella ordinanza di rimessione) si renda comunque necessaria una anticipazione di tale momento in relazione alla esigenza di rispettare il principio di “uguaglianza” quando un problema di litispendenza e continenza si ponga, come nella specie, tra due cause rispettivamente introdotte con ricorso monitorio e con citazione.

La questione si presenta logicamente connessa alla prospettazione della ricorrente nell’ultima parte del primo motivo, laddove, denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 643 c.p.c. (prevedente che nel procedimento monitorio la litispendenza si determina – non col deposito del ricorso bensì – con la notificazione alla controparte del ricorso suddetto e del conseguente decreto ingiuntivo), evidenzia che, nel caso in cui si intendesse invece – come ha fatto il Tribunale di Udine – interpretare – alla luce della giurisprudenza di legittimità e della recente modifica dell’art. 39 c.p.c. – la suddetta norma nel senso che in ogni caso nel procedimento monitorio la litispendenza è determinata dal deposito del ricorso, sarebbe per coerenza necessario che la stessa logica fosse applicata alla notificazione della citazione, anticipando pertanto gli effetti di essa al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario.

In tali termini, l’anticipazione del momento di perfezionamento della procedura di notificazione servirebbe a “correggere” una ipotetica disuguaglianza tra gli attori di due processi legati da un rapporto di continenza, disuguaglianza derivante dalla differente disciplina processuale segnatamente prevista in relazione ai differenti atti introduttivi. In proposito non può non rilevarsi innanzitutto che nella disciplina positiva non esiste un unico modello processuale e che anzi il legislatore – in relazione alle diverse realtà sostanziali ed ai diversi valori coinvolti – ha sempre più differenziato i riti, articolatamente prevedendo tempi e modi diversi non solo di introdurre la lite ma anche di addivenire alla decisione della medesima ed alla relativa esecuzione, nella ovvia consapevolezza che l’effettiva disuguaglianza esiste soltanto a parità di tutte le condizioni date, laddove il disuguale trattamento di situazioni differenti non può che costituire il modo migliore per salvaguardare l’uguaglianza sostanziale, senza che all’interprete sia dato sindacare le scelte assiologiche che presiedono alla discrezionalità esercitata dal legislatore in assenza di palesi situazioni di irragionevolezza o di contrasto con i valori costituzionali, e senza che, d’altro canto, l’interpretazione della disciplina della notificazione possa essere surrettiziamente utilizzata per “azzerare” gli effetti di differenti discipline processuali valutate nella sua legittima discrezionalità dal legislatore in relazione a situazioni sostanziali differenti (nel caso di specie, il ricorso monitorio per il recupero di un credito e l’azione di risoluzione di un contratto con richiesta risarcitoria).

Tanto premesso, e venendo più in particolare al caso in esame, nel quale, come già esposto, ti rispetto del principio di uguaglianza viene invocato in relazione a due processi introdotti con atti diversi (ricorso e citazione), rispetto ai quali esiste un problema di continenza di cause, occorre ancora una volta ribadire che una questione di rispetto dell’uguaglianza si porrebbe solo se si riconoscesse che il codice di rito attribuisce a ciascun attore in giudizio il diritto di decidere senza interferenze esterne quale sia il giudice previamente adito o comunque il giudice naturale della controversia, con conseguente necessità di mettere i due attori in una posizione di partenza “paritaria”, non se invece, come già esplicitato, si esclude una tale eventualità ritenendo che la maggiore o minore incidenza che nei diversi processi l’impulso di parte può avere su tale individuazione sia solo l’effetto indiretto di una differente disciplina processuale che il legislatore ha previsto in relazione ad una legittima valutazione discrezionale dei differenti interessi e valori sostanziali coinvolti nei processi diversamente regolamentati. Deve a fortiori altresì escludersi la configurabilità (almeno nei termini prospettati nell’ultima parte del primo motivo di ricorso) di un problema di “coerenza esegetica” nella individuazione della litispendenza con riguardo a liti sottoposte a diversa disciplina ed introdotte con atti differenti per il solo fatto che le suddette discipline si trovino “a confronto” in ragione della necessità di individuare il giudice preventivamente adito, posto che una simile evenienza, in mancanza di espressa previsione derogatoria, non autorizza l’interprete a (e tantomeno gli impone di) perseguire una coerenza ed una uguaglianza livellatrice che il legislatore non ha inteso realizzare con la disciplina positiva.

3b. Come sopra accennato, nell’ultima parte del motivo in esame la società ricorrente – prima ancora di dolersi di una mancanza di coerenza nell’interpretazione delle norme disciplinanti la litispendenza con riguardo al processo introdotto con ricorso monitorio ed a quello introdotto con citazione – ha innanzitutto contestato la violazione e falsa applicazione dell’art. 638 c.p.c. (prevedente che nel procedimento monitorio la litispendenza si determina – non col deposito del ricorso bensì- con la notificazione alla controparte del ricorso suddetto e del conseguente decreto ingiuntivo) e del novellato art. 39 c.p.c. (prevedente, u.c., in seguito alla modifica introdotta dalla L. n. 69 del 2009, che la prevenzione è determinata dalla notificazione della citazione e dal deposito del ricorso), per avere il giudice di Udine ritenuto che la prevenzione è determinata dal deposito del ricorso e non dalla sua notificazione.

In proposito si osserva che, come peraltro evidenziato dalla medesima ricorrente, già con sentenza n. 20596 del 2007 le sezioni unite di questa Corte hanno argomentatamente affermato che nel caso in cui la parte nei cui confronti è stata chiesta l’emissione di decreto ingiuntivo abbia proposto domanda di accertamento negativo del credito davanti ad un diverso giudice prima che i ricorso ed il decreto ingiuntivo le siano stati notificati, se, in virtù del rapporto di continenza tra le due cause, quella di accertamento negativo si presti ad essere riunita a quella di opposizione, la continenza deve operare nel senso di far retroagire gli effetti della pendenza della controversia introdotta con la domanda di ingiunzione al momento del deposito del relativo ricorso, sempre che la domanda monitoria sia stata formulata davanti a giudice che, alla data della presentazione, era competente a conoscerla.

Occorre altresì evidenziare che la modifica dell’art. 39 c.p.c., u.c. ad opera della L. n. 69 del 2009 non è, a parere di questo giudice, idonea a rimettere in discussione il – condivisibile – principio giurisprudenziale sopra richiamato o ad incidere sulla validità delle argomentate valutazioni espresse nel citato precedente, ma, anzi, viene esplicitamente a confermare le ragioni sistematiche poste dalle sezioni unite a sostegno del principio di diritto sopra riportato. E’ infine da rilevare che questa Corte, con sentenza n. 6511 del 2012, più recentemente, e comunque dopo l’intervento della citata modifica legislativa (anzi anche a cagione della medesima), ha ribadito il principio giurisprudenziale in questione.

Tutto quanto sopra premesso, il collegio, nel confermare l’adesione al principio espresso da SU n. 20596 del 2007 per la ritenuta condivisibilità delle ragioni che lo sostengono e la conservata validità delle medesime anche dopo la modifica dell’art. 39 c.p.c., non può in ogni caso che ribadire quanto precedentemente esposto a proposito dell’esigenza di salvaguardare l’unità e la “stabilità” dell’interpretazione giurisprudenziale in assenza di valide ragioni per abbandonare un indirizzo giurisprudenziale già espresso (proprio dalle sezioni unite) in materia processuale.

4. Col secondo motivo di ricorso G.L.P. s.r.l. contesta la competenza del Tribunale di Bassano del Grappa in sede monitoria (condizione necessaria per l’attrazione dinanzi ad esso della causa pendente dinanzi al Tribunale di Udine), affermando che il credito vantato dalla appaltatrice difettava del requisito della esigibilità, posto che l’art. 6 del Contratto prevede che “I pagamenti relativi ai SAL saranno effettuati entro la fine del mese di calendario corrente successivo alla liquidazione dei SAL stessi e dalla consegna al committente della relativa fattura….” e che “Le parti convengono che i crediti dell’appaltatore saranno ad ogni effetto di legge liquidi ed esigibili solo al verificarsi delle liquidazioni, condizioni e dei termini di cui al comma precedente”, con la conseguenza che solo a seguito dalla consegna al committente della relativa fattura sarebbe divenuto attuale l’obbligo di pagamento di GLP s.r.l. nei confronti della controparte, non potendo, in difetto, l’obbligazione considerarsi “scaduta”. In particolare GLP s.r.l.

precisa che nella specie la fattura è stata spedita il 27 marzo 2012 e ricevuta il 29 marzo 2012, mentre il ricorso è stato proposto il 28 marzo 2012, ossia prima che la fattura fosse ricevuta ed il credito divenisse esigibile, con la conseguenza che nella specie non sarebbe applicabile il criterio di determinazione della competenza territoriale di cui all’art. 20 c.p.c. e art. 1182 c.c..

La censura è infondata.

Per giurisprudenza costante il principio fissato dall’art. 10 c.p.c. in relazione alla competenza per valore (secondo il quale il collegamento tra il giudice e la controversia che questi è chiamato a decidere si determina in base alla domanda) deve ritenersi espressione di una regola generale valevole per tutti i tipi di competenza, quindi anche per la competenza per territorio (v. già cass. nn. 5755 del 1983; 33 del 1990; 789 del 1998; 20177 del 2004 e 11400 del 2006), con la conseguenza che, con riguardo ad obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro, rientrano nella previsione dell’art. 1182 c.p.c., comma 3, quelle che siano come tali indicate dall’attore, mentre il diverso e successivo problema della sussistenza di esse attiene al merito (v., oltre quelle già citate, cass. n. 8121 del 2003). Pertanto, per stabilire quale sia, agli effetti dell’art. 20 c.p.c., l’obbligazione dedotta in giudizio”, il giudice deve limitarsi ad interpretare il contenuto obbiettivo della deductio su cui verte la controversia, prescindendo da ogni indagine sull’esistenza della obbligazione medesima, che attiene alla decisione di merito, e senza che sulla questione possa influire l’eccezione del convenuto che neghi l’esistenza della obbligazione (Cass. n. 9013 de 2005). Alla stregua della elaborazione giurisprudenziale sopra richiamata (condivisibile in quanto costituente coerente applicazione del chiaro disposto del citato art. 10) la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 20 c.p.c. deve dunque essere desunta sulla base della prospettazione attorea, senza che abbiano rilevanza a tal fine le contestazioni formulate dal convenuto e le diverse prospettazioni dei fatti da quest’ultimo avanzate, dovendosi tenere separate le questioni concernenti il merito della causa da quelle relative alla competenza.

Tanto premesso, risulta in atti che Steda s.p.a. ha chiesto ed ottenuto dal Tribunale di Bassano del Grappa l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di GLP s.r.l., pertanto non v’è dubbio che essa abbia prospettato di essere creditrice di una somma di danaro liquida ed esigibile. E’ vero che, secondo la condivisibile giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’unico limite alla rilevanza dei fatti prospettati dall’attore ai fini della determinazione della competenza territoriale può essere rinvenuto nella eventuale prospettazione “artificiosa, finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge” (cfr. cass. nn. 10226 del 2001; 10966 del 2003 e 8189 del 2012), è tuttavia da evidenziare che – sia nel linguaggio comune che in quello giuridico – termini come “artificioso” e “artificio” implicano sempre una specifica attività decettiva, in ogni caso non ravvisabile nè nella generica prospettazione dell’intervenuto avveramento di eventuali condizioni previste nè, tanto meno, nel mero silenzio serbato sull’esistenza di condizioni ovvero sul loro mancato avveramento.

E’ inoltre appena il caso di evidenziare che nella specie la ricorrente si limita a dedurre la non esigibilità del credito, ma non individua nè contesta in proposito una specifica prospettazione “artificiosa” (nel senso sopra descritto) di Steda s.p.a. nel ricorso monitorio proposto dinanzi al Tribunale di Bassano del Grappa.

5. Dall’argomentare che precede discende la reiezione del ricorso. La complessità delle questioni trattate giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 15 luglio 2014.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2014


L’attività formativa dell’Associazione – anno 2015

Notifica on line 11Il «Progetto per la valorizzazione del Messo Comunale» è una iniziativa dell’Associazione A.N.N.A. che ha come obbiettivo principale quello di riqualificare la figura ed il ruolo del Messo Comunale e tutte le figure che svolgono l’attività di notificazione, attraverso la conoscenza dei principi fondamentali del Procedimento notificatorio.

L’Associazione attraverso tale iniziativa, che si svolge su tutto il territorio nazionale, intende dare il proprio contributo affinché l’applicazione delle norme che regolano il Procedimento notificatorio sia la più uniforme possibile .

L’informatizzazione della pubblica amministrazione è certamente una delle principali sfide che Stato, Regioni ed Enti locali si trovano ad affrontare in questo momento storico. L’impatto della tecnologia sull’amministrazione pubblica ed i servizi ai cittadini è di enorme portata, ma per risultare veramente efficace il processo di informatizzazione necessita di un gran numero di strumenti normativi, tecnici ed organizzativi. Gli effetti dello sviluppo e della diffusione dell’innovazione tecnologica sulla produzione documentaria sono oramai rilevanti (basti pensare a quelli derivanti dall’introduzione della firma elettronica e del servizio di posta elettronica certificata che hanno reso possibile la formazione, la trasmissione e la ricezione di documenti informatici a valenza giuridica e forza probatoria), il che rende necessari l’attivazione di sistemi di gestione elettronica e lo sviluppo di soluzioni di natura archivistica, organizzativa e tecnologica, capaci di garantire la conservazione nel tempo e la fruizione della memoria digitale.

Di fronte a tale situazione, A.N.N.A. si propone di fornire un contributo alla soluzione delle problematiche connesse alla produzione e conservazione dei documenti e degli archivi informatici; problematiche che, se non affrontate correttamente, rischiano di provocare la perdita irreversibile di gran parte del patrimonio archivistico che sarà prodotto in futuro dalle amministrazioni pubbliche e dalle imprese.

Le giornate di studio, di carattere prevalentemente pratico, affrontano la materia delle notifiche attraverso l’analisi, lo sviluppo ed il coordinamento delle norme procedurali. Particolare attenzione viene prestata alla compilazione dei moduli operativi, anche in relazione alle conseguenze derivanti dall’evoluzione giurisprudenziale che spesso sopperisce a lacune legislative ovvero ne determina ulteriori dubbi e difficoltà sull’applicabilità delle norme. Si tratterà, inoltre, in maniera approfondita della Notifica On Line

A richiesta, scritta, l’Associazione provvederà ad effettuare l’esame di idoneità per le persone che verranno indicate al fine del conseguimento della nomina a Messo Notificatore previsto dalla legge finanziaria del 2007 (Art. 1, comma 158 e ss.).

I docenti sono operatori di settore che, con una collaudata metodologia didattica, assicurano un apprendimento graduale e completo dei temi trattati.
Essi collaborano da anni in modo continuativo con A.N.N.A. condividendone così lo stile e la cultura.

PRIMO SEMESTRE  2015

Data Luogo Tipologia
Mercoledì 4 Febbraio  Villorba (TV)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Giovedì 12 Febbraio  Udine  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Giovedì 19 Febbraio  Montegrotto Terme (PD)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Martedì 24 Febbraio  Montecchio Emilia (RE)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Martedì 3 Marzo  San Cesareo (RM)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Martedì 10  Marzo  Asciano (SI)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Mercoledì 25  Marzo  Cento (FE)  Percorso formativo di base in house
Giovedì 26  Marzo  Cento (FE)  Percorso formativo di base in house
Martedì 23  Giugno  Fiano Romano (RM)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
Venerdì 10  Luglio  Latisana (UD)  Percorso formativo di base in house

 SECONDO SEMESTRE  2015

Data Luogo Tipologia
 Venerdì 2  Ottobre  Andria (BT)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 8  Ottobre  Ancona  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 9  Ottobre  Tortona (AL)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Martedì 13  Ottobre  Zola Predosa (BO)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Martedì 27  Ottobre  L’Aquila  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Venerdì 13  Novembre  Cesena (FC)  Giornata di Studio per Agenti Notificatori
 Giovedì 26  Novembre  Pistoia  Percorso formativo di base in house

Quale applicazione dell’art. 213 del Codice della Strada?

sequestro-veicolo-autoQuesito su circolare n. 300/A/5721/14/101/20/21/4 del 01 agosto 2014 emanata dal Ministero degli Interni.

Al Garante

per la Protezione dei dati Personali

Piazza di Monte Citorio n. 121

00186 ROMA

urp@pec.gpdp.it

e p. c.: Al Ministero dell’Interno

Piazza del Viminale n. 1

00184 ROMA

dait@pec.interno.it

 La circolare n. 300/A/5721/14/101/20/21/4 del 01 agosto 2014 emanata dal Ministero degli Interni avente ad oggetto “Nuove procedure per l’applicazione della misura cautelare del sequestro amministrativo e della sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo,” nel prendere in esame le operazioni di notificazione previste dall’art. 213 comma 2 quater del Codice della Strada, inerenti i verbali di sequestro ed i relativi avvisi, dirama ai vari organi chiamati alla sua applicazione disposizioni che, a giudizio della scrivente associazione, vanno ben oltre il dettato normativo vigente, in particolare se si tiene presente che con l’art. 174 del D. Lgs. 196/2003 era stato eliminato dal nostro ordinamento la pubblicazione di una copia dell’atto da notificare all’Albo Pretorio (all’epoca non esisteva l’Albo on Line) nel caso necessitasse notificare lo stesso a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti (art. 143 CPC).

In particolare:

a)      nel corpo di pagina 8 della circolare in oggetto si afferma che è opportuno effettuare la pubblicazione all’Albo del Comune del verbale di sequestro e del relativo avviso contestualmente (quindi, nei fatti, aprioristicamente in ogni caso) al tentativo di notifica ordinario (di solito effettuato a mezzo posta);

b)  nella nota (10) a piè pagina 8 della circolare in oggetto viene precisato che “l’irreperibilità del destinatario all’indirizzo quale risulta dai pubblici registri non dovrà dar luogo a ulteriori accertamenti e tentativi di notifica, salvo l’affissione dell’atto nell’Albo del Comune in cui è situata la depositeria. Anche in questo caso, trattandosi di procedura speciale, ci si dovrà limitare alla sola affissione dell’atto all’albo.”

Relativamente a quanto evidenziato al punto a) si segnala che:

–          l’art. 213 comma 2 quater ultimo periodo del C.d.S. prevede che la notificazione sia effettuata ordinariamente ai sensi dell’art. 201 del C.d.S. e solo qualora la notifica risulti impossibile, per comprovate difficoltà oggettive, si procede mediante affissione dell’atto nell’Albo (on Line – ndr) del Comune dov’è situata la depositeria e la notifica si ha per eseguita nel ventesimo giorno successivo a quello di detta affissione (a margine si ritiene che l’atto debba rimanere ivi affisso, o per meglio dire pubblicato sul WEB, continuativamente per 20 giorni alla fine dei quali dovrà essere defisso) – è immediatamente percepibile la potenziale diffusione nella rete WEB di tutti i dati contenuti nell’atto (cioè nel verbale di sequestro e nel relativo avviso), diffusione non prevista dalla legge in questi termini, viste le condizioni peculiari dalla stessa indicate per la pubblicazione.

Relativamente a quanto evidenziato al punto b) si segnala che:

–          il Ministero dell’Interno utilizzando il termine irreperibilità del destinatario (in questo contesto si ritiene volesse intendere quella cosiddetta “irreperibilità assoluta”, cioè quella ordinariamente individuata nell’art. 143 CPC) ha, nei fatti, dilatato a dismisura quella che lo stesso definisce una “procedura speciale”, cioè l’affissione dell’atto (nella fattispecie il verbale di sequestro ed il relativo avviso) all’Albo del Comune in cui è situata la depositeria – la norma di Legge, cioè l’art. 213 comma 2 quater ultimo periodo del C.d.S., prevede, invece, la pubblicazione all’Albo del Comune come possibilità residuale e solo a fronte di comprovate difficoltà oggettive nella notifica dell’atto (ad esempio se i dati anagrafici del trasgressore/obbligato in solido sono incompleti) e non se tale atto è comunque validamente notificabile (anche se sostanzialmente in modo “virtuale”) con una delle procedure previste esplicitamente dal nostro CPC (artt. 140 o 143 CPC);

–          indipendentemente da quanto sopra (cioè del quando) si chiede di sapere se sia o meno da ritenere conforme (nel come) alle indicazioni del Garante la circostanza che gli organi di Polizia Stradale chiedono ai Comuni di affiggere all’Albo gli atti in questione (cioè i verbali di sequestro ed il relativo avviso) in quanto tali, cioè in modo integrale, pubblicando, di conseguenza, in rete tutti i dati anagrafici del trasgressore, dell’eventuale obbligato in solido, eventuali estremi di documenti per la guida o di identità nonché il luogo e la data ove tale persona/veicolo è stato fermato/rinvenuto e quindi si ritiene anche essere stato ivi presente, pro tempore, il trasgressore/obbligato in solido.

Ad avviso della scrivente Associazione, invece, si ritiene corretto e rispettoso della riservatezza delle persone potenzialmente coinvolte che al citato Albo del Comune siano affissi solo ed esclusivamente i seguenti dati che si valutano sufficienti (in conformità alle “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati” approvate dal Garante il 15/05/2014) a dare una appropriata “pubblicità legale” di un fatto/documento che potrà produrre degli effetti rilevanti sul bene sequestrato ma che non è stato possibile notificare con le procedure ordinarie al trasgressore/obbligato in solido:

–          identificazione sintetica del destinatario dell’atto (attraverso il Nome, Cognome, luogo e data di nascita);

–          identificazione dell’organo di Polizia Stradale procedente, il numero, la data del verbale di sequestro, nonché il luogo ove lo stesso è avvenuto,

–          il numero di targa del veicolo in questione,

–          l’identificazione completa del luogo ove il veicolo è depositato ma non i dati del custode se persona fisica, nonché un documento generico anonimo allegato che facendo solo riferimento all’organo procedente, al numero del verbale di sequestro ed alla sua data espliciti gli elementi essenziali contenuti nell’avviso previsto dall’art. 213 comma 2 quater, primo periodo del C.d.S..

Nell’occasione si chiede di sapere quali responsabilità possano nascere in capo al dipendente del Comune dall’affissione all’albo direttamente del verbale di sequestro e del relativo avviso nella loro forma integrale, riportanti pertanto i dati personali del trasgressore/obbligato in solido come richiedono gli Organi di Polizia Stradale in ossequio alla circolare ministeriale citata e se, dell’eventuale danno conseguente alla violazione delle norme sulla Privacy, debba essere imputato solo al responsabile dell’Ufficio di Polizia Stradale richiedente la pubblicazione od anche il dipendente comunale responsabile della pubblicazione all’Albo.

Questo sopra in quanto la scrivente Associazione ha, al momento, consigliato ai propri associati di dare pedissequa esecuzione a quanto richiedono gli Organi di Polizia Stradale che agiscono in conformità alla circolare in oggetto.

In attesa di un cortese riscontro alla presente si inviano distinti saluti.

Il Presidente Nazionale

Pietro Tacchini

Firmata digitalmente

Risposte:

Garante – applicazione dell’art. 213 del Codice della Strada

Leggi:

Circolare Ministero interno del 01 08 2014


Riunione Giunta Esecutiva del 15.11.2014

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione della Giunta Esecutiva che si svolgerà sabato 15 novembre 2014 alle ore 7:30 presso il Comune di Cesena – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 9:30 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2014;
2. Attività formativa 2014;
3. Attività formativa 2015;
4. Attività Istituzionale 2014/2015;
5. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale GE 15 11 2014


Riunione Consiglio Generale del 15.11.2014

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, viene convocata la riunione del Consiglio Generale che si svolgerà sabato 15 novembre 2014 alle ore 8:00 presso il Comune di Cesena – Piazza del Popolo 10, in prima convocazione, e alle ore 10:00 in seconda convocazione, per deliberare sul seguente ordine del giorno:
1. Approvazione e ratifica adesioni all’Associazione 2014;
2. Attività formativa 2014;
3. Attività formativa 2015;
4. Attività Istituzionale 2014/2015;
5. Varie ed eventuali.

Leggi: Verbale CG del 15 11 2014